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martedì 18 maggio 2021

“SE FACEVI NOTARE CHE L’ANOMALIA BERLUSCONI ERA A SUA VOLTA IL FRUTTO DI UN’ALTRA ANOMALIA, OSSIA LA DISTRUZIONE VIOLENTA, PER VIA GIUDIZIARIA, DI UN’INTERA CLASSE POLITICA (QUELLA DELLA PRIMA REPUBBLICA), TI DAVANO SUBITO DEL BERLUSCONIANO".

17 MAG 2021 20:43 1. “SE FACEVI NOTARE CHE L’ANOMALIA BERLUSCONI ERA A SUA VOLTA IL FRUTTO DI UN’ALTRA ANOMALIA, OSSIA LA DISTRUZIONE VIOLENTA, PER VIA GIUDIZIARIA, DI UN’INTERA CLASSE POLITICA (QUELLA DELLA PRIMA REPUBBLICA), TI DAVANO SUBITO DEL BERLUSCONIANO". E OGGI FAR FINTA DI NIENTE “E’ SOLO UNA TRUFFA, UN IMBROGLIO. BASTA FAR FINTA DI DIMENTICARE" 2. DOPO DAGOSPIA, ANCHE IL POLITOLOGO PANEBIANCO SUL CORRIERE SPUTTANA LA FAVOLA DELLA “RIVOLUZIONE ITALIANA”, ORMAI ORFANA DEI SUOI GIUDICI-SEMIDEI E ABIURATA NEL SILENZIO DAI GIORNALI DEI POTERI MARCI CHE L’AVEVANO AUSPICATA (E FORAGGIATA) 3. DA MIELI A SANTORO, QUANDO IL BOIA DA NEMICO DIVENTA FINTO-AMICO – ALDO MORO SECONDO IL PCI DI VELTRONI: DA VIVO ERA ANTILOPE COBBLER, IL TANGENTARO; DA MORTO, DIVENTA UNO STATISTA LUNGIMIRANTE – IL RISCHIO DI UNA ITALIA MALATA DI ALZHEIMER “Se facevi notare che l’anomalia Berlusconi era a sua volta il frutto di un’altra anomalia, ossia la distruzione violenta, per via giudiziaria, di un’intera classe politica (quella della Prima Repubblica), ti davano subito del berlusconiano. C’era insomma un clima di evidente isteria”. A quasi trent’anni dalla tonnara di Tangentopoli, sul “Corriere della Sera” si può leggere, a firma di Angelo Panebianco, un editoriale che - questo sì fa davvero giustizia dopo averlo taciuto per anni ai suoi lettori -, su cosa è stata la “rivoluzione italiana” di cui il giornale manettaro dei Poteri marci è stato uno dei portabandiera. La rivoluzione fallita, che dai giornali sappiamo quando è iniziata ma non quando è stata chiusa. Una rivolta mancata, anche per il giudice Gherardo Colombo. Uno degli “eroi” di carta del pool di Mani pulite insieme a Davigo che ammette: “A 25 anni di Mani pulite, l’Italia è ancora più corrotta”. Bontà sua. IL RUOLO COMPLICE DEI MEDIA CODINI L’onesto politologo del “Mulino”, da lunghi anni stimato collaboratore del Corriere, sollecita, “per il bene del Paese”, di sciogliere i nodi del grande “imbroglio e della truffa” (animati dall’odio politico) - vittime prima Craxi e poi Berlusconi che “incarnavano il Male”. Ma l’oblio non può calare, voltandosi dall’altra parte, neppure sul ruolo parziale, disumano e di supplenza ai giudici - tutto in nome e per conto dei Poteri marci, ovviamente -, sulla parte in commedia avuto dai media nel linciaggio senza uno straccio di processo di una intera classe politica (e dirigenziale). IL TEOREMA DEL POOL: CREARE IL FATTO-REATO Come ciò sia potuto accadere grazie ai teoremi dei giudici di Mani pulite tenta di spiegarlo nel suo saggio “Il diritto penale totale” (il Mulino) il giurista Filippo Sgubbi. “Con il processo volto non ad accertare un fatto storico da ricondurre a una norma di legge, bensì a creare il fatto-reato”, osserva lo studioso. E ancora: ”Una giustizia che si avvale dell’apparato provvedimentale tipico dell’efficace decision making della magistratura per mirare a precisi scopi”. Quanto alla gogna che ha seguito i teoremi del pool, essa non ha precedenti in nessun Paese democratico. E nell’innalzare forche, in primis c’è il quotidiano dove Panebianco tiene cattedra. Cioè il “Corriere della Sera” diretto allora da Paolo Mieli. IL PENTIMENTO PELOSO DI MIELI Già, lo storico (senza storia), pentitosi (a babbo morto) di aver firmato l’appello contro il commissario Mario Calabresi assassinato dai terroristi rossi. Di ben altro dovrebbe cospargersi le ceneri sulla testa il nostro Paolino Mieli. ESPRESSO COLPO DI STATO Negli stessi Anni di Piombo, andrebbe riesaminato anche il ruolo di Mieli (ex Potere operaio) e della redazione dell’”Espresso” che ha combattuto degnamente tutte le sue battaglie sul fronte laico e di sinistra. Un ruolo, appunto, sul quale andrebbero sfoltite tutte le ombre che ancora permangono. Pur convinti che, alla fine, l’Espresso abbia operato correttamente su quel crinale pericoloso. IL CASO MORO E L’ESPRESSO Già. Qual è stato il limite considerato invalicabile tra prassi professionale corretta e una larga zona grigia - contiguità con l’Autonomia e il brigatismo rosso assai diffusa - da parte del settimanale di Caracciolo & Scalfari? E, soprattutto, se nel corso della trattativa sottobanco per la liberazione di Moro non si è andati oltre quel confine: dagli incontri al buio tra il socialista Signorile e Piperno nella redazione di via Po e in via del Babuino. Racconta Enzo Forcella in un volumetto edito dall’Espresso su trent’anni di terrorismo: “Tutto partì da una conversazione tra Signorile e il direttore Zanetti (contrario alla trattativa): “Non potresti mettermi in contatto con uno di quelli dell’Autonomia che ogni tanto intervistate? Zanetti girò la richiesta a Mario Scialoja, che seguiva per il settimanale il settore del terrorismo (…)”. D’AMATO, UNO “SPIONE” IN REDAZIONE A VIA PO L’incontro Signorile-Piperno-Scialoja si svolse nella casa di Zanetti: “Quasi subito – annota Forcella -, la conversazione scivolò su Moro. “Dimmi Piperno, hai un’entratura nelle Br?”, chiede Signorile. Piperno rispose di no, “comunque - aggiunse -, non dovrebbe essere impossibile far loro arrivare qualche messaggio basta mettere in moto un tam tam attraverso il quale il messaggio arriva dove deve arrivare…”. Senza mai mettere in discussione l’etica professionale dei suoi eccellenti redattori, rimane nell’ombra pure la presenza all’Espresso dell’editore Carlo Caracciolo di Federico Umberto D’Amato. Il capo dell’Ufficio affari riservati dal Viminale che dal 1977 al 1995 occupò, con lo pseudonimo Federico Godio, la rubrica di cucina. Si occupò di solo di mettere le stellette ai ristoranti? COME TI CUCINO IL “PIANO SOLO” Nel suo scrupoloso libro “La spia intoccabile” (Einaudi) dedicato al maestro del depistaggio, Giacomo Pacini si pone anche lui la domanda sul perché “Caracciolo ritenne di affidare incarichi di questo tipo proprio a D’Amato (che non era uno chef) non è dato sapere. Appare tuttavia legittimo chiedersi – aggiunge - se fu solo un caso che a far emergere lo scandalo Piano Solo (che portò alla delegittimazione del Sifar, con di fatto l’ascesa di D’Amato ai vertici degli apparati di sicurezza) fosse stato proprio quel settimanale”. E quale contributo ha dato il Re degli spioni nello scandalo Lockheed con la caccia all’Antilope Cobbler che sfiorò Aldo Moro e portò alle dimissioni del presidente della Repubblica, Giovanni Leone? Ah saperlo. WATERLOO VELTRONI SUL DELITTO MORO Dell’affaire Moro forse non ci libereremo mai se a truccare la verità sono i suoi stessi testimoni immemori. Il libricino di Walter Veltroni sul sequestro Moro attraverso alcuni testimoni, sembra più il tentativo di chiudere una finestra anziché spalancarla per far entrare aria fresca. Si tratta di un chiaro esempio, secondo il professor Panebianco, del nemico che diventa amico. Così, nel tentativo postumo di santificare il leader Dc delle “convergenze parallele”, il Letta-Letta di Urbano Cairo dimentica che in parlamento sia Moro sia Ugo La Malfa difesero i propri partiti dalle accuse sul finanziamento illecito ai partiti rivoltegli dai banchi dell’opposizione di sinistra. E davvero Moro pagò con la vita, come si narra non senza ragione e logica politica (magari complice la Cia) per la sua idea di portare i comunisti a governo dopo averlo messa alla berlina in parlamento? O, come sostengono i socialisti di fede craxiana, fu la linea della fermezza imposta dall’asse Dc-Pci a segnare la fine di Moro? IL PCI CONTRO MORO-COBLER Quel Pci di Berlinguer, va ricordato ancora, legato a doppio filo all’Urss guidata da Breznev con la sua ferrea dottrina anti atlantica, che un anno prima, appunto, aveva crocifisso Moro alle Camere per aver difeso (perdendo al momento della conta in aula) i ministri Gui e Tanassi dall’accusa di aver beneficiato di tangenti nello scandalo Lockheed. E Moro, accusato di essere Antilope Cobler da una fonte Usa, rivolto ai suoi avversari – quelli storici sì -, gridò: “Non ci faremo processare nelle piazze”. E se nel 1977 i giudici (già a conoscenza dei finanziamenti illegali ma resilienti) avessero raccolto il j’accuse di Berlinguer sulla “questione morale” che toccava i partiti, Aldo Moro sarebbero finito davanti a un tribunale un anno prima della sua uccisione. E se Veltroni andasse a sfogliare le collezioni del suo ex quotidiano, l’Unità, scoprirà che per il Pci Moro diventerà uno statista soltanto dopo il suo martirio nella prigione delle Br. L’ASSALTO AL QUIRINALE: DC-PCI SILURANO LEONE Tre date segnano in profondità il rapporto all’epoca a dir poco conflittuale tra lo statista Dc - che nel partito occupava il posto ritenuto quasi rappresentativo di presidente del Consiglio nazionale della Dc (come i suoi predecessori) -, e il Pci. Un anno marcato dallo scandalo Lockheed che alla fine vide - stavolta sì - la convergenza parallela (e perversa) tra Dc e Pci per far dimettere il capo dello Stato. Un’intentona supportata dalla violenta e martellante campagna dell’Espresso-Repubblica che punta dritto all’onorabilità dell’inquilino Quirinale. Ecco le date memorabili: 3 marzo 1978 la Corte costituzionale archivia le accuse contro Moro; 16 marzo 1978 sequestro Moro e uccisione della scorta da parte delle Br; 9 maggio 1978 ritrovamento del cadavere di Moro in via Caetani; 15 giugno 1978 dimissioni di Giovanni Leone. Sulla versione veltroniana del caso Moro, l’ex diccì Paolo Pomicino ha osservato su il Foglio: ”Affidare ai vinti la storia di questo Paese più che un errore è una tragica comicità”. BR E MANI PULITE LE AMNESIE DEI MEDIA Com’è accaduto per gli Anni di Piombo, anche sulla stagione di Mani pulite poco (o nulla) e con rare eccezioni, è stato esplorato sulla parte in commedia avuta dalla stampa in questi due passaggi controversi della nostra storia. Sugli anni del terrorismo basta ricordare, a titolo di esempio il diktat delle Rizzoli-P2, con la decisione del “Corriere” di non pubblicare i messaggi dei terroristi e il licenziamento di Giuliano Zincone dal “Lavoro” di Genova che non si piegò a quella scelta del gruppo. Avevano ragione Di Bella-Barbiellini Amidei o Zincone? E da chi arrivava l’ordine di togliere la parola alle Br? Senza evocare golpe e manine degli apparati deviati. Certe verità si ritrovano facilmente nelle stesse redazioni dei giornali. BORRELLI E MIELI AZZOPPANO SILVIO Due momenti della storia recente entro i quali Paolo Mieli (e non soltanto lui) avrebbe molto da spiegare per averla vissuta da testimone privilegiato con scaltrezza e capacità professionali. A proposito dell’Uomo Nero evocato da Panebianco e della sua demonizzazione, si potrebbe partire dall’avviso di garanzia al premier Berlusconi nel novembre 1994 alla vigilia di un convegno promosso a Napoli dall’Onu sulla criminalità organizzata. Una accusa grave di corruzione di finanzieri da cui il Cavaliere uscirà assolto nel 2001. UNO SCOOP-TRAPPOLA PER IL CAV DI ARCORE Chi passò al “Corriere” le carte del Cavaliere indagato? Quale era la fonte di quello scoop che provocò la caduta del governo e che oggi nessuno rivendica pur avendoci guadagnato i galloni d’inviato o di corrispondente all’estero. In America al cronista Mieli avrebbero dato il premio Pulitzer (o quantomeno un Premiolino meneghino) e un suo libro di memorie avrebbe scalato le classifiche in libreria. Ma in realtà il suo non era stato un nuovo Watergate per passare alla storia del giornalismo d’inchiesta, ma soltanto un Watercloset per nascondere le sue vergogne da cui tenersi poi lontano per le puzze che emanava. È stato il capo dello Stato dell’epoca, Oscar Luigi Scalfaro – magari via Gianni Agnelli -, che a dare ascolto al ministro dell’Interno Roberto Maroni sapeva da giorni dell’avviso? Oppure, come appare più credibile, Mieli e il giornale di via Solferino si sono resi complici (o partecipi) della “trappola” ordita dal pool di Mani pulite che - facendo uscire la notizia sul Corriere -, avrebbero conservato la competenza territoriale sul procedimento a carico di Berlusconi. Cioè a Milano e non a Roma. SE A RICORDARE È IL NEMICO-AMICO Dunque, come suggerisce Panebianco, “è meglio sforzarsi di ricordare” senza che sia “il nemico diventato amico”, riferendosi indirettamente all’ultima conversione di Michele (chi?) Santoro su Berlusconi. Un agit-prop dei media impegnato a recitare tutte le parti nel commedione tragico e cinico di quest’ultimo quarto di secolo. Con il boia che abbandona la garrota per raccogliere la testa del mozzato da esporre in tempi di pace e di rivoluzioni mancate. Un gran brutto spettacolo. Intanto, dopo otto anni la Corte europea dei diritti di Strasburgo chiede all’Italia se il Cavaliere abbia avuto un processo equo nel giudizio della Cassazione per frode fiscale che costò la sua decadenza dalla carica di senatore. Non è tempo di necrologi per l’Uomo nero Berlusconi al quale auguriamo resista-resista-resista alle intemperie della vita. L’ITALIA AMNESICA CHE CANCELLA I FATTI Ma siamo curiosi di leggere cosa sarà consegnato di lui dalla stampa dopo una lunga gogna mediatica. Nel suo “Giustizia politica”, il saggista Otto Kirchheimer, non a caso, dedica il suo lavoro proprio “alle vittime passate, presenti e future della giustizia politica”. Anche perché non vorremmo, come ammonisce lo storico Jean Tulard paventando una “nazione amnesica”, che “a forza di voler cancellare le macchie della storia, verrà un giorno in cui non sapremo più perché il ponte si chiama Austerlitz e il viale Jena”.

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