Pagine

martedì 30 giugno 2020

I tre gravi errori di Salvini sul Mes


Il leader leghista chiede al governo di non prendere i 37 miliardi del fondo Salva-Stati. Ecco perché sbaglia. Purtroppo sulla pelle degli italiani

Matteo Salvini ha addirittura mandato una lettera al Corriere della sera per chiedere al governo di non prendere i 37 miliardi del Mes che l’Italia potrebbe invece utilizzare per le spese sanitarie correlate all’emergenza covid. Il senatore leghista nella sua battaglia euroscettica stavolta sbaglia, e alla grande, per almeno tre motivi. Il dubbio è che erri sapendo di errare. Nel caso contrario, qui gli spieghiamo perché quei soldi potrebbero essere molto utili alla causa del nostro paese.
1) La prima giustificazione che adduce Salvini riguarda il fatto che sarebbe meglio prendere soldi a prestito sui mercati, intensificando l’emissione dei titoli di stato, visto che recentemente il Btp Italia in un’unica asta ha chiuso con 22,3 miliardi di euro. Peccato però che il leghista ometta un “piccolo” particolare: la spesa per interessi. Anche chi ha poca familiarità con l’economia sa bene che quando si deve valutare un prestito, la voce principale che si guarda è il tasso d’interesse. Chi vuole accendere un mutuo, ad esempio, come prima cosa fa una comparazione fra i tassi più convenienti che trova sul mercato. Ebbene, uno Stato fa la stessa cosa. E in questo caso non c’è partita: i tassi a 10 anni che l’Italia è costretta a offrire a chi compra titoli di stato sono poco sotto il 2% mentre il Mes costerebbe solo lo 0,08%. Eugenio Gaiotti, capo del Dipartimento Economia e statistica della Banca d’Italia, quindi fonte terza e attendibile, in una recente audizione parlamentare ha quantificato in 500 milioni l’anno il risparmio medio per l’Italia nel caso utilizzi il Mes invece che nuove emissioni di Btp. In dieci anni fanno 5 miliardi. Miliardi che potranno essere utilizzati in futuro per fare ulteriore spesa sociale - per scuola o opere pubbliche - invece che regalati agli investitori.
2) La seconda giustificazione del leghista riguarda la questione del prestito vincolato: secondo Salvini i fondi del salva-Stati potranno essere utilizzati solo per le spese strettamente connesse all’emergenza sanitaria e quindi non per rinforzare il sistema della sanità nel suo complesso. Anche questa volta però è palesemente impreciso. Perché gli stati membri dell’Unione europea si sono accordati affinché il Mes vada a coprire interventi sanitari per “spese dirette e indirette”. Quindi il governo non si troverà con le mani legate, potendo solo ammodernare gli ospedali e rafforzare le Asl - e già non sarebbe poco. Basta infatti poco per dimostrare che anche misure più “larghe” a favore della nostra sanità possano essere legate al post-Covid: investimenti in ricerca, potenziamento dei servizi per gli anziani, aumento del personale sanitario, e via dicendo. Secondo Salvini non sarebbe possibile dimostrarlo, in realtà sembra evidente come ciascuna di queste voci possa tranquillamente rientrare nella lista delle cose da finanziare per rispondere all’emergenza che stiamo vivendo.
3)Terzo e ultimo punto su cui Salvini ha torto è il luogo comune più duro a morire. E cioè il fatto che prima o poi arriverà in Italia la Troika a chiederci misure draconiane per rientrare dai prestiti. Qui il leghista si supera, tirando in ballo possibili patrimoniali, bastonate alle pensioni e inasprimento dell’Iva. Qual è invece la realtà dei fatti? L’Eurogruppo, che riunisce gli Stati azionisti del Mes, ha chiarito che il Pandemic Crisis Support è disponibile per tutti e non prevede una «sorveglianza rafforzata» del tipo di quella vista per il salvataggio della Grecia, con i rappresentanti di Commissione Ue, Bce, Fmi. Insomma, non ci sono riforme economiche o di bilancio preliminari che vengono richieste ma solamente un controllo - sacrosanto - che i soldi europei vengano utilizzati per la sanità nel suo complesso. Punto. Con buona pace di Salvini.

domenica 28 giugno 2020

Sugli emolumenti dei Parlamentari


In questi ultimi giorni si discute sulla decisione della Commissione del Senato, denominata Contenziosa, che ha bocciato alcuni passaggi della decisione presa a suo tempo sul taglio dei vitalizi agli ex Senatori.

Mi pare che il nodo vero della questione consista nel fatto che a decidere dei loro compensi siano gli stessi Parlamentari.
E' troppo comodo apparire tutori dei conti dello Stato tagliando entrate di altri (in questo caso i vitalizi degli ex Senatori); se veramente volessero contribuire a far risparmiare il Senato (e la Camera dei Deputati) dovrebbero approvare una legge che preveda il taglio del 50% dei compensi dei Senatori e dei Deputati, attualmente agganciati a quello di alti magistrati.
Non voglio esagerare proponendo un compenso mensile uguale allo stipendio base degli impiegati di 7° livello dei Metalmeccanici, ma non sarebbe una decisione peregrina.
Si consideri che attualmente, e ormai da molti anni, la maggior parte dei Parlamentari svolge un lavoro impiegatizio e neppure tanto elevato perché nella realtà è chiamata a schiacciare i bottoni per le votazioni.
E non si dica che il lavoro maggiore dei Parlamentari viene svolto nelle Commissioni perché se si valuta come vengo scritte le leggi si capisce che non solo lavorano poco, ma lavorano malissimo in quanto non sanno scrivere correttamente in lingua italiana e non esagero se sostengo che moltissimi di loro non sanno neppure parlare correttamente in italiano.







Amazon ci fa bene


L’exploit dell’e-commerce fa sorgere il dubbio: davvero abbiamo ancora bisogno di negozi e botteghe?
28 Giugno 2020 alle 06:00
Amazon ci fa bene
(foto LaPresse)
Ricordate quando temevamo l’e-commerce, e lo incolpavamo di moltissime cose, dall’invasione di alimentari bengalesi nei centri storici al caporalato, e firmavamo petizioni per fermare la chiusura di negozi in cui non mettevamo piede ma che amavamo perché davano un tono al nostro quartiere, e blateravamo di botteghe artigiane, convinti che gli affreschi di Ambrogio Lorenzetti potessero indicarci la via maestra per un futuro sostenibile o almeno decente? Che noiosi eravamo. Poi è arrivato il Covid e abbiamo quasi completamente scordato quelle reticenze, che in verità avevano preso a diluirsi da prima, anche se in modo sottaciuto, come piace a noi, popolo di massa silenziosa. Amazon, per tutta la quarantena, non ha fatto che registrare rialzi; il carico del lavoro è così aumentato che sono state assunte quasi 200 mila persone. Venerdì scorso il Financial Times ha inserito il colosso al primo posto della lista delle cento aziende che in questi mesi hanno prosperato, seguito tra gli altri da Microsoft, Apple, Tesla, Spotify, PayPal, Netflix, Zoom, Teladoc Health (piattaforma di consulenza medica), AstraZeneca (azienda farmaceutica che la scorsa settimana si è impegnata ad assicurare la produzione di 2 miliardi di dosi di un vaccino anti Covid che è già in fase sperimentale sull’uomo), L’Oreal (dove il 20 per cento del fatturato arriva da un e-commerce tra i più competitivi del settore cosmetico).

La quarantena ha obbligato anche i più cocciuti e romantici misoneisti acquirenti al dettaglio a fare la spesa online e, come sempre accade, di necessità s’è fatta virtù. Le abitudini di consumo sono irrimediabilmente cambiate, e i misoneisti non torneranno indietro dopo avere scoperto l’agio della consegna a domicilio, vera coccola postmoderna, democratica e universale.

Beppe Severgnini ha scritto sul Corriere che lui aveva predetto, anni fa, la chiusura lenta e inesorabile dei negozi, e adesso gli dispiace avere avuto ragione. Lui sapeva che prima o poi gli e-commerce “avrebbero sfondato il muro della diffidenza italiana, sempre robusto” e soprattutto che “la società occidentale s’impigrisce in modo progressivo e rapido”. Ha ragione. Ne ha un po’ meno, forse, quando scrive che la disponibilità di film in streaming su Netflix, di amicizie su Facebook, di flirt su Tinder, di libri su Amazon, di lettori su Audible ha fatto sì che non andiamo quasi più verso le cose e pretendiamo, invece, che quelle arrivino a noi. Siamo proprio sicuri che potere comprare su Amazon un libro e riceverlo in 24 ore – dopo che per mesi lo abbiamo chiesto, richiesto, preordinato, ordinato in una libreria di certo assai bella e purtroppo gestita da uno scortese libraio, naturalmente invano – faccia di noi dei rinunciatari oziosi contenti della parte che hanno, e cioè quella di chi sta a casa in mutande a telelavorare e teleconsumare, seduti sempre sulla stessa sedia? Siamo certi che alle nostre città e alla nostra socialità farà male la riduzione dei negozi fisici e delle botteghe artigiane (estetizzante etichetta dietro la quale non di rado si nascondono rivenditori di fischietti e magneti per il frigorifero, postacci che quando firmiamo le petizioni contro “la turistizzazione selvaggia del centro storico!”, chiediamo che vengano ridotti, controllati, contingentati).

E’ possibile e auspicabile un mondo dove non troverà più spazio il pizzicagnolo che ti fa assaggiare le olive greche e ti serve prosciutto crudo tagliato al coltello davanti a te mentre discuti la legge di Bilancio guadagnandoti l’ammirazione di tutti gli altri clienti in fila dietro di te? Abbiamo bisogno di dibattere con i commessi e flirtare tra gli scaffali? Un mondo con meno negozi sarebbe più vuoto, più triste, più povero, meno seducente? E se cominciassimo a uscire di meno per comprare e di più per incontrarci, non più oberati da sacchetti e quasi mai distratti da vetrine, siamo convinti che diventeremmo pigri rinunciatari e non rimarremmo, invece, i soliti stronzi, però più liberi? “Ecco i negozi, si può tacere senza dare il silenzio come spiegazione”, cantava Battisti. E pensate al vantaggio di poter tacere senza dare il silenzio come spiegazione a chi vive in casa con noi, quando il negozio lo abbiamo nel pc del salotto.

Comunismo: quando il falso diventa vero


0
Sorvegliare e mentire: se c’è un distico che caratterizza il comunismo, come ideologia e come regime, è proprio questo. Sorvegliare e pure reprimere, ovvio; anzi in questo il comunismo non accetta confronti, salvo forse con il nazional-socialismo tedesco.
Il mentire però è una caratteristica che definisce ancor più l’esperienza storica comunista, ne è anzi il tratto saliente: il comunista è comunista soprattutto perché mente. Bisogna intendersi sul concetto di menzogna e in ciò ci aiuta l’etimologia. Proveniente dal latino mentiri, che sta anche per “indicare”, condivide la radice sanscrita men, cioè “ricordare”. Mentire quindi non significa tanto celare la verità, quanto indicarne un’altra, alternativa a quella vera. Una verità che deve essere intesa in tre forme: empirica (vero è ciò che vedo), logica (vero è ciò che è conforme al principio di non contraddizione) e ontologica (vero è ciò che è coerente con il senso metafisico).
Per questo distinguere ciò che è vero da ciò che è falso, fin dall’antica Grecia diventa uno degli obiettivi fondamentali della filosofia. Perché il falso si maschera da vero o si confonde con esso e anzi, come scrive Sant’Agostino nel De Mendacio, il falso è tanto più dannoso quanto più si presenta come vero, come gli dei pagani.
Il comunismo rappresenta l’esempio più compiuto nella storia di falso che si presenta vero. Dal punto di vista dottrinale, è infatti figlio dell’Illuminismo e della idea settecentesca di “critica”. Secondo la celebre definizione di Paul Ricoeur, Marx assieme a Nietzsche e Freud, è uno dei tre “maestri del sospetto”. E infatti per Marx quello che si presenta come “vero” è, in realtà, frutto della costruzione del mondo ideologico della classe dominante. Per Marx la realtà è già una narrazione e in qualche modo egli è il primo decostruzionista, non per caso Michel Foucault e Jacques Derrida si definivano seguaci di Marx.
Compito dei comunisti è quindi criticare, cioè decostruire, la narrazione dominante. Alla quale però, essi oppongono un’altra narrazione, che si presenta come vera: non vera in assoluto, perché la verità per Marx non esiste, ma vera agli occhi della classe operaia.
Finché i marxisti stanno all’opposizione, la critica prevale sulla costruzione della verità alternativa, anche se essa è già presente nella propaganda moderna, di cui i partiti socialisti della Seconda Internazionale, a fine Ottocento, sono gli inventori. I problemi si pongono quando il comunismo, da opposizione, diventa governo, cioè regime. Ciò avviene per la prima volta in Russia, dove la cultura politica marxista si incontra con un’altra, pure di matrice europea occidentale, ma che aveva molto attecchito nel populismo russo. Vale a dire il nichilismo di Sergej Gennadievič Nečaev, seguace del tedesco Max Stirner, per il quale la realtà è solo proiezione della volontà del soggetto individuale, il mondo esterno essendo una sua costruzione. Nonostante la cultura positivista, che pure Lenin e i bolscevichi condividono, nel regime comunista si affermano l’idea e la prassi nichilistiche che è il partito a costruire la realtà.
Da quel momento verità sarà solo ciò che viene affermato, deciso e messo in pratica dal Partito comunista. Ma poiché il Partito comunista coincide con lo Stato, i comunisti si impegnano a costruire una realtà e una verità alternative. Cosicché, da quel momento, nella propaganda comunista la menzogna diventa ciò che è vero, mentre ciò che è falso dal punto di vista empirico, logico ed ontologico, diventa il vero.
Si potrebbero riportare centinaia di esempi della realtà alternativa, fondata sulla menzogna, che i regimi comunisti, da quello sovietico a quelli sudamericani e asiatici a quello cinese, hanno costruito nel corso dei decenni, tanto che i visitatori stranieri, invitati dai regimi in quei paesi, si trovavano di fronte una sorta di Disneyland comunista: i più smaliziati se ne accorgevano e magari cambiavano idea, ma la maggioranza dei compagni di strada ci cascava o faceva finta di cascarci. Vecchia storia, si dirà. Mica tanto. In primo luogo, mentre nazismo e fascismo sono spariti da decenni, i regimi comunisti sono vivi e vegeti: da Cuba al Vietnam fino, ovviamente, alla Cina.
Che sul tema della menzogna è perfettamente in linea con la tradizione di Marx, Lenin, Stalin, Mao (del resto tutti, tranne il georgiano, sempre rivendicati laggiù). In secondo luogo, gli eredi dei Partiti comunisti sono ben attivi: dal Pd in Italia alle varie opposizioni in paesi come Ungheria e Polonia. Molti dei loro dirigenti sono cresciuti nelle scuole di partito che, anche se alle Frattocchie, condividevano l’idea di “verità” di Mosca, cioè la logica della menzogna. E che ora, nel governo Conte, ammiratori di XI ed eredi di Togliatti e di Berlinguer siano fianco a fianco spiega molte cose: tutte preoccupant

venerdì 26 giugno 2020

PEC e Covid-19: i servizi essenziali si richiedono in modalità semplificata

19/06/2020

PEC e Covid-19: i servizi essenziali si richiedono in modalità semplificata
Per contenere maggiormente il rischio di diffusione del contagio da Covid-19, l’Agenzia delle Entrate ha introdotto, per tutta la durata dell'emergenza sanitaria, alcune procedure semplificate per richiedere - anche tramite e-mail o Posta Elettronica Certificata - alcuni servizi che normalmente vengono erogati presso gli sportelli degli Uffici Territoriali.

L’emergenza sanitaria dovuta al contagio da Coronavirus ha portato le istituzioni a varare una serie di misure volte, tra le altre, a ridurre il contatto sociale con conseguente contenimento del contagio.
L’utilizzo della Posta Elettronica Certificata è sempre più lo strumento ideale scelto dalle pubbliche amministrazioni per rendere fruibili i propri servizi grazie alla tempestività dell’invio, alla certezza della ricezione da parte del destinatario, al valore legale che la stessa assume in opposizione a terzi. Non è da meno l’Agenzia delle Entrate che, proprio in questo periodo, ha introdotto alcune procedure semplificate per accedere a servizi che, normalmente, sono fruibili presso gli sportelli degli Uffici Territoriali.
In particolare, i servizi a cui, in questo periodo, è possibile accedere in modalità semplificata sono:

Richiesta di certificati

Questo servizio è dedicato alle imprese che hanno la necessità di richiedere certificati come, ad esempio, carichi pendenti, residenza fiscale, etc. La richiesta può essere effettuata tramite PEC dal soggetto interessato. Al messaggio dovranno essere allegati:
  • copia della richiesta sottoscritta dal rappresentante legale (o suo delegato) con firma autografa o richiesta sottoscritta con firma digitale;
  • eventuale documentazione allegata;
  • copia del documento di identità del richiedente, della delega e del documento d’identità del delegante;
  • attestazione di versamento (modello F24) dell’imposta di bollo dovuto sia per l’istanza che per il certificato, nonché dei diritti di ricerca.
Il certificato, sottoscritto digitalmente dal responsabile dell’ufficio o da un suo delegato, sarà trasmesso all’indirizzo PEC utilizzato per la richiesta.

Codice fiscale e tessera sanitaria

Il servizio è stato istituito in emergenza per agevolare la richiesta di attribuzione di codice fiscale/tessera sanitaria ai neonati e nei casi di comprovata urgenza. La richiesta può essere trasmessa tramite Posta Elettronica Certificata o e-mail. Il messaggio dovrà contenere:
  • copia del modello AA4/8 compilato e sottoscritto con firma autografa o lo stesso modello firmato digitalmente;
  • eventuali documenti a supporto (per esempio, certificato di nascita o dichiarazione di nascita rilasciata dall’ospedale, copia della denuncia di furto o smarrimento);
  • copia del documento di identità del richiedente.
Il certificato del codice fiscale/tessera sanitaria, sottoscritto digitalmente dal responsabile dell’ufficio o da un suo delegato, sarà trasmesso all’indirizzo e-mail o PEC utilizzato per la richiesta.

Dichiarazione di successione

In caso di presentazione della domanda di successione è necessario fare un distinguo in base al soggetto che presenta la domanda:
  1. nel caso di domanda presentata da professionisti, già è previsto l’utilizzo dei canali telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate (che si riducono al solo canale PEC in caso di invio delle dichiarazioni integrative, modificative e sostitutive di una precedente dichiarazione presentata in ufficio in modalità cartacea);
  2. nel caso in cui la domanda sia presentata dal chiamato all’eredità, questi deve inviarla online attraverso i servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate, o, in caso di impossibilità di trasmissione della dichiarazione di successione telematica o nei casi di dichiarazione integrativa di una precedente dichiarazione presentata in ufficio in modalità cartacea, inviando una e-mail o un messaggio di Posta Elettronica Certificata all’indirizzo dell’Ufficio competente in base all’ultima residenza del defunto.

Il messaggio di posta elettronica deve contenere:
  • il modello di dichiarazione di successione debitamente compilato e sottoscritto;
  • la documentazione a supporto necessaria (per esempio, copia del testamento pubblicato o estremi di registrazione);
  • dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà di essere in possesso degli originali dei documenti e delle dichiarazioni necessarie nonché della conformità a questi delle immagini inviate e contenente l’impegno a depositare in Ufficio la documentazione in originale una volta terminato il periodo emergenziale;
  • copia del documento di identità di chi presenta la dichiarazione;
  • copia del modello F24 di pagamento dei tributi dovuti in autoliquidazione o dell’apposito modello, debitamente sottoscritto, di addebito su conto corrente bancario o postale delle somme dovute.

Registrazione atti privati

Questo servizio è dedicato ai contribuenti che intendono richiedere la registrazione di un atto in questo periodo di emergenza. Fermo restando che, per i contratti di locazione, la registrazione deve avvenire tramite i canali telematici messi a disposizione dell’Agenzia delle Entrate, in tutti gli altri casi la richiesta di registrazione può essere inoltrata via e-mail o PEC inviando la seguente documentazione:
  • l’atto firmato digitalmente o copia dell’atto sottoscritto con firma autografa;
  • il modello 69 debitamente compilato e sottoscritto;
  • la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà di essere in possesso dell’atto in originale e della conformità a questo della copia e delle immagini inviate e contenente l’impegno a depositare in Ufficio l’atto in originale una volta terminato il periodo emergenziale (dichiarazione non necessaria in caso di trasmissione dell’atto sottoscritto digitalmente);
  • la copia del documento di identità del richiedente;
  • il modello di versamento dei tributi autoliquidati.

Rimborsi fiscali

Tramite questo servizio, il contribuente ha la facoltà di richiedere un rimborso di imposte diretteIVA o di altre imposte indirette, senza necessariamente recarsi presso l’ufficio territoriale di competenza. In questo caso le richieste di rimborso possono essere trasmesse tramite e-mail, Posta Elettronica Certificata o raccomandata inviando la seguente documentazione:
  • copia dell’istanza di rimborso sottoscritta con firma autografa o istanza firmata digitalmente;
  • documenti allegati necessari a dimostrare il diritto al rimborso;
  • copia del documento di identità del richiedente.
  • Le coordinate bancarie postali per l’accredito dei rimborsi possono essere comunicate all’Agenzia:
  • tramite i servizi telematici (cassetto fiscale);
  • tramite PEC, di uso esclusivo dell’interessato, trattandosi di attività non delegabile (in questo caso il modello di richiesta deve essere firmato digitalmente).

Abilitazione servizi telematici

Questo servizio consente ai contribuenti che ancora non hanno l’abilitazione ad accedere ai servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate, di richiedere le credenziali di accesso senza necessariamente recarsi presso l’ufficio territoriale di competenza.
Fermo restando il fatto che l’abilitazione ai servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate può essere richiesta attraverso il sito internet della stessa, in questo periodo di emergenza è consentito inviare il modello di richiesta, firmato digitalmente, tramite un messaggio di Posta Elettronica Certificata. L’indirizzo PEC deve essere di uso esclusivo del richiedente in modo da garantire la riservatezza della prima parte del codice pin e della password iniziale che verranno inviati dall’Agenzia. La seconda parte del pin verrà prelevata direttamente dal richiedente accedendo in un’apposita sezione dell’area riservata del sito dell’Agenzia, dedicata, appunto, agli utenti non ancora registrati e che hanno effettuato una richiesta di registrazione e seguendo le istruzioni ivi contenute.

Per maggiori informazioni consulta il sito dell’Agenzia delle Entrate

DAGOSPIA, COME E PERCHÉ – INTERVISTA: ‘’IL SITO È UN “PENSIERO DEBOLE” PERCHÉ DISDEGNA QUALSIASI COMANDAMENTO IDEOLOGICO - PER QUALE MOTIVO LA GENTE DOVREBBE SCAPICOLLARSI ALL’EDICOLA E SBORSARE DUE EURO PER COMPRARE UN GIORNALE CHE GLI DICE, NERO SU BIANCO, CHE È UN COGLIONE POLITICAMENTE DIPLOMATO SE NON LEGGE LE PIPPE DI CAROFIGLIO, UNA TESTA DI CAZZO SE MANDI A QUEL PAESE IL MEE-TO DI ASIA ARGENTO, UN DECEREBRATO SENZA SPERANZA SE TROVA FABIO FAZIO UTILE PER CAMBIARE CANALE?’’ -Sebastiano Caputo - https://www.lintellettualedissidente.it/confessioni/roberto-dagostino/ FIORELLO DAGO DAGOSPIA ROBERTO D AGOSTINO FIORELLO DAGO DAGOSPIA ROBERTO D AGOSTINO Tutte le strade di Roma portano sul Lungotevere. E di notte, in una città che si tinge di giallo ocra (e guai se il comune sostituisce quei lampioni antiquati con le luci a led, manco fossimo a Time Square) le palme fosforescenti della casa museo di Roberto D’Agostino ormai sono diventate parte integrante del paesaggio urbano. Un nuovo, e unico, esemplare di pianta, patrimonio dell’urbe, puttana e santa. Quello non è soltanto un terrazzo di un edificio qualsiasi, bensì trasposizione cinematografica del barad-dûr di Tolkien, una sorta di torre nemmeno troppo oscura, di controllo, di comando, di spionaggio e contro-spionaggio. Lì nasce Dagospia, quella è la sua inespugnabile fortezza. Ormai da 20 anni. dago con la redazione (giorgio rutelli francesco persili federica macagnone riccardo panzetta alessandro berrettoni) DAGO CON LA REDAZIONE (GIORGIO RUTELLI FRANCESCO PERSILI FEDERICA MACAGNONE RICCARDO PANZETTA ALESSANDRO BERRETTONI) Un caravanserraglio collocato sulla riva sinistra del fiume dove si incrociano persone, circolano informazioni, si parla del più e del meno, e ogni tanto, nemmeno troppo raramente, escono fuori grandi retroscena. DAGOSPIA LETTURA OBBLIGATA - DA IL GIORNALE DAGOSPIA LETTURA OBBLIGATA - DA IL GIORNALE Dagospia non è una preghiera laica del mattino, ma un manuale romanzato di guerriglia per chi vuole imparare a muovere i passi tra i luoghi della mondanità (anche se “non ce so’ più le feste de ‘na volta” come disse al Bestiario il mitico Luciano Bacco) e i palazzi del potere, quelli veri. dago con la redazione e gli studenti all'ingresso della dining hall dell'oriel college di oxford DAGO CON LA REDAZIONE E GLI STUDENTI ALL'INGRESSO DELLA DINING HALL DELL'ORIEL COLLEGE DI OXFORD Molti, per anni, hanno considerato i contenuti pubblicati su un sito apparentemente trash (ma non kitsch bensì camp) “stupidi pettegolezzi”, ignari della filosofia profonda di questo girone dantesco di articoli e racconti fotografici in cui esistono tantissimi e psichedelici livelli di lettura che molte volte si sovrappongono fino a svelare storie di letto, di potere, o tutte e due insieme. In barba a qualsiasi “classifica di segretezza”. vincino 15 anni dagospia VINCINO 15 ANNI DAGOSPIA Su Dagospia, niente è segreto, segretissimo, riservatissimo, riservato. E se Filippo Ceccarelli ci ha scritto un libro, raccontando la storia d’Italia attraverso il sesso, nella sua dimensione pubblica e privata, da Mussolini a Vallettopoli bis, Roberto D’Agostino invece ci ha fatto un sito internet, con milioni di visitatori al giorno, e la capacità incredibile di coniare neologismi e nomignoli per tutti i suoi protagonisti, dai più ai meno noti. È un arte tutta italiana, ormai dimenticata dai super mega direttori, quella di riuscire a inventare parole, definizioni, espressioni, e che oggi, morti Gianni Brera e Tommaso Labranca, eredi dei Longanesi, dei Maccari e dei Papini, non si vede quasi più. francesco persili riccardo panzetta dago alessandro berrettoni federica macagnone FRANCESCO PERSILI RICCARDO PANZETTA DAGO ALESSANDRO BERRETTONI FEDERICA MACAGNONE Chi è, chi non è, chi si crede di essere Roberto D’Agostino. Definirlo ribelle o incarnazione dello spirito decadente del nostro tempo è profondamente sbagliato, “Rda” non è altro che un artista che oltre ad essersi inventato un genere giornalistico-letterario, è riuscito a fabbricare uno star system italiano composto da intellettuali, soubrette, personaggi dello spettacolo affermati, emergenti o tramontati, finanzieri, politici di ogni Repubblica, e a dissacrarlo a suo piacimento. Guarda Dagospia GUARDA DAGOSPIA “Avendo io vissuto quel periodo negli anni Sessanta mi sono ritrovato in questa filosofia della Silicon Valley”, ci confessa al telefono. Dagospia infatti è un social network –“de noantri”, nella sua accezione positiva e italianissima – della mondanità in cui invece di raccogliere dati, raccoglie i segreti, svelati per narcisismo, vanità o protagonismo dai suoi stessi protagonisti, “morti di fama” li chiama, anche a costo di farsi tenere sotto ricatto per sempre. stewart brand STEWART BRAND Del resto era l’Italia quel Paese dove non potrà mai esserci nessuna rivoluzione perché gira e rigira ci si conosce tutti. Chissà allora se in quel “tempio della magnificenza e della decadenza del mondo occidentale” (Massimiliano Parente) non si nascondano cellule dormienti. Solo i ferventi professanti della “taqiyya” potranno salvarci. Se non sarà quello stesso tempio di “mezzi divi” e starlette a dissimulare loro. S.C Sono passati vent’anni, non pochi. Quando hai capito di aver fatto il botto? stewart brand STEWART BRAND Il botto con Dagospia non si può fare perché non è in formato analogico. Nel digitale non abbassiamo quasi mai la saracinesca, è un flusso continuo. I click sono tanti, ma la verità è che il mondo di carta è un mondo lontano e contrario al nostro. Dagospia è un “pensiero debole”, una tavola da surf che cavalca le onde in tempo reale della realtà. Non diciamo al lettore come deve vivere, pensare, votare. Col mondo digitale, quello che era considerato il popolo bue, una volta che ha preso in mano il mouse è diventato un popolo toro. E quindi tu non hai mai pensato a un supporto cartaceo in questi 20 anni? In vent’anni non ho mai scritto un editoriale, perché è proprio il contrario della filosofia del web. Che ha origine dall’hippismo californiano, teorizzato da Stewart Brand, padre spirituale della controcultura degli anni ’70 (a cui Steve Jobs rubò la frase “Stay hungry, stay foolish”), che teorizzò la rivoluzione digitale con un testo che aveva per titolo un videogioco, “Spacewars”, che metteva il dito nel nuovo orizzonte mentale da cui tutto proviene. stewart brand STEWART BRAND Il vero atto geniale fu di trasformare il computer, fino allora in dotazione solo all’esercito e alle grandi aziende, in uno strumento personale, individuale, da mettere sulla tua scrivania. A Brand si deve anche la geniale espressione ‘’personal computer’’: “Puoi provare a cambiare la testa della gente, ma stai solo perdendo tempo. Cambia gli strumenti che hanno in mano e cambierai il mondo”. Il segreto del successo della rivoluzione del Web è l’interattività: mentre la letteratura isola, la televisione esclude, il cinema rende passivo lo spettatore, la rivoluzione digitale, al pari dei videogiochi, include. Dalla platea al palcoscenico. Non siamo più semplici spettatori ma protagonisti. Arbasino e Dago ARBASINO E DAGO Con i social, il narcisismo ognuno di noi ha trovato la maniera di dire quello che gli frullava nella testa. Ovviamente, le polemiche quali sono state? Fake news, leoni da tastiera, volgarità a gogò… ma siamo 7 miliardi e 700 milioni di abitanti, di cui 3 milioni e mezzo sono connessi. Ora, su questi numeri, è ovvio che devi prevedere una quantità di idioti, di cretini, di maleducati. Del resto, l’essere umano non è mai stato perfetto… LEE WEB LEE WEB Quando Umberto Eco disse che Internet dà la facoltà a qualsiasi imbecille di dire la sua stronzata, io gli risposi: “Scusi, esimio professore, quando Lei è in aula al DAMS di Bologna, i suoi studenti hanno tutti la stessa capacità? Hanno tutti la stessa qualità? Hanno tutti la stessa educazione e cultura?”. È chiaro che gran parte di queste polemiche sono un gigantesco rosicamento con versamento di bile che ha avuto il mondo analogico della carta stampata. Prima, imperanti le ideologie, ogni mattina l’editoriale dava la linea al popolo-bue, alle 20 poi toccava al telegiornale condizionare il consenso dei cittadini. TIM BERNERS LEE TIM BERNERS LEE Poi, con Internet, nulla è stato come prima: nessuno sta più alle 8 di sera ad aspettare il bollettino di Saxa Rubra, nessuno sta più ad aspettare che la mattina si apra un’edicola per avere notizie. Oggi hai in tasca un computer chiamato smartphone. E tutto questo ha spazzato il loro potere. È quella famosa battaglia, duello, sfida, tra popolo “armato” di connessione ed élite appesa alla biblioteca. E costantemente dobbiamo leggere articoli di tipini col ditino alzato che sentenziano che siamo trash e cafoni, ignoranti e teste di cazzo se ci sollazziamo con Maria De Filippi anziché con Corrado Augias. DAGO - Quelli della notte DAGO - QUELLI DELLA NOTTE E nessuno di tali sapientoni si chiede per quale motivo la gente dovrebbe scapicollarsi all’edicola e sborsare due euro per comprare un giornale che gli dice, nero su bianco, che è un coglione politicamente diplomato se non legge Carofiglio, una testa di cazzo se mandi a quel paese il Mee-to di Asia Argento, un decerebrato senza speranza se trovi Fabio Fazio utile per cambiare canale. Con il sito, dato che non sto scrivendo i dieci comandamenti, considerando la verità solo un punto di vista, tra un dagoreport e un cafonal, scodello una selezione di notizie che credo che valga la pena di leggere presa dai giornali. stewart brand STEWART BRAND Poi sarà il lettore a farsi un’idea di dove siamo finiti e a farsi il proprio editoriale. Io non voglio dare nessuna indicazione, io sto qui a prospettare quello che è lo spirito del tempo. Il principio culturale che ho sempre avuto nel mio lavoro è questo: ognuno vede quello che sa. Dato che, come dicevano i pizzicaroli e i baristi, “il cliente ha sempre ragione”, ho fatto anche una mossa anti Dagospia: ho tolto il sommario, lasciando l’occhiello e ampliando il titolo. Perché, sparando oltre 100 pezzi ogni giorno, molti lettori non hanno il tempo per poter leggere tutti gli articoli. In modo tale che leggendo solamente i titoloni, possa farsi un’idea di ciò che sta succedendo intorno a lui. DAGO 1 DAGO 1 Dagospia è un unicum del giornalismo mondiale anche perché è profondamente italiano. Però volevo sapere se vent’anni fa, quando ti è venuta l’idea, ti sei ispirato ad un progetto preesistente. Avevo un amico che mi ha introdotto in questo mondo, che aveva vissuto come me gli anni del Flower Power, del Peace & Love, delle canne e degli acidi. Perché siamo arrivati alla rivoluzione digitale grazie agli hippies, ai freaks, ai beatnick della California degli Anni 70. Che avevano un proposito ben chiaro, prendere le distanze dal sistema, dall’American Dream, dal maledetto Secolo Breve delle guerre mondiali e dell’Atomica. allen ginsberg by richard avedon ALLEN GINSBERG BY RICHARD AVEDON E lo hanno fatto. Ma senza appoggiarsi all’ideologia, alla politica politicante, come in Europa. Dove l’obiettivo finale è abbattere il Palazzo, la rivoluzione, il sole dell’avvenire, etc. No, come Ginsberg, Ferlinghetti, Kerouac, Ken Kesey, l’hippismo aveva messo radici profonde nel buddismo del vicino oriente. E fra Zen e Budda, il freak aveva capito che l’energia dell’essere umano, non essendo illimitata, non andava sprecata in modalità distruttiva ma creativa. Anziché assediare la Casa Bianca, intrupparsi in qualche partito da combattimento, o mettersi in fila per un posto all’IBM, mejo rinchiudersi in un garage e inventarsi con quattro pezzi di metallo un computer, come appunto fece Steve Jobs. stewart brand STEWART BRAND Non a caso nessuno degli attuali padroni del mondo, da Bezos a Zuckerberg, da Jobs al duo di Google fino a Bill Gates, ha conseguito una laurea a Stanford o ad Harvard. Non a caso nei social c’è un termine fondamentale per la sottocultura hippie: comunity. Non a caso Facebook segue i vecchi dettami del Peace & Love e ha solo il “mi piace”. La scelta di stare fuori dal sistema è stata fatta con determinazione e spirito pratico, magari senza avere un’idea precisa di quello che sarebbe poi avvenuto. Da una parte. Dall’altra il Sistema, il Potere era ben felice e tranquillo, visto le insurrezioni e il terrorismo che stava sconvolgendo l’Europa. De Crescenzo Arbore e Dago - anni '80 DE CRESCENZO ARBORE E DAGO - ANNI '80 Il Sistema americano era ben felice che le comunità freak e hippie, anziché gettare molotov e ammazzare la gente per strada, si trastullassero inventando videogiochi e computer, senza dar fastidio al manovratore, fuori da ogni contestazione politica. Una miopia che poi hanno pagato in termini pesantissimi: Microsoft si è mangiata l’IBM, Netflix ha oscurato Hollywood, Amazon dove va non fa prigionieri, Spotify ha conquistato l’industria musicale. Dago in The Sky DAGO IN THE SKY Avete mai letto dichiarazioni politiche dei vari pionieri del web Gates, Bezos, Jobs? No, perché sprecare energia e retorica contro il vecchio mondo? Più facile creare un Nuovo Mondo. Anzi, un mondo parallelo partendo da Space Invaders che ha portato via il calciobalilla dai bar e che per la prima volta ci ha fatto interagire con uno schermo. E dopo venti anni Jobs presenterà il primo modello di Iphone (9 gennaio 2007, San Francisco). dago togato DAGO TOGATO Quello che Jobs e compagni avevano capito è questo: se tu vuoi cambiare la testa di una persona non riuscirai mai a farlo con le parole. Se tu vuoi cambiare una persona gli devi dare in mano uno strumento, un utensile, un oggetto. L’essere umano nel corso della sua millenaria vita non è cambiato per una ideologia, per una religione, per un partito, per il comunismo, per il liberalismo, per il femminismo. L’uomo nel corso del tempo è cambiato perché un giorno ha scoperto il fuoco, il coltello, la ruota, il fucile, il treno a vapore, la lampadina, la pillola anticoncezionale, il telefonino, etc.. Sono gli oggetti che cambiano il mondo, non le ideologie. Si è molto americana come cosa, tutta l’ideologia della prassi, della realtà… Ma la stessa cosa che successe quando arrivò il Rinascimento. Che noi italiani lo identifichiamo con i capolavori di Michelangelo, Leonardo, Caravaggio. Invece il grande passaggio dal Medioevo al Rinascimento è soprattutto merito dell’invenzione dei caratteri mobili di stampa ad opera di un tipografo tedesco di nome Gutenberg. Strumento che permetteva il passaggio della conoscenza dalla élite di papi, principi e monaci alle nuove classi emergenti. STEVE JOBS STEVE JOBS Mentre lasciava sul campo, stecchita, buona parte della cultura orale (ai tempi dominatrice indiscussa di un mondo di analfabeti), apriva orizzonti sconfinati al pensiero umano, alla sua libertà e alla sua forza. Di fatto scardinava un privilegio che per secoli aveva inchiodato la diffusione delle idee e delle informazioni al controllo dei potenti di turno. Per far circolare le proprie idee non era più necessario disporre di una rete di monaci amanuensi. Una smagliante accelerazione tecnologica che ha terremotato la postura mentale degli umani, dando vita al Rinascimento, alla modernità, all’Illuminismo. Tim Berners Lee TIM BERNERS LEE Io credo che quello a cui noi stiamo assistendo con la rivoluzione digitale sia un procedimento tutto sommato simile, anche se in scala enormemente più vasta, al Rinascimento. In tutto il mondo, dal deserto del Sahara sotto le tende dei beduini ai villaggi del Bangladesh o in un’isola sperduta della Polinesia, chiunque con una connessione e un computer può accedere alla biblioteca di Babele, alla biblioteca totale. C’è la totale disponibilità della cultura, dei libri, della lettura a tutti. Questo non può non produrre che un Rinascimento Digitale, una mutazione che noi adesso non possiamo neanche immaginare. bill gates e steve jobs copia 2 BILL GATES E STEVE JOBS COPIA 2 Vista questa consapevolezza della rivoluzione digitale in cui siamo, ti manca lavorare in TV? La TV l’ho fatta per tantissimi anni, in Rai. Ho cominciato nel ’76 mettendo le musiche per “Odeon”, poi ho partecipato alla scrittura del varietà di Rai1 ‘’Sotto le Stelle’’, poi “Mister Fantasy” come autore, però in video ci sono andato solamente con Arbore a ‘’Quelli della notte’’, nel 1985, ma sempre come partecipante. Poi due anni di ‘’Domenica in’’ con Boncompagni. Non ho mai avuto nessuna intenzione di fare un programma televisivo, perché implica un lavoro collettivo: non è che vai lì e quello che fai tu è quello che poi alla fine la gente vede, ed è un aspetto che non mi è mai piaciuto. Stephen Wozniak Steve Jobs STEPHEN WOZNIAK STEVE JOBS Quindi ho sempre preferito il ruolo di ospite. A un certo punto hanno detto: «Ah è facile stare sul divano a fare il criticone». E allora horealizzato un programma solo per soddisfazione personale, per far vedere cosa può essere la televisione contemporanea. Ed ecco 30 puntate di ‘’Dago in the Sky’’. La TV di oggi è radiofonica, si chiacchiera da un talk all’altro; io posso seguire la Gruber o Vespa anche lavorando, non c’è quasi mai bisogno di alzare gli occhi. La televisione è immagine in movimento e oggi la fanno Netflix, Amazon Prime… stewart brand STEWART BRAND Dagospia chiaramente ha uno dei punti di forza nel fare leva sull’ego delle persone. Tu ti aspettavi un’élite italiana, cultural-mondana e intellettuale, così vanitosa come l’hai scoperta in questi vent’anni di Dagospia? Hanno ripubblicato da poco un formidabile libro degli anni Ottanta, si intitola ‘’La cultura del narcisismo’’ ed è stato scritto dal sociologo Christopher Lasch. Se lo riprendi in mano già si intravede, a partire da quel decennio, il protagonismo della gente, insieme all’idea che la politica sarebbe poi diventata solo una questione di leadership. Lo abbiamo visto con Silvio Berlusconi. Prima c’era il partito, poi il segretario, alla fine è emerso il leader. Oggi la politica è dei leader, o emerge il leader oppure il partito non esiste. Quindi la cultura del narcisismo nasce in quegli anni Ottanta, l’epoca dell’edonismo reaganiano, del godimento di breve durata. Stasera è l’ultima sera. Stephen Wozniak Steve Jobs con Apple1 STEPHEN WOZNIAK STEVE JOBS CON APPLE1 Il narcisismo e l’effervescenza culturale degli anni Ottanta nel mondo è stata raccontato in maniera mirabile, mentre in Italia a causa della presenza di politici come Craxi e De Michelis, è stato schiantati dalla sinistra come gli “anni peggiori”. Ma, al di là di Chiasso, Ottanta vuol dire postmoderno nell’architettura, transavanguardia nell’arte, il successo letterario de “Il nome della rosa”, il trionfo del made in Italy nella moda, etc. Gli anni Ottanta sono anche quelli della caduta del muro di Berlino. E la cosa fantastica è che nel 1989 mentre si sbriciola la Cortina di Ferro, un grande informatico britannico come Tim Berners Lee, a Ginevra, inventa la Rete, il web, la e-mail. Un passaggio di consegne fra due epoche E la Rete non ha ideologia. Internet è amato e desiderato in tutto il mondo, non c’è un Paese che detesti internet, anche i regimi più autoritari ne hanno bisogno. ginsberg460 GINSBERG460 Con Dagospia ti sei fatto più amici o più nemici in questi anni? Abbiamo tanti conoscenti, ma pochi amici. Saranno, quando va bene, tre o quattro che senti tutti i giorni, a cui confidi i tuoi problemi, i tuoi disagi, mentre gli altri, i conoscenti, li incontri, ci parli, ci bevi un drink, e basta. L’amicizia è tutta un’altra cosa. Il fatto che poi tanti mi abbiano querelato, o insultato, fa parte delle regole del gioco. Lo Star System italiano che avete raccontato in questi anni su Dagospia esiste oppure ve lo siete inventato? E’ da un pezzo che lo Star System è senza star, sostituite ormai dal narcisismo social che ha prodotto le micro-celebrità. Poi con questa maledetta quarantena è emerso che la celebrità, la popolarità, ha senso solo nelle momenti di benessere collettivo. Quando i tempi sono bui i post e i video su Instagram dei cosiddetti famosi fanno cagare.








FIORELLO DAGO DAGOSPIA ROBERTO D AGOSTINOFIORELLO DAGO DAGOSPIA ROBERTO D AGOSTINO
Tutte le strade di Roma portano sul Lungotevere. E di notte, in una città che si tinge di giallo ocra (e guai se il comune sostituisce quei lampioni antiquati con le luci a led, manco fossimo a Time Square) le palme fosforescenti della casa museo di Roberto D’Agostino ormai sono diventate parte integrante del paesaggio urbano.

Un nuovo, e unico, esemplare di pianta, patrimonio dell’urbe, puttana e santa. Quello non è soltanto un terrazzo di un edificio qualsiasi, bensì trasposizione cinematografica del barad-dûr di Tolkien, una sorta di torre nemmeno troppo oscura, di controllo, di comando, di spionaggio e contro-spionaggio. Lì nasce Dagospia, quella è la sua inespugnabile fortezza. Ormai da 20 anni.
dago con la redazione (giorgio rutelli francesco persili federica macagnone riccardo panzetta alessandro berrettoni)DAGO CON LA REDAZIONE (GIORGIO RUTELLI FRANCESCO PERSILI FEDERICA MACAGNONE RICCARDO PANZETTA ALESSANDRO BERRETTONI)

Un caravanserraglio collocato sulla riva sinistra del fiume dove si incrociano persone, circolano informazioni, si parla del più e del meno, e ogni tanto, nemmeno troppo raramente, escono fuori grandi retroscena.
DAGOSPIA LETTURA OBBLIGATA - DA IL GIORNALEDAGOSPIA LETTURA OBBLIGATA - DA IL GIORNALE

Dagospia non è una preghiera laica del mattino, ma un manuale romanzato di guerriglia per chi vuole imparare a muovere i passi tra i luoghi della mondanità (anche se “non ce so’ più le feste de ‘na volta” come disse al Bestiario il mitico Luciano Bacco) e i palazzi del potere, quelli veri.
dago con la redazione e gli studenti all'ingresso della dining hall dell'oriel college di oxfordDAGO CON LA REDAZIONE E GLI STUDENTI ALL'INGRESSO DELLA DINING HALL DELL'ORIEL COLLEGE DI OXFORD

Molti, per anni, hanno considerato i contenuti pubblicati su un sito apparentemente trash (ma non kitsch bensì camp) “stupidi pettegolezzi”, ignari della filosofia profonda di questo girone dantesco di articoli e racconti fotografici in cui esistono tantissimi e psichedelici livelli di lettura che molte volte si sovrappongono fino a svelare storie di letto, di potere, o tutte e due insieme. In barba a qualsiasi “classifica di segretezza”.

vincino 15 anni dagospiaVINCINO 15 ANNI DAGOSPIA



Su Dagospia, niente è segreto, segretissimo, riservatissimo, riservato. E se Filippo Ceccarelli ci ha scritto un libro, raccontando la storia d’Italia  attraverso il sesso, nella sua dimensione pubblica e privata, da Mussolini a Vallettopoli bis, Roberto D’Agostino invece ci ha fatto un sito internet, con milioni di visitatori al giorno, e la capacità incredibile di coniare neologismi e nomignoli per tutti i suoi protagonisti, dai più ai meno noti.

È un arte tutta italiana, ormai dimenticata dai super mega direttori, quella di riuscire a inventare parole, definizioni, espressioni, e che oggi, morti Gianni Brera e Tommaso Labranca, eredi dei Longanesi, dei Maccari e dei Papini, non si vede quasi più.
francesco persili riccardo panzetta dago alessandro berrettoni federica macagnoneFRANCESCO PERSILI RICCARDO PANZETTA DAGO ALESSANDRO BERRETTONI FEDERICA MACAGNONE

Chi è, chi non è, chi si crede di essere Roberto D’Agostino. Definirlo ribelle o incarnazione dello spirito decadente del nostro tempo è profondamente sbagliato, “Rda” non è altro che un artista che oltre ad essersi inventato un genere giornalistico-letterario, è riuscito a fabbricare uno star system italiano composto da intellettuali, soubrette, personaggi dello spettacolo affermati, emergenti o tramontati, finanzieri, politici di ogni Repubblica, e a dissacrarlo a suo piacimento.
Guarda DagospiaGUARDA DAGOSPIA

“Avendo io vissuto quel periodo negli anni Sessanta mi sono ritrovato in questa filosofia della Silicon Valley”, ci confessa al telefono. Dagospia infatti è un social network –“de noantri”, nella sua accezione positiva e italianissima – della mondanità in cui invece di raccogliere dati, raccoglie i segreti, svelati per narcisismo, vanità o protagonismo dai suoi stessi protagonisti, “morti di fama” li chiama, anche a costo di farsi tenere sotto ricatto per sempre.

stewart brandSTEWART BRAND
Del resto era l’Italia quel Paese dove non potrà mai esserci nessuna rivoluzione perché gira e rigira ci si conosce tutti. Chissà allora se in quel “tempio della magnificenza e della decadenza del mondo occidentale” (Massimiliano Parente) non si nascondano cellule dormienti. Solo i ferventi professanti della “taqiyya” potranno salvarci. Se non sarà quello stesso tempio di “mezzi divi” e starlette a dissimulare loro.

S.C

Sono passati vent’anni, non pochi. Quando hai capito di aver fatto il botto?
stewart brandSTEWART BRAND
Il botto con Dagospia non si può fare perché non è in formato analogico. Nel digitale non abbassiamo quasi mai la saracinesca, è un flusso continuo. I click sono tanti, ma la verità è che il mondo di carta è un mondo lontano e contrario al nostro. Dagospia è un “pensiero debole”, una tavola da surf che cavalca le onde in tempo reale della realtà.

Non diciamo al lettore come deve vivere, pensare, votare. Col mondo digitale, quello che era considerato il popolo bue, una volta che ha preso in mano il mouse è diventato un popolo toro.

E quindi tu non hai mai pensato a un supporto cartaceo in questi 20 anni?
In vent’anni non ho mai scritto un editoriale, perché è proprio il contrario della filosofia del web. Che ha origine dall’hippismo californiano, teorizzato da Stewart Brand, padre spirituale della controcultura degli anni ’70 (a cui Steve Jobs rubò la frase “Stay hungry, stay foolish”), che teorizzò la rivoluzione digitale con un testo che aveva per titolo un videogioco, “Spacewars”, che metteva il dito nel nuovo orizzonte mentale da cui tutto proviene.
stewart brandSTEWART BRAND


Il vero atto geniale fu di trasformare il computer, fino allora in dotazione solo all’esercito e alle grandi aziende, in uno strumento personale, individuale, da mettere sulla tua scrivania. A Brand si deve anche la geniale espressione ‘’personal computer’’: “Puoi provare a cambiare la testa della gente, ma stai solo perdendo tempo. Cambia gli strumenti che hanno in mano e cambierai il mondo”.

Il segreto del successo della rivoluzione del Web è l’interattività: mentre la letteratura isola, la televisione esclude, il cinema rende passivo lo spettatore, la rivoluzione digitale, al pari dei videogiochi, include. Dalla platea al palcoscenico. Non siamo più semplici spettatori ma protagonisti.
Arbasino e DagoARBASINO E DAGO
  
Con i social, il narcisismo ognuno di noi ha trovato la maniera di dire quello che gli frullava nella testa. Ovviamente, le polemiche quali sono state? Fake news, leoni da tastiera, volgarità a gogò… ma siamo 7 miliardi e 700 milioni di abitanti, di cui 3 milioni e mezzo sono connessi. Ora, su questi numeri, è ovvio che devi prevedere una quantità di idioti, di cretini, di maleducati. Del resto, l’essere umano non è mai stato perfetto…

LEE WEBLEE WEB
Quando Umberto Eco disse che Internet dà la facoltà a qualsiasi imbecille di dire la sua stronzata, io gli risposi: “Scusi, esimio professore, quando Lei è in aula al DAMS di Bologna, i suoi studenti hanno tutti la stessa capacità? Hanno tutti la stessa qualità? Hanno tutti la stessa educazione e cultura?”.

È chiaro che gran parte di queste polemiche sono un gigantesco rosicamento con versamento di bile che ha avuto il mondo analogico della carta stampata. Prima, imperanti le ideologie, ogni mattina l’editoriale dava la linea al popolo-bue, alle 20 poi toccava al telegiornale condizionare il consenso dei cittadini.

TIM BERNERS LEETIM BERNERS LEE
Poi, con Internet, nulla è stato come prima: nessuno sta più alle 8 di sera ad aspettare il bollettino di Saxa Rubra, nessuno sta più ad aspettare che la mattina si apra un’edicola per avere notizie. Oggi hai in tasca un computer chiamato smartphone. E tutto questo ha spazzato il loro potere.

È quella famosa battaglia, duello, sfida, tra popolo “armato” di connessione ed élite appesa alla biblioteca. E costantemente dobbiamo leggere articoli di tipini col ditino alzato che sentenziano che siamo trash e cafoni, ignoranti e teste di cazzo se ci sollazziamo con Maria De Filippi anziché con Corrado Augias.

DAGO - Quelli della notteDAGO - QUELLI DELLA NOTTE
E nessuno di tali sapientoni si chiede per quale motivo la gente dovrebbe scapicollarsi all’edicola e sborsare due euro per comprare un giornale che gli dice, nero su bianco, che è un coglione politicamente diplomato se non legge Carofiglio, una testa di cazzo se mandi a quel paese il Mee-to di Asia Argento, un decerebrato senza speranza se trovi Fabio Fazio utile per cambiare canale.

Con il sito, dato che non sto scrivendo i dieci comandamenti, considerando la verità solo un punto di vista, tra un dagoreport e un cafonal, scodello una selezione di notizie che credo che  valga la pena di leggere presa dai giornali.
stewart brandSTEWART BRAND

Poi sarà il lettore a farsi un’idea di dove siamo finiti e a farsi il proprio editoriale. Io non voglio dare nessuna indicazione, io sto qui a prospettare quello che è lo spirito del tempo. Il principio culturale che ho sempre avuto nel mio lavoro è questo: ognuno vede quello che sa.


Dato che, come dicevano i pizzicaroli e i baristi, “il cliente ha sempre ragione”, ho fatto anche una mossa anti Dagospia: ho tolto il sommario, lasciando l’occhiello e ampliando il titolo. Perché, sparando oltre 100 pezzi ogni giorno, molti lettori non hanno il tempo per poter leggere tutti gli articoli. In modo tale che leggendo solamente i titoloni, possa farsi un’idea di ciò che sta succedendo intorno a lui.
DAGO 1DAGO 1

Dagospia è un unicum del giornalismo mondiale anche perché è profondamente italiano. Però volevo sapere se vent’anni fa, quando ti è venuta l’idea, ti sei ispirato ad un progetto preesistente.
Avevo un amico che mi ha introdotto in questo mondo, che aveva vissuto come me gli anni del Flower Power, del Peace & Love, delle canne e degli acidi. Perché siamo arrivati alla rivoluzione digitale grazie agli hippies, ai freaks, ai beatnick della California degli Anni 70. Che avevano un proposito ben chiaro, prendere le distanze dal sistema, dall’American Dream, dal maledetto Secolo Breve delle guerre mondiali e dell’Atomica.


allen ginsberg by richard avedonALLEN GINSBERG BY RICHARD AVEDON
E lo hanno fatto. Ma senza appoggiarsi all’ideologia, alla politica politicante, come in Europa. Dove l’obiettivo finale è abbattere il Palazzo, la rivoluzione, il sole dell’avvenire, etc. No, come Ginsberg, Ferlinghetti, Kerouac, Ken Kesey, l’hippismo aveva messo radici profonde nel buddismo del vicino oriente.

E fra Zen e Budda, il freak aveva capito che l’energia dell’essere umano, non essendo illimitata, non andava sprecata in modalità distruttiva ma creativa. Anziché assediare la Casa Bianca, intrupparsi in qualche partito da combattimento, o mettersi in fila per un posto all’IBM, mejo rinchiudersi in un garage e inventarsi con quattro pezzi di metallo un computer, come appunto fece Steve Jobs.
stewart brandSTEWART BRAND

Non a caso nessuno degli attuali padroni del mondo, da Bezos a Zuckerberg, da Jobs al duo di Google fino a Bill Gates, ha conseguito una laurea a Stanford o ad Harvard. Non a caso nei social c’è un termine fondamentale per la sottocultura hippie: comunity. Non a caso Facebook segue i vecchi dettami del Peace & Love e ha solo il “mi piace”.

La scelta di stare fuori dal sistema è stata fatta con determinazione e spirito pratico, magari senza avere un’idea precisa di quello che sarebbe poi avvenuto. Da una parte. Dall’altra il Sistema, il Potere era ben felice e tranquillo, visto le insurrezioni e il terrorismo che stava sconvolgendo l’Europa.
De Crescenzo Arbore e Dago - anni '80DE CRESCENZO ARBORE E DAGO - ANNI '80

Il Sistema americano era ben felice che le comunità freak e hippie, anziché gettare molotov e ammazzare la gente per strada, si trastullassero inventando videogiochi e computer, senza dar fastidio al manovratore, fuori da ogni contestazione politica. Una miopia che poi hanno pagato in termini pesantissimi: Microsoft si è mangiata l’IBM, Netflix ha oscurato Hollywood, Amazon dove va non fa prigionieri, Spotify ha conquistato l’industria musicale.
Dago in The SkyDAGO IN THE SKY

Avete mai letto dichiarazioni politiche dei vari pionieri del web Gates, Bezos, Jobs? No, perché sprecare energia e retorica contro il vecchio mondo? Più facile creare un Nuovo Mondo. Anzi, un mondo parallelo partendo da Space Invaders che ha portato via il calciobalilla dai bar e che per la prima volta ci ha fatto interagire con uno schermo. E dopo venti anni Jobs presenterà il primo modello di Iphone (9 gennaio 2007, San Francisco).

dago togatoDAGO TOGATO
Quello che Jobs e compagni avevano capito è questo: se tu vuoi cambiare la testa di una persona non riuscirai mai a farlo con le parole. Se tu vuoi cambiare una persona gli devi dare in mano uno strumento, un utensile, un oggetto. L’essere umano nel corso della sua millenaria vita non è cambiato per una ideologia, per una religione, per un partito, per il comunismo, per il liberalismo, per il femminismo. L’uomo nel corso del tempo è cambiato perché un giorno ha scoperto il fuoco, il coltello, la ruota, il fucile, il treno a vapore, la lampadina, la pillola anticoncezionale, il telefonino, etc.. Sono gli oggetti che cambiano il mondo, non le ideologie.

Si è molto americana come cosa, tutta l’ideologia della prassi, della realtà…
Ma la stessa cosa che successe quando arrivò il Rinascimento. Che noi italiani lo identifichiamo con i capolavori di Michelangelo, Leonardo, Caravaggio. Invece il grande passaggio dal Medioevo al Rinascimento è soprattutto merito dell’invenzione dei caratteri mobili di stampa ad opera di un tipografo tedesco di nome Gutenberg. Strumento che permetteva il passaggio della conoscenza dalla élite di papi, principi e monaci alle nuove classi emergenti.
STEVE JOBSSTEVE JOBS

Mentre lasciava sul campo, stecchita, buona parte della cultura orale (ai tempi dominatrice indiscussa di un mondo di analfabeti), apriva orizzonti sconfinati al pensiero umano, alla sua libertà e alla sua forza. Di fatto scardinava un privilegio che per secoli aveva inchiodato la diffusione delle idee e delle informazioni al controllo dei potenti di turno.

Per far circolare le proprie idee non era più necessario disporre di una rete di monaci amanuensi. Una smagliante accelerazione tecnologica che ha terremotato la postura mentale degli umani, dando vita al Rinascimento, alla modernità, all’Illuminismo.
Tim Berners LeeTIM BERNERS LEE

Io credo che quello a cui noi stiamo assistendo con la rivoluzione digitale sia un procedimento tutto sommato simile, anche se in scala enormemente più vasta, al Rinascimento.
In tutto il mondo, dal deserto del Sahara sotto le tende dei beduini ai villaggi del Bangladesh o in un’isola sperduta della Polinesia, chiunque con una connessione e un computer può accedere alla biblioteca di Babele, alla biblioteca totale. C’è la totale disponibilità della cultura, dei libri, della lettura a tutti. Questo non può non produrre che un Rinascimento Digitale, una mutazione che noi adesso non possiamo neanche immaginare.

bill gates e steve jobs copia 2BILL GATES E STEVE JOBS COPIA 2
Vista questa consapevolezza della rivoluzione digitale in cui siamo, ti manca lavorare in TV?
La TV l’ho fatta per tantissimi anni, in Rai. Ho cominciato nel ’76 mettendo le musiche per “Odeon”, poi ho partecipato alla scrittura del varietà di Rai1 ‘’Sotto le Stelle’’, poi “Mister Fantasy” come autore, però in video ci sono andato solamente con Arbore a ‘’Quelli della notte’’, nel 1985, ma sempre come partecipante.

Poi due anni di ‘’Domenica in’’ con Boncompagni. Non ho mai avuto nessuna intenzione di fare un programma televisivo, perché implica un lavoro collettivo: non è che vai lì e quello che fai tu è quello che poi alla fine la gente vede, ed è un aspetto che non mi è mai piaciuto.
Stephen Wozniak Steve JobsSTEPHEN WOZNIAK STEVE JOBS

Quindi ho sempre preferito il ruolo di ospite. A un certo punto hanno detto: «Ah è facile stare sul divano a fare il criticone». E allora horealizzato un programma solo per soddisfazione personale, per far vedere cosa può essere la televisione contemporanea.

Ed ecco 30 puntate di ‘’Dago in the Sky’’. La TV di oggi è radiofonica, si chiacchiera da un talk all’altro; io posso seguire la Gruber o Vespa anche lavorando, non c’è quasi mai bisogno di alzare gli occhi. La televisione è immagine in movimento e oggi la fanno Netflix, Amazon Prime…


stewart brandSTEWART BRAND
Dagospia chiaramente ha uno dei punti di forza nel fare leva sull’ego delle persone. Tu ti aspettavi un’élite italiana, cultural-mondana e intellettuale, così vanitosa come l’hai scoperta in questi vent’anni di Dagospia?
Hanno ripubblicato da poco un formidabile libro degli anni Ottanta, si intitola ‘’La cultura del narcisismo’’ ed è stato scritto dal sociologo Christopher Lasch. Se lo riprendi in mano già si intravede, a partire da quel decennio, il protagonismo della gente, insieme all’idea che la politica sarebbe poi diventata solo una questione di leadership.

Lo abbiamo visto con Silvio Berlusconi. Prima c’era il partito, poi il segretario, alla fine è emerso il leader. Oggi la politica è dei leader, o emerge il leader oppure il partito non esiste. Quindi la cultura del narcisismo nasce in quegli anni Ottanta, l’epoca dell’edonismo reaganiano, del godimento di breve durata. Stasera è l’ultima sera.

Stephen Wozniak Steve Jobs con Apple1STEPHEN WOZNIAK STEVE JOBS CON APPLE1
Il narcisismo e l’effervescenza culturale degli anni Ottanta nel mondo è stata raccontato in maniera mirabile, mentre in Italia a causa della presenza di politici come Craxi e De Michelis, è stato schiantati dalla sinistra come gli “anni peggiori”. Ma, al di là di Chiasso, Ottanta vuol dire postmoderno nell’architettura, transavanguardia nell’arte, il successo letterario de “Il nome della rosa”, il trionfo del made in Italy nella moda, etc.

Gli anni Ottanta sono anche quelli della caduta del muro di Berlino. E la cosa fantastica è che nel 1989 mentre si sbriciola la Cortina di Ferro, un grande informatico britannico come Tim Berners Lee, a Ginevra, inventa la Rete, il web, la e-mail. Un passaggio di consegne fra due epoche E la Rete non ha ideologia. Internet è amato e desiderato in tutto il mondo, non c’è un Paese che detesti internet, anche i regimi più autoritari ne hanno bisogno.
ginsberg460GINSBERG460

Con Dagospia ti sei fatto più amici o più nemici in questi anni?
Abbiamo tanti conoscenti, ma pochi amici. Saranno, quando va bene, tre o quattro che senti tutti i giorni, a cui confidi i tuoi problemi, i tuoi disagi, mentre gli altri, i conoscenti, li incontri, ci parli, ci bevi un drink, e basta. L’amicizia è tutta un’altra cosa. Il fatto che poi tanti mi abbiano querelato, o insultato, fa parte delle regole del gioco.

Lo Star System italiano che avete raccontato in questi anni su Dagospia esiste oppure ve lo siete inventato?
E’ da un pezzo che lo Star System è senza star, sostituite ormai dal narcisismo social che ha prodotto le micro-celebrità. Poi con questa maledetta quarantena è emerso che la celebrità, la popolarità, ha senso solo nelle momenti di benessere collettivo. Quando i tempi sono bui i post e i video su Instagram dei cosiddetti famosi fanno cagare.