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lunedì 24 febbraio 2020

Coronavirus: gestire la quarantena in famiglia, lavarsi le mani e letti separati


Le regole dell’isolamento domiciliare: meglio allontanare anziani e bambini, usare fazzoletti di carta, disinfettare le superfici degli ambienti domestici con candeggina


Coronavirus: gestire la quarantena in famiglia, lavarsi le mani e letti separati

A casa
Ma chi, oggi, in Italia viene «isolato» a casa per colpa del nuovo coronavirus? «Chi ha avuto contatti con persone che hanno sviluppato l’infezione o chi proviene da aree dove è in atto l’epidemia», conferma Matteo Bassetti, infettivologo all’Università di Genova e presidente della Società italiana di terapia antinfettiva (Sita). Sono persone chiuse in casa ma che possono condurre una vita normalissima, rassicura l’esperto. Non senza, però, alcune precauzioni, partendo dal presupposto che chi è in «quarantena» può trasmettere il virus ad altri componenti della famiglia che devono restare isolate nell’abitazione con lui. «Intanto sarebbe bene che, anziani o bambini in famiglia, venissero allontanati» precisa Bassetti. Al momento i bambini non sembrano particolarmente colpiti dall’infezione, ma gli anziani sì, come dimostrano anche i due decessi italiani. E poi ci sono le regole igieniche, invocate da tutti per controllare l’infezione da coronavirus (ma, in generale, valide per moltissime infezioni, influenza stagionale compresa, ndr).
Lavarsi spesso le mani
La prima precauzione è quella di lavarsi spesso le mani, accuratamente. E, possibilmente, di non portarle al naso o alla bocca. E poi, nel caso di starnuti, di farlo in fazzoletti di carta, da eliminare subito. Sarebbe bene anche, per chi può, usare bagni separati dal resto della famiglia. E usare biancheria personale, da lavare spesso. «Altra precauzione — aggiunge Bassetti — disinfettare le superfici degli ambienti domestici, soprattutto bagno e cucina, con candeggina o ipoclorito di sodio. Ancora non si sa se il virus può essere trasmesso per altre vie, diverse da quella aerea. Per esempio attraverso liquidi corporei (come la pipì, ndr). O addirittura attraverso rapporti sessuali». Sarebbe bene che la persona «sospetta» non dormisse con il compagno o la compagna: meglio letti separati.

Come alimentarsi
Chi è costretto a casa deve poi pure mangiare. E se non ha fatto scorta di cibo, può ordinarlo online o chiedere la consegna a domicilio a negozi o conoscenti. L’infezione non si trasmette attraverso gli alimenti e il «delivery» non è a rischio di trasmissione di virus, anche se è bene attenersi a qualche regola igienica, magari sugli imballaggi esterni (eliminarli subito e, lavarsi sempre le mani). Altro problema, quando eventualmente si presentino sintomi respiratori, come febbre, mal di gola, respiro difficile. «La prima raccomandazione è quella di non andare al pronto soccorso, perché lì si rischia di trasmettere il virus ad altri — dice Bassetti —. Occorre chiamare il 112 o il 118, a seconda delle Regioni, e aspettare indicazioni». Gli animali domestici, cani e gatti, sarebbero al sicuro: per adesso il virus non li contagia.

23 febbraio 2020 (modifica il 23 febbraio 2020 | 08:29)


Covid-19: ecco cosa dice il decreto per contenerlo

23 FEBBRAIO 2020

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Il Consiglio dei Ministri ha varato un decreto legge per contenere l'emergenza epidemiologica nelle zone del focolaio. | Ansa - CorriereTv
Il Consiglio dei Ministri ha varato un decreto legge per contenere l'emergenza epidemiologica nelle zone del focolaio. Ecco cosa prevede: 1. Divieto di allontanamento dal Comune o dall'area interessata da parte di tutti gli individui presenti. 2. Divieto di accesso al Comune o all'area interessata. 3. Sospensione di attività di qualsiasi natura: culturale, ludico, sportivo e religioso, anche se svolti in luoghi chiusi aperti al pubblico. 4. Sospensione dei servizi educativi dell'infanzia e delle scuole di ogni ordine e grado. 5. Sospensione dei servizi di apertura al pubblico dei musei. 6. Sospensione di ogni viaggio d'istruzione, sia sul territorio nazionale sia estero. Per far si che tali norme vengano rispettate, il cdm ha previsto l'applicazione della sorveglianza attiva. Il mancato rispetto delle misure di contenimento decise sarà punito ai sensi dell'articolo 650 del codice penale. È previsto l'arresto fino a tre mesi o un'ammenda fino a 206 euro. Primi effetti del decreto, la sospensione delle partite di Serie A, Inter-Sampdoria, Atalanta Sassuolo e Verona-Cagliari.
















(Lapresse)
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domenica 23 febbraio 2020

Indifesi perché smemorati: chi ignora il passato non sa affrontare l’oggi


Una riflessione di Claudio Magris sull’«Alzheimer culturale» che colpisce i giovani: impressiona constatare quanti non sappiano chi fossero Stalin, Hitler, Craxi

Anche le epoche storiche hanno le loro malattie, che contribuiscono non soltanto a far soffrire e morire gli uomini ma pure a caratterizzare la mentalità, la cultura, la visione della vita e del mondo di una civiltà. La peste, dall’antichità di Tucidide a Boccaccio a Manzoni o a Camus; la sifilide che ancora ai tempi di Ibsen si credeva trasmissibile per via ereditaria; l’epilessia e la follia quale morbi sacri pure rivelatori di ineffabili verità; la tisi, l’alcoolismo, l’assuefazione alla droga, il cancro. La penultima malattia epocale, in ordine di tempo, è stata l’Aids. Le devastanti epidemie influenzali — come la spagnola, che fece più vittime della Prima guerra mondiale, e l’odierna paura del coronavirus — creano psicosi e isterie ma non «cultura», non sembrano influire sulla concezione del mondo.

L’ultima malattia epocale in ordine di tempo, quella attuale, sembra essere l’Alzheimer, che — come le precedenti — è all’ordine del giorno con inchieste, statistiche, testimonianze, proposte e tante confusioni relative all’età, ai sintomi, ai rimedi. Al pari delle grandi malattie del passato, pure l’Alzheimer investe il senso della vita, del tempo, dell’amore, come ad esempio nell’ultimo romanzo di Yehoshua. Ma accanto all’Alzheimer individuale o generazionale esiste pure un Alzheimer culturale, sempre più diffuso; una vera malattia mortale per la vita, la società, la politica, l’intelligenza.

Una decina di giorni fa la televisione mostrava alcuni giovani, per strada, cui veniva chiesto chi era — giusto sarebbe dire chi è — Craxi. Nessuno lo sapeva; qualcuno, dubbioso, accennava ad un possibile cantante. Anni fa ho insegnato per qualche mese al Bard College, un illustre College americano non molto lontano da New York, dove a suo tempo era stata — ed è sepolta — Hannah Arendt e dove insegnano tuttora docenti di prim’ordine. Il corso verteva sul romanzo politico del Novecento; Orwell, Koestler, i libri sui lager e sui gulag e così via. Ad un certo punto, durante la discussione al seminario, è emerso che su circa trentacinque studenti soltanto quattro o cinque sapevano chi fosse Stalin. Uno scrittore ebreo ungherese, i cui nonni erano morti ad Auschwitz, mi disse una volta che una sua nipote diciottenne, figlia di suo fratello, sapeva vagamente che Hitler era stato un uomo malvagio ma quasi niente di più.
Si tratta di un vero Alzheimer culturale collettivo, che spappola non solo e non tanto la cultura quale conoscenza della Storia o delle varie arti e scienze, bensì la conoscenza del presente che si vive. Non sapere, per un italiano, chi sia Craxi e per chiunque chi sia Hitler o Stalin non è tanto crassa ignoranza — come chi non sapesse chi sono Traiano o Caravaggio — ma è ignoranza, incoscienza, inconsapevolezza del proprio presente e dunque totale, sprovveduta impossibilità di viverlo e di affrontarlo.
Il presente, di una persona e di una società, non è soltanto il secondo o il minuto di quel momento subito svanito; è il contesto generale che avvolge, precede e continua la realtà in atto della nostra vita.
Anche il primo governo Conte è passato, non c’è più, ma è impossibile capire, valutare la situazione di oggi e quella fluttuante che si profila per domani se non si sa chi e cosa lo hanno fatto cadere. Questo presente, che non si annienta in ogni attimo ma abbraccia una fetta ben più larga di realtà, non si limita a pochi mesi. Craxi ad esempio vuol dire anche il radicale cambiamento politico in cui ancora viviamo, la trasformazione della Repubblica Italiana tuttora in corso; chi non lo sa non è solo un ignorante, ma è uno che va per strada senza sapere dove esattamente si trova, come chi ha perso la memoria e non sa tornare a casa.
La fetta di tempo che dobbiamo chiamare presente, e dunque sia pur superficialmente conoscere, è difficile da delimitare con precisione, ma è o dovrebbe essere ben chiara all’immediata, sensibile consapevolezza. I miei figli, ovviamente, non hanno vissuto la Seconda guerra mondiale, l’8 settembre, il fascismo e la Resistenza, la spaccatura dell’Italia. Ma quegli anni e quei decenni in cui essi non c’erano fanno parte del loro mondo e delle loro prese di posizione dinanzi al mondo di oggi, in cui quegli eventi sono ancora una minestra che bolle, che piace e disgusta. Per fortuna ci sono giovani e giovanissimi che sentono la necessità di appropriarsi di un tempo che li riguarda pur essendo lontano. Come ad esempio Sofia, ragazzina di tredici anni, che in un vivace dialogo con il nonno Roberto Finzi, pubblicato di recente da Einaudi, vuole capire come e perché sia stata possibile la Shoah, come e perché sia successo e cosa significhi oggi.
Ignorare chi siano stati Stalin o Hitler non è come ignorare chi sia stato Pericle — cosa certo assai grave sul piano culturale, mancanza che impoverisce la vita e l’intelligenza, ma non impedisce di attraversare la strada come l’ignoranza del semaforo rosso. La mancanza di memoria che riduce la vita a un pugno di mesi o di anni impedisce di guardarsi intorno, di orientarsi nel caos della vita e della storia e rende meno improbabile finire schiacciati. O Italiani, diceva Foscolo, vi esorto alle storie. Non voleva creare professori, ma semplicemente persone più consapevoli e dunque più agguerrite.
Questa memoria, madre delle Muse e di tutto, non ha nulla a che vedere con la registrazione meccanica di ogni granello del pulviscolo che fluttua intorno né con l’ossessiva e vendicativa memoria che rimesta tutti i torti subiti da anni o da secoli per poterli restituire con gli interessi di un rancore stratificato.
La memoria autentica non guarda indietro, perché guardare indietro è mortale. Orfeo perde Euridice perché nella tenebra degli inferi si volta verso di lei; la moglie di Lot diventa una statua di sale perché trasgredisce il divieto divino di voltarsi, di guardare solo la catastrofe della sua città. La cultura greca e quella ebraica — che hanno capito pressoché tutto della vita, della morte e della Storia — guardano avanti. Ma guardano e procedono avanti portandosi dietro il senso e il valore della propria vita, ciò che non muore. Anche Enea va a fondare un grande impero del futuro, ma portandosi dietro suo padre sulle spalle.















domenica 16 febbraio 2020

La foto delle due Italie...


Ci sono due Italie, e rischiano di essere sempre più divise: ecco perché

di Federico Fubini
Ci sono due Italie, e rischiano di essere sempre più divise: ecco perché Illustrazione di Doriano Solinas
Il governo l’altro giorno ha tentato qualcosa che, in un’Italia strangolata dalla dittatura del breve termine, si osa sempre di meno: ha guardato ai prossimi dieci anni, azzardandosi a indicare una strada. Lo ha fatto il ministro per il Sud Beppe Provenzano, quando venerdì ha presentato un piano per ridurre la frattura territoriale del Paese. Provenzano indica un gran numero di misure sulla scuola o l’uso dei fondi europei e già dai prossimi mesi la tenuta della maggioranza, assieme all’efficienza dell’amministrazione, permetteranno di capire se il suo piano può funzionare.

È però possibile fare da subito l’esperimento opposto: ci si può chiedere cosa accadrebbe, semplicemente, se non ci fosse nessun piano di questo e dei futuri governi. Si può provare a immaginare cosa sarebbe l’Italia in futuro se non succedesse nulla di nuovo. Se la grande divergenza sociale, produttiva, educativa, migratoria, demografica, sanitaria, degli stili di vita, delle aspettative e della partecipazione civica degli abitanti dei suoi territori continuasse come ha fatto negli ultimi dieci anni, o decenni. È solo un test, la proiezione arbitraria sui prossimi anni delle derive degli ultimi dieci. E come in tutti i test conviene prendere gli estremi, il Mezzogiorno e il Nord, tenendo fuori le misure spesso intermedie del Centro Italia. L’obiettivo è farsi un’idea di cosa può accadere fra quelle due aree se tutto restasse sul piano inclinato di questi anni.

Di sicuro il rapporto di forze fra Nord e Sud del Paese sarebbe destinato a cambiare. L’Istat ha mostrato nei giorni scorsi che la popolazione nelle regioni meridionali nel 2019 si è ridotta (di 129 mila persone) più che quella di tutta l’Italia nel suo complesso (scesa di 116 mila persone). In altri termini al Centro e soprattutto al Nord prosegue lentamente un incremento nel numero degli abitanti, mentre il calo delle nascite e l’aumento dell’emigrazione verso il resto del Paese stanno erodendo la popolazione delle regioni meridionali. L’Italia si riempie pian piano da una parte e si svuota rapidamente dall’altra. Le leggi della demografia sono simili a quelle dei ghiacciai, che si spostano pianissimo fino a cambiare profondamente. Oggi con quasi ventuno milioni di residenti il Mezzogiorno d’Italia per popolazione pesa per circa tre quarti del totale degli abitanti del Nord, ma cosa può succedere alle tendenze attuali? L’Istat lo mostra nelle sue previsioni: nello scenario «mediano» il numero degli abitanti del Nord cresce fino al 2042 e quello del Sud non fa che calare. Fra ventidue anni sarà meno di due terzi rispetto al settentrione.

Cause e conseguenze a quel punto si alimenteranno a vicenda nell’economia, nella vita civile e in quella quotidiana. Per esempio, gli indicatori dell’Istat mostrano che la probabilità di un laureato di lasciare il Sud fra i suoi 25 e 39 anni è salita di recente dal 31% al 35%. Più di un laureato su tre se ne va, mentre il Nord ne riceve un afflusso netto. Anche per questo fra gli abitanti di 30-34 anni l’incidenza dei laureati nel Meridione era dell’80% dei livelli settentrionali dieci anni fa, è scesa oggi al 65% e alle tendenze attuali fra dieci anni — per un pari numero di giovani — i laureati al Sud non saranno molto più della metà di quelli del Nord. A quel punto il lavoro nella parte meno ricca d’Italia potrebbe diventare sempre meno qualificato e produttivo, con il rischio di accelerare le tendenze in corso: calcoli della Banca d’Italia dei mesi scorsi mostrano che il reddito pro-capite al Sud era pari al 64% del Centro-Nord nei primi anni ’70 ma appena del 55% alla fine di questo decennio. Si può solo immaginare il seguito, se si nota che lo scarto nel tasso di occupazione è cresciuto da venti punti percentuali dieci anni fa a ventiquattro oggi e la deriva prosegue.

Gli slittamenti demografici sono poi destinati a ripercuotersi in politica. Non solo le regioni settentrionali conteranno sempre di più nei referendum e potrebbero rivendicare un peso maggiore in Parlamento o nella ripartizione del bilancio pubblico, anche la disaffezione civica di un Sud che si sente sempre più periferia irrilevante può facilmente aumentare. Se ne vedono già i segni. Fatta pari a cento l’affluenza elettorale alle europee del Nord Italia, quella meridionale negli ultimi dieci anni non ha fatto che scendere: era all’81% del Settentrione nel voto del 2009, al 74,6%% cinque anni fa e al 70% a maggio scorso. I meridionali fanno sentire sempre di meno la propria voce e si può solo chiedersi fino a che punto arriveranno nell’apatia riguardo alla cosa pubblica.

Anche la società italiana dà segni di biforcazione lungo i suoi diversi paralleli. Dieci anni fa l’aspettativa di vita nel Mezzogiorno era di appena mezzo anno inferiore al Nord, più di recente la differenza è salita a un anno e se lo slittamento prosegue sarà quasi di un anno e mezzo nel 2028. Conta anche che l’incidenza della mortalità per tumori, che dieci anni fa era più bassa al Sud, di recente ha superato i livelli del Nord. Certo l’insicurezza generale nella società meridionale è così diffusa che più persone si dichiarano preoccupate di andare in giro da sole al Sud, anche se borseggi, rapine, furti in casa e anche omicidi sono meno frequenti che nel Nord.


Gli indicatori della banca dati Istat disegnano così una nazione percorsa da incrinature che fra dieci o vent’anni — se nulla cambia — potrebbero diventare vere e proprie fratture. Ma gli italiani sono ancora tenuti insieme da alcune percezioni comuni. Uno di questi è l’amor di patria. Un altro, a un estremo e all’altro della penisola, è che esattamente il 2,5% degli abitanti dichiara oggi di fidarsi dei partiti. Non uno di più.

SUL TELELAVORO...

Coronavirus impone maxi-test mondiale sullo smart working. De Masi: "In Italia c'è una resistenza patologica"

Il sociologo all'Huffpost: "Noi italiani non concepiamo di non andare in ufficio. E i capi vogliono controllarci continuamente. Ma è il modo migliore di lavorare"

sabato 15 febbraio 2020

Prezzi case, in centro a Carrara costano quasi la metà rispetto a Massa

I numeri presentati dalla Fiaip confermano il rilevamento del 2019: al Cinquale gli immobili più cari. In Lunigiana i valori più accessibili


Massa-Carrara - Per il secondo anno consecutivo il collegio regionale Fiaip (la Federazione degli Agenti Immobiliari Professionali) ha presentato presso la sala del Gonfalone a Palazzo del Pegaso a Firenze una fotografia sull’andamento del mercato immobiliare dell’intera regione Toscana relativamente all’ultimo trimestre. Dati e statistiche per ogni singola provincia utili a dimostrare che, dopo anni di stallo, sta aumentando il numero delle compravendite mentre i prezzi rimangono stabili o sono ancora in leggera flessione.

Nel dettaglio, i valori di mercato al metro quadro elaborati da Fiaip si riferiscono sempre ad immobili residenziali non di lusso di circa 80/100 metri quadrati, in medio stato manutentivo, stimati e venduti negli ultimi tre mesi.

“L’obiettivo – ha spiegato la presidente del collegio Fiaip Massa Carrara, Annabella Covini – è quello di fornire una finestra esaustiva del mercato immobiliare toscano e, per quanto riguarda la nostra realtà, della provincia di Massa Carrara. Utile sia per i professionisti del settore che per tutti coloro che sono interessati a vendere o acquistare casa. Da precisare comunque che le quotazioni che abbiamo redatto non sono da intendersi sostitutive di una valutazione puntuale realizzata da un agente immobiliare professionista, dal momento che dobbiamo sempre prendere in considerazione variabili come la posizione, la tipologia, la dimensione, lo stato effettivo, le caratteristiche qualitative e l’efficienza energetica di ogni singolo immobile”.

A Massa i prezzi variano molto a seconda delle zone: nel centro storico si va da un minimo di 2.400 euro al metro quadro ad un massimo di 2.700 euro. Cifre che diminuiscono sensibilmente spostandosi nelle aree limitrofe al centro (dai 1.500 ai 1.800 euro al metro quadro) e in periferia (da 1.300 fino a 1.600 euro al metro quadro). Per quanto riguarda Carrara invece i valori per il centro città si confermano più bassi, oscillando da un minimo di 1.300 ad un massimo di 1.600 euro al metro quadro.

Le quotazioni si abbassano ulteriormente in località come la Lunigiana e Avenza dove la valutazione media per un immobile residenziale non di lusso ha nel primo caso un valore minimo di 800 e un valore massimo di 1.200 euro al metro quadro mentre nel secondo di 1.500 e di 1.600 euro al metro quadro. In controtendenza ovviamente la valutazione degli immobili sul litorale: Montignoso (1.700–2.500 euro al metro quadro), Marina di Carrara (1.800–2.000 euro al metro quadro), Marina di Massa (2.200–2.600 euro al metro quadro) e Cinquale (2.700–3.600 euro al metro quadro).

“L'Osservatorio Regionale nasce dal lavoro di monitoraggio svolto dai nostri 809 associati presenti sul territorio – conclude il vice presidente di Fiaip Toscana, Francesco La Commare –. Per semplificazione abbiamo scelto di fornire i dati relativi ad un immobile di quattro vani, che rappresenta il target medio delle compravendite, ma grazie all’ausilio delle tecnologie di nuova generazione siamo in grado di stabilire la quotazione di ogni singolo immobile in ogni località e persino strada della nostra regione. E’ tuttavia importante sottolineare che l’Osservatorio Immobiliare non riguarda esclusivamente i prezzi e le quotazioni degli immobili, poiché il nostro obiettivo è anche quello di osservare costantemente come si muove il mercato di tutta la Regione. Spesso, infatti, capita che le compravendite siano caratterizzate da difficoltà legate alla messa sul mercato di immobili non preventivamente controllati a livello documentale o senza un valore di mercato congruo. Per questo la nostra Federazione ha creato un metodo professionale comune a livello nazionale, ovvero l’iter procedurale Unafiaip che codifica ed esplicita una metodologia di analisi delle informazioni, gestione della trattativa e tutela del cliente propedeutico per ridurre al minimo i contenziosi”.
Venerdì 14 febbraio 2020 al

mercoledì 12 febbraio 2020

Bonus facciate 2020. Cosa fare per ottenerlo (senza ancora istruzioni chiare). La guida


di Gino Pagliuca
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88 edifici su 100 hanno più di 30 anni

Città più belle grazie al Fisco. Almeno questa è lo scopo del bonus previsto dalla Legge di bilancio 2020 (legge 160/2019, art. 1, commi da 219 a 224) e che porta dal 50 al 90% della somma spesa la detrazione Irpef, spalmata in dieci anni, per i lavori di tinteggiatura e rifacimento delle facciate. Il provvedimento nasce dalla necessità di riqualificare un patrimonio residenziale italiano spesso degradato dal punto di vista estetico, come è inevitabile dato che nel Paese 88 edifici su 100 hanno più di trent’anni. A Milano, ad esempio, gli stabili residenziali in queste condizioni sono 41 mila, nella Capitale sfiorano i 116 mila.
La legge però presenta alcune lacune che l’Agenzia delle Entrate dovrà chiarire con successive circolari. Ecco cosa sappiamo al momento.

Imprese edili: 70% fatturato da ristrutturazioni

La norma è stata voluta dal Ministero dei Beni culturali ma ha forte valenza economica perché ormai per le imprese edili le ristrutturazioni rappresentano il 70% del fatturato nel residenziale contro il 30% delle nuove costruzioni. L’opportunità aperta dalla nuova agevolazione sta riscuotendo grande interesse soprattutto nei condomini. Ma come funziona?
Innanzitutto l’edificio deve trovarsi in un’area urbanizzata (nel piano di governo del territorio sono quelle delimitate dalle lettere A e B, in pratica sono tutte le zone in cui non vi siano solo rari edifici isolati). Se l’intervento si limita a una semplice tinteggiatura della facciata non vi sono particolari regole da rispettare: l’amministratore pagherà con bonifico l’impresa prescelta e ripartirà le spese pro quota. Differentemente da quanto accade con il bonus ristrutturazione non c’è nemmeno il tetto di spesa di 96mila ad unità immobiliare, cifra che comunque una volta fatta la ripartizione millesimale ben difficilmente può essere raggiunta su una singola unità immobiliare in condominio.
Sono agevolabili gli interventi sulle superfici opache, sui balconi e sui fregi delle facciate esterne. L’agevolazione riguarda le spese sostenute nel 2020 salvo proroghe nella prossima legge di bilancio, e siccome funziona, come tutti gli altri bonus edilizi, con il criterio di cassa, si applica anche alle opere deliberate in precedenza ma pagate quest’anno.

La relazione tecnica

Nessun problema interpretativo se l’intervento riguarda un edificio e consiste nella semplice tinteggiatura: basta la delibera assembleare ed effettuare tutti i pagamenti con bonifico parlante. La procedura diventa molto più complessa nel caso in cui l’intervento sulla facciata vada oltre: se infatti l’intonacatura viene rifatta per oltre il 10% o se comunque si influenza il comportamento termico dell’edificio il bonus del 90% è subordinato al raggiungimento dei requisiti previsti dal Decreto Mise 26 giugno 2015 sulle metodologie di calcolo delle prestazioni energetiche degli edifici, e dalla tabella 2 Decreto Mise 26 gennaio 2010, sulla trasmittanza termica. Sarà quindi necessaria la redazione di una relazione tecnica da trasmettere all’Enea e i costi inevitabilmente lievitano.

I vantaggi dell’ecobonus

C’è però un’altra differenza tra il meccanismo delle due agevolazioni che potrebbe far pendere l’ago della bilancia dalla parte dell’ecobonus, l’agevolazione sulla facciate non ammette la cessione del credito (si cede l’agevolazione fiscale all’impresa e questa ne ristorna subito ai committenti una quota) e quindi chi è a rischio incapienza (quando cioè l’insieme di deduzioni e detrazioni fiscali è superiore all’Irpef lorda dovuta) deve valutare con molta attenzione l’opportunità di dare il benestare in assemblea ai lavori. La norma presenta, come sempre in questi casi, interrogativi non trascurabili per alcuni aspetti, che dovranno essere chiariti dalle Entrate. Ad esempio l’espressione «superfici opache» di sicuro esclude le superfici vetrate, ma è dubbio se ad esempio le gronde siano da considerare un elemento decorativo che rientra tra le componenti agevolabili. Anche l’espressione «facciate esterne» va precisata perché non è scontato che possano usufruire del bonus lavori che riguardino le facciate che danno all’interno di un cortile racchiuso da un intero condominio, dato che comunque sempre esterne sono. Infine un dubbio riguarda i condomini misti, dove accanto ad appartamenti si trovano negozi e uffici. Nel caso delle opere di manutenzione che danno diritto al bonus questi proprietari, se soggetti Irpef, hanno diritto al bonus, se sono soggetti Irpes no. Nel caso invece dell’ecobonus l’agevolazione vale sia su Irpef sia su Ires e indipendentemente dalla destinazione prevalente o esclusiva dell’edificio. Che quest’ultimo principio valga anche nel caso del bonus facciate dovrà confermarlo il ministero.