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venerdì 30 novembre 2018

Finalmente la scienza mi dà ragione: "si è anziani dai 75 anni in su". Come sostengo io...già da alcuni anni!

(ANSA) - Da oggi la popolazione italiana può considerarsi più giovane: si è ufficialmente "anziani" dai 75 anni in su. La svolta arriva dal Congresso nazionale della Società italiana di gerontologia e geriatria (Sigg) che si tiene a Roma. "Un 65enne di oggi ha la forma fisica e cognitiva di un 40-45enne di 30 anni fa. E un 75enne quella di un individuo che aveva 55 anni nel 1980", spiega Niccolò Marchionni, professore ordinario dell'Università di Firenze e direttore del dipartimento cardiovascolare dell'Ospedale Careggi.(ANSA). 

sabato 24 novembre 2018

Vittorino Andreoli: "Siamo la società dell'homo stupidus stupidus stupidus. Oggi solo gli imbecilli possono essere felici"

CULTURE
16/05/2018 11:34 CEST | Aggiornato 13/09/2018 13:25 CEST

Lo psichiatra ad Huffpost: "Distruttività, frustrazione e l'insicurezza sono le caratteristiche del nostro tempo. Siamo la società della paura e domina la cultura del nemico"
By Flavia Piccinni

"Viviamo in una società dominata dalle frustrazioni. La sensazione prevalente è quella di trovarsi in un ambiente in cui ci si sente esclusi, ci si sente insicuri, si ha paura. Si accumula così la frustrazione, che poi diventa rabbia. E la rabbia sa a cosa porta? Porta alla voglia di spaccare tutto. Il nostro tempo non è violento, è distruttivo".

Vittorino Andreoli, noto psichiatra e prolifico scrittore, riflette così sulla contemporaneità e sull'uomo. Lo fa nel suo ultimo romanzo, presentato al Salone del Libro di Torino, Il silenzio delle pietre (Rizzoli, pp.328). "Non credo alla divisione categorica fra romanzi e saggi" specifica lui. Non a caso, il volume è una lunga narrazione ambientata nel 2028: i tempi non sono più gli stessi, l'uomo non è più libero di scegliere, ma ha solo l'opzione benedetta dell'esilio. Che diventa mitico, e narrativo, quando si rivela volontario e scozzese. "Il mio protagonista – continua Andreoli - scappa da tutto. Scappa dai rumori, da internet, dal mondo virtuale che spaventa e occupa il tempo, impedendo di pensare. Scappa in un luogo in cui l'uomo ancora non c'è. Sceglie una baia meravigliosa, nella natura, per scampare a questa nostra società di frustrati".

Ha parlato di violenza e di distruttività. Che differenza c'è?

La violenza è finalizzata a produrre danno agli altri. Uno è geloso perché c'è qualcuno che gli ha portato via l'oggetto d'amore, e si vendica violentemente: lo ammazza. Ma, realizzato questo scopo, la violenza decade.

E la distruttività?

La distruttività invece è la tendenza a fare del danno agli altri, ma anche a se stessi. Si uccidono moglie, figli e ci si uccide. È una piccola apocalisse. Ed è molto frequente nelle famiglie oggi.

Stiamo vivendo un tempo distruttivo anche per la politica?

C'è il desiderio di fare la guerra, per mascherare situazioni personali, per fare le armi, per alimentare gli arsenali nucleari. C'è aria di guerra, e la guerra è distruttività. Lo ribadisco: la distruttività è la caratteristica fondamentale del nostro tempo.

Quali sono le altre?

La frustrazione e l'insicurezza. Siamo la società della paura. Domina la cultura del nemico.

Questo cosa comporta?

Questo uccide la speranza e la fiducia, e promuove lo stare da soli.

E poi?

Sa, c'è stato il periodo della ragione, dei lumi, delle grandi ideologie e adesso...

Adesso?

Adesso abbiamo il periodo della stupidità.

Perché dice così?

Perché governa l'irrazionalità! Domina l'assurdo. Non c'è il senso dell'etica. Peggio di così... E come conseguenza della stupidità abbiamo la regressione all'homo pulsionale.

Ricordavo che appartenessimo all'homo sapiens sapiens.

No! In questo momento storico in cui domina l'assurdo, noi siamo l'homo stupidus stupidus stupidus.

Per quale motivo?

Tutti pensano a se stessi. Nessuno pensa che siamo un Paese. E questa è la stupidità. Se oggi uno non è stupidus in questa società non può vivere.

Come ci si salva?

Facendo come il protagonista del mio romanzo, che va in un mondo bellissimo dove non esistono commendatori. Dove non esiste l'uomo. La genesi si è fermata al quinto giorno, perché il Padre eterno è molto intelligente e in una parte del mondo non ha fatto l'uomo.

Dove si concentra la stupidità oggi?

Nel potere. Il potere oggi è per definizione stupido. Io uso il potere come verbo: posso, quindi faccio. E faccio perché posso. Il potere è l'aspetto più chiaro della stupidità.

Lei si considera un uomo di potere?

No. Ho scritto dei Nessuno, quelli con la N maiuscola, perché in questa società c'è qualcuno che non è stupido, e sono i Nessuno. Io sono un Nessuno, perché non conto niente.

Ma lei conta...

Essendo Nessuno non devo accettare compromessi. Il Nessuno è colui che c'è, ma è come se non si fosse. Amo questa società, quella fatta dalle persone bellissime che non contano niente.

Non conta niente, però c'è un qualcuno, Gene Gnocchi, che le fa l'imitazione in televisione.

L'ho vista poco tempo fa. Considero l'umorismo e l'ironia come difensive. Aiutano la gente a sopravvivere. Io amo i matti, considero la follia stupenda, umana, e quello che ho sempre cercato è l'uomo rotto. E l'ho sempre cercato con un'arma, l'ironia. Anche se non l'ho mai incontrato, considero Gene Gnocchi molto bravo.

Anni fa con Andrea Purgatori su Huffington Post fece una diagnosi al nostro Paese ormai storica. Possiamo aggiornarla, questa diagnosi?

L'Italia è solo peggiorata perché non è mai stata curata.

E gli italiani?

Siamo dei masochisti felici: viviamo in un costante e grave pericolo economico e sociale, però siamo capaci di divertirci.

E poi?

Siamo frustrati. Pieni di rabbia. Darwin parlava di istinto, ma noi stiamo regredendo all'epoca della pulsionalità. Si guardi intorno.

Lo faccio ogni giorno.

Ecco: ormai non c'è l'etica, ma ci sono i comitati etici. Domina l'io e non il noi. Io voglio questo. Lo voglio, lo voglio, lo voglio.

In questo contesto, crede che sia significativo l'aumento della violenza sulle donne?

Antropologicamente, la donna è stata da sempre preda dell'uomo. Salomone, che era la saggezza del popolo, diceva: "Più terribile della morte è la donna, solo l'uomo timorato di Dio ne può scampare, mentre il peccatore ne è avvinto, abbindolato".

Dopo cosa è accaduto?

Poi è arrivato Cristo, che le donne le ha rispettate. C'è stata la cultura che faticosamente ha dato valore alla donna, alla femminilità, alla sua resistenza. Ma se precipitiamo nell'uomo pulsionale, la donna ritorna ad essere la preda.

L'altro giorno a Cannes 83 attrici hanno sfilato silenziosamente in segno di protesta contro l'industria cinematografica, e le discriminazioni di genere. Cosa pensa di quel movimento globale che è #metoo e delle conseguenze inevitabili che avrà sul presente?

La donna ha ancora bisogno di un movimento forte. Ricordo ancora che presi parte alla storica marcia delle donne da Central Park fino a Broadway. Oggi però la donna non deve fare l'errore del femminismo degli anni Settanta.

Quale?

Escludere gli uomini. Averlo fatto, in passato, non le ha permesso di crescere. Il movimento, come diceva quella grande donna che era Ida Magli, bisogna farlo insieme. Altrimenti l'uomo resterà culturalmente distaccato. Resterà un omuncolo.

Lei come si sente?

Io sono un infelice gioioso.

Mi spiega meglio?

Oggi si parla solo di felicità, ma la felicità è qualcosa di individuale. È una sensazione positiva, piacevole, che appartiene all'io. La gioia appartiene invece a una condizione che riguarda il noi: l'io insieme all'altro. Si trasmette e la si riceve, ma riguarda sempre un gruppo. Oggi solo gli imbecilli possono essere felici.

Per quale motivo?

Apparteniamo a una società troppo complessa perché non venga considerata la condizione degli altri. Come fa uno a essere felice se ogni giorno vede persone che soffrono?

Non lo so.

Io non stimo molte persone, ma quell'uomo di Nazareth, quell'uomo con la U maiuscola, quello insegnava la gioia. Oggi però tutto è diverso.

In che senso?

Oggi non ci sono più i padroni della terra, degli immobili, ma quelli dell'umanità. Li racconta bene Avram Noam Chomsky.

Chi sono questi padroni?

L'economia dipende da circa 20-25 persone. La maggior parte dei Nessuno fa fatica a vivere, mentre alcuni non sanno vivere perché hanno troppo.

Per esempio?

Mark Zuckerberg! La prossima volta lo guardi bene: ha perso 100 miliardi in un giorno. E sa cosa ha detto? "Non è niente per me". Ecco, così divento infelice e un po' arrabbiato. Ed è un bene.

Per quale motivo?

Perché fino a quando continuerò a indignarmi, continuerò a scrivere.

Flavia Piccinni Scrittrice e giornalista

mercoledì 21 novembre 2018

La procedura di infrazione europea, spiegata bene


Cosa prevede il temuto meccanismo che potrebbe essere avviato oggi, e cosa rischia il governo italiano

Negli ultimi giorni si è tornati a parlare del presunto “scontro” che il governo italiano sta portando avanti con la Commissione Europea sulla legge di bilancio presentata alla fine di settembre. Qualche settimana fa la Commissione Europea l’aveva respinta, invitando a cambiarla piuttosto radicalmente: il governo ha proposto alcune modifiche, ritenute però ampiamente insoddisfacenti dagli osservatori. Secondo diverse fonti, la Commissione dovrebbe prendere una decisione definitiva oggi, mercoledì 21 novembre: fra le cose che potrebbe fare, la più temuta è la raccomandazione di aprire una cosiddetta “procedura di infrazione” nei confronti dell’Italia.
La procedura di infrazione è in realtà uno strumento usato spesso dalla Commissione: nella loro storia ne sono stati soggetti quasi tutti i paesi membri tranne Svezia ed Estonia. Soprattutto negli anni della crisi economica, è stato uno strumento utilizzato dalle istituzioni europee per assicurarsi che i governi europei non si indebitassero troppo per cercare di favorire la ripresa. Al momento l’unico paese ancora sottoposto a una procedura d’infrazione è la Spagna, che però dovrebbe uscirne quest’anno.
Va detto che la Commissione non è mai arrivata fino in fondo – non ha mai imposto sanzioni e ha sempre trovato un compromesso, anche dopo settimane o mesi di trattative – e che le sue decisioni sulla legge di bilancio italiana si basano sui parametri decisi in modo comune dai paesi dell’Unione: che decida o no per raccomandare l’apertura di una procedura d’infrazione, le conseguenze sull’economia italiana dell’approvazione della legge di bilancio del governo Conte – a prescindere dalle proprie opinioni – sarebbero pressoché identiche. Il problema, e la ragione di quel pressoché, è che il caso italiano arriva in un momento in cui l’economia europea sta meglio di qualche anno fa, e il fatto che la Commissione respinga proprio la manovra italiana, fra tutte quelle presentate dai vari altri stati, potrebbe causare una serie di effetti collaterali negativi per l’economia italiana.
Un po’ di contesto
La disciplina europea sui bilanci dei singoli stati è una conseguenza dell’unione economica e monetaria dell’Unione. In una situazione in cui così tanti paesi sono profondamente legati, come nell’Unione Europea e nella zona euro, è necessario che ci sia una serie di regole comuni per evitare che alcuni paesi si trovino in situazioni economicamente insostenibili e quindi dannose per tutti gli altri.
È in quest’ottica che nei Trattati di Maastricht, ratificati nel 1992, sono state inserite norme che prevedono come e con quali parametri l’Unione debba monitorare i bilanci nazionali, in sostanza per evitare che accumulino troppo debito o spendano più di quanto riescono a incassare. Le misure di Maastricht sono state tradotte nel cosiddetto Patto di stabilità e crescita, nato nel 1997, e più volte aggiornato e arricchito nel corso degli anni: fanno parte del Patto di stabilità, per esempio, le leggi che chiamiamo Fiscal compact – una serie di obiettivi di lungo termine che ciascuno stato si impegna a rispettare – e i parametri per la cosiddetta flessibilità, cioè quelli che danno agli stati un certo margine per rientrare nei parametri europei. Il compito di vigilare sulle regole di bilancio spetta prevalentemente alla Commissione Europea, l’organo esecutivo dell’UE.
Specialmente dagli anni della crisi economica, in vista dell’approvazione del bilancio dell’anno successivo – quindi più o meno nell’autunno dell’anno precedente – ciascuno stato avvia dei negoziati con la Commissione Europea per trattare una deroga di qualche punto decimale su alcuni parametri. Da statuto, la Commissione non può giudicare come uno stato sceglie di spendere i propri soldi, ma si limita a controllare che le spese previste non mettano in pericolo la stabilità economica nazionale: per questa ragione acconsente spesso alle richieste degli stati di sforare i parametri, limitandosi a chiedere di rientrare nel percorso stabilito il prima possibile.
Può capitare che alcuni stati si trovino in situazioni economiche particolarmente pericolose, o che scelgano volontariamente di sforare i parametri consentiti. Per risolvere questi problemi, il Patto di stabilità e crescita prevede due strade: il cosiddetto “braccio preventivo”, che di norma prevede solamente un controllo più severo da parte della Commissione, e l’apertura di una procedura di infrazione vera e propria, prevista invece dal cosiddetto “braccio correttivo”.
Il braccio preventivo
È una specie di monitoraggio più attento che la Commissione si impegna a garantire agli stati più in difficoltà. Ogni stato membro si accorda con la Commissione Europea per determinare qual è il suo bilancio equilibrato, tenendo conto delle sue specifiche caratteristiche. Il documento che stabilisce i livelli da raggiungere si chiama Obiettivo di medio termine (OMT) ed è calcolato in termini strutturali, cioè tenendo conto dei cicli economici. Gli stati che non hanno ancora raggiunto il loro OMT finiscono sotto l’osservazione del braccio preventivo del Patto di stabilità: è il caso dell’Italia, che ha un OMT pari a zero – significa che a lungo termine le sue entrate e uscite strutturali dovranno bilanciarsi perfettamente – che però è ancora lontana dal realizzare.
Quando uno Stato si trova all’interno del braccio preventivo, la Commissione tiene d’occhio soprattutto due parametri: la variazione annuale del saldo strutturale, cioè la percentuale con cui i conti si avvicinano all’OMT, e i cosiddetti parametri di spesa pubblica, che tengono conto di diversi fattori e regolano la spesa netta che uno stato può sostenere ogni anno in relazione alla propria situazione economica. Per il 2019, per esempio, la Commissione Europea ha raccomandato all’Italia (PDF, pagina 18) una variazione annuale del saldo strutturale positiva dello 0,6 per cento e ha fissato parametri certi per la spesa netta.
Se uno stato viola anche solo uno di questi due parametri, la Commissione Europea può avviare una procedura per deviazione significativa, una specie di gradino precedente alla procedura di infrazione vera e propria. Una volta che la Commissione registra la violazione, manda un avvertimento allo stato membro, che ha un mese di tempo per rimediare. Se non lo fa, subentra il Consiglio dell’Unione Europea, l’organo che raduna un membro del governo di ogni stato, che manda un avvertimento finale. Se il governo dello stato membro si rifiuta di cooperare, l’Unione “trattiene” una cifra pari allo 0,2 per cento del PIL come pegno finché lo stato non decide di mettersi in regola.
La sanzione è automatica, ma ci sono diverse scappatoie a cui uno stato può ricorrere: per esempio il Consiglio può decidere a maggioranza qualificata – che cioè tiene conto della popolazione di ciascuno stato – di non far scattare la trattenuta dello 0,2 per cento del PIL; o ancora, lo stato può appellarsi al codice di condotta del Patto di stabilità e crescita, che prevede che la procedura per deviazione significativa debba basarsi sui dati reali, e non sulle proiezioni (cosa che rinvierebbe di un anno l’iter della procedura).
E il braccio correttivo?
Per gli stati che violano i parametri economici più importanti, invece, la Commissione può aprire una 
procedura per deficit eccessivo, il meccanismo a cui ricorre quando i negoziati non sono andati a buon fine e la situazione non può essere risolta nell’ambito del braccio preventivo.
I parametri che vanno tenuti d’occhio sono due, e fanno entrambi parte dei Trattati di Maastricht: uno stato membro dell’Unione non dovrebbe avere un deficit annuale superiore al 3 per cento del PIL e un debito pubblico superiore al 60 per cento del PIL. Nel caso il rapporto debito/PIL superi il 60 per cento, la Commissione chiede che diminuisca a un tasso prestabilito. Il tasso varia per ogni paese e viene calcolato prendendo la differenza fra il rapporto debito PIL di ciascun paese e quello ideale del 60 per cento, e calcolando un ventesimo di quel tasso: in pratica, òa diminuzione richiesta a ogni paese è quella che consente di arrivare a un rapporto del 60 per cento in 20 anni.
Quando la Commissione sospetta che uno stato membro possa violare anche uno solo di questi due parametri, chiede una modifica sostanziale del bilancio e dà allo stato tre settimane di tempo per rimediare. Una volta ricevute le modifiche, pubblica un report con cui raccomanda se aprire o meno una procedura di infrazione. Sulla base delle raccomandazioni della Commissione, spetta al Consiglio – che è un organo legislativo, ma è anche influenzato per forze di cose dalla politica – valutarle e decidere se aprire ufficialmente la procedura di infrazione, in tempi più o meno rapidi.
Se la procedura viene ufficialmente aperta, vengono seguiti alcuni passaggi previsti dall’articolo 126 dal Trattato sul funzionamento dell’UE (riassunti in questo comodo grafico della Commissione). Lo stato membro ha tempo dai tre ai sei mesi per raggiungere degli obiettivi fissati dal Consiglio. Scaduto il termine, la Commissione Europea valuta se lo stato abbia preso o no una serie di «misure efficaci» per raggiungere l’obiettivo e informa il Consiglio delle sue valutazioni. Se il giudizio della Commissione è positivo, il Consiglio ne prende atto. A quel punto la Commissione può chiedere di chiudere la procedura. La decisione finale viene presa dal Consiglio, a cui di fatto viene quindi lasciata la discrezione se intervenire o meno.
Se al termine del periodo stabilito il giudizio della Commissione è negativo, il Consiglio può decidere se imporre delle sanzioni (il giudizio della Commissione non è vincolante, ma politicamente molto pesante). Le leggi europee prevedono tre tipi di sanzioni: la trattenuta di una percentuale del PIL, più o meno come avviene per la procedura per deviazione significativa prevista dal braccio preventivo; una multa con una base fissa dello 0,2 per cento di PIL, che può arrivare a un massimo dello 0,5 per cento (per rimanere all’Italia: parliamo di circa 9 miliardi di euro); e la sospensione, parziale o totale, dei fondi strutturali europei destinati al paese sotto esame.
Insieme alle sanzioni, il Consiglio prevede nuovi obiettivi e parametri, che devono essere raggiunti entro sei mesi. A quel punto subentra di nuovo la Commissione Europea: se il giudizio diventa positivo, si avviano le pratiche per chiudere la procedura. Altrimenti, le sanzioni vengono rinnovate.
A che punto è l’Italia?
Da diverso tempo l’Italia è sottoposta al braccio preventivo del Patto di stabilità e crescita a causa del suo enorme debito pubblico: al momento ammonta a circa il 131 per cento del PIL, cioè a una cifra intorno ai 2.300 miliardi di euro.
La nuova legge di bilancio presentata a settembre dal governo Conte prevede nonostante questo un discreto aumento della spesa pubblica, di cui Lega e Movimento 5 Stelle, i due partiti della maggioranza, intendono servirsi per realizzare le loro promesse elettorali: su tutte la riforma delle pensioni, il sussidio di disoccupazione chiamato impropriamente “reddito di cittadinanza” e il taglio delle tasse chiamato impropriamente “flat tax”. La legge di bilancio italiana era stata respinta dalla Commissione Europea pochi giorni dopo la sua presentazione: il governo ne ha mandato una seconda versione, che a detta degli osservatori non sposta di molto le previsioni di spesa. Al momento l’Italia è in attesa del parere definitivo della Commissione Europea, che secondo diverse fonti arriverà mercoledì 21 novembre.
Secondo un’analisi del centro studi Bruegel, uno dei più rispettati che si occupano di cose europee, in questo momento l’Italia rischia sia una procedura per deviazione significativa – cioè quella prevista dal braccio preventivo del Patto di stabilità e crescita – sia una procedura per deficit eccessivo, prevista dal braccio correttivo e considerata più grave.
Iniziamo dalla prima. Come abbiamo scritto sopra, per il 2019 la Commissione Europea ha raccomandato all’Italia (PDF, pagina 18) una variazione annuale del saldo strutturale positiva dello 0,6 per cento, e fissato parametri certi per la spesa netta. Nel 2017 la variazione del saldo era stata negativa dello 0,2 per cento e nel 2018 dovrebbe diventare positiva per lo 0,2 per cento. Il problema è che nella nota di aggiornamento al DEF pubblicata a settembre, il governo prevede di peggiorare di parecchio la variazione, portandola a -0,8 (ai livelli quindi del primo periodo della ripresa, quando l’Italia aveva effettivamente avuto bisogno di una maggiore spesa pubblica per uscire dalla crisi). Secondo Bruegel, inoltre, l’Italia non rispetterà nemmeno i parametri di spesa pubblica fissati dalla Commissione per il 2019.
Come si vede nella parte evidenziata, negli anni scorsi la Commissione aveva stabilito degli obiettivi che il precedente governo non aveva raggiunto per pochi decimali (o,1 nel 2016, 0,3 nel 2017): per il 2019, la differenza fra la raccomandazione della Commissione e la previsione di spesa del governo è di 1,4 punti
La Commissione, però, potrebbe anche decidere di saltare il passaggio della procedura per deviazione significativa e aprire direttamente la procedura di infrazione vera e propria, quella per deficit eccessivo: lo sostengono per esempio tre funzionari europei che si stanno occupando della manovra italiana, e il cui parere è riportato da Reuters.
Il problema della manovra non è lo sforamento del 3 per cento del rapporto deficit-PIL (anche se la Commissione prevede già che nel 2020 verrà superato), quanto la prospettiva che così facendo non diminuisca a sufficienza il debito pubblico.
Come abbiamo visto prima, per i paesi che hanno un rapporto debito/PIL superiore al 60 per cento, come l’Italia, la Commissione usa una formula matematica piuttosto semplice per stabilire a che tasso deve scendere questo rapporto: si prende la differenza fra il rapporto debito PIL e quello ideale del 60 per cento – per l’Italia: 131 per cento meno 60 per cento, quindi 71 per cento – e si calcola un ventesimo di quel tasso. Il risultato è un tasso del 3,55 per cento: significa che nell’arco dei prossimi tre anni il rapporto del debito pubblico italiano dovrebbe scendere più o meno dal 131 al 120 venti per cento, cioè di circa undici punti percentuali (3,55 per tre fa 10,65).
Nella risposta del governo italiano mandata alla Commissione all’inizio di novembre, il ministro dell’Economia Giovanni Tria prevede che nel 2021 il rapporto debito/PIL sarà al 126 per cento: una stima ancora molto distante dai parametri previsti dalla Commissione.
C’è da aggiungere un ultimo elemento: in molti sospettano che la Commissione si sarebbe comportata in maniera più morbida con l’Italia se il governo avesse presentato la stessa manovra ma con una serie di misure esplicitamente rivolte alla crescita economica: cosa che invece non si può dire della riforma delle pensioni e del “reddito di cittadinanza”, per esempio. Lo si legge fra le righe anche in un passaggio delle motivazioni con cui la Commissione aveva respinto la prima versione della manovra.
E quindi?
Mentre l’apertura di una procedura sembra ormai piuttosto scontata – bisognerà capire di che tipo sarà – i passaggi per arrivare alle sanzioni vere e proprie sono moltissimi, alcuni dei quali di natura parzialmente politica: è per questa ragione che finora, di nuovo, nessun paese europeo è mai stato sottoposto a sanzioni al termine di una procedura di infrazione. Anche due fonti anonime vicine al governo italiano, 
contattate da Politico, ritengono che «le sanzioni possono essere evitate».
Altri ancora sostengono che evitare le sanzioni farà comodo anche alla Commissione Europea, visto che potrebbe togliere qualche argomento ai partiti populisti ed euroscettici in Italia e altrove, e che il governo e i funzionari europei riusciranno a incontrarsi a metà strada: se non nelle prossime settimane, nel primo periodo del 2019. Nella sua analisi, però, il centro studi Brueagel fa notare che la Commissione potrebbe arrivare fino in fondo con l’Italia per mostrarsi intransigente agli occhi dei paesi del Nord Europa, che tradizionalmente sono i più disciplinati dal punto di vista fiscale.
Il punto che sfugge a molti è che l’Italia non uscirà danneggiata soltanto nel caso in cui si arrivi alle sanzioni (comunque teoricamente possibile, una volta che la procedura viene aperta): il governo rischia soprattutto una conseguenza ben più grave e immediata, cioè l’aumento ulteriore della già alta sfiducia da parte dei soggetti a cui il governo progetta di chiedere molti soldi in prestito – risparmiatori, investitori, fondi pensione, i cosiddetti “mercati” – per realizzare le sue promesse, e ai quali dovrà offrire interessi sempre più alti.
Si è visto già nelle scorse settimane: a inizio ottobre, pochi giorni dopo aver presentato la sua manovra economica, il governo ha dovuto alzare gli interessi che garantisce sui titoli di stato a brevissimo termine dallo 0,436 per cento di settembre allo 0,949 per cento. In concreto, sintetizza Repubblica, per prendere in prestito sei miliardi di euro ha dovuto garantire 57 milioni di interessi, 31 milioni in più di quanti ne avrebbe spesi a settembre.



martedì 20 novembre 2018

IL MALE DEL SECOLO? LA DEMENZA. MA SI PUÒ GUARIRE: ECCO COME – MELANIA RIZZOLI: IL DISTURBO NON COLPISCE SOLO GLI ANZIANI MA ANCHE I GIOVANI A CAUSA DELLA DROGA, DELL’ALCOL, DELLA DEPRESSIONE E DELLA TIROIDE – LA PRIMA TERAPIA PREVENTIVA PER ESCLUDERE LA DEMENZA E’ QUELLA DI…

Melania Rizzoli per “Libero Quotidiano”

La demenza non è una malattia, ma una sintomatologia neurologica generica che descrive una vasta gamma di sintomi associati al declino di diverse abilità cerebrali, sufficientemente gravi da ridurre la capacità di una persona di essere autonoma, di svolgere le attività quotidiane, e può essere una sindrome progressiva o reversibile.

La demenza è quindi un disturbo, causato da una malattia, delle funzioni intellettive che in precedenza erano intatte, come per esempio la memoria, il linguaggio, il pensiero astratto, la capacità critica e l' orientamento temporo-spaziale, senza però che venga intaccato lo stato di coscienza, che resta sempre vigile.

La demenza è spesso erroneamente definita "senile", il che riflette la convinzione, un tempo molto diffusa, ma sbagliata, che un progressivo deficit mentale rappresenti una caratteristica tipica dell' invecchiamento, quella che una volta veniva definita "arteriosclerosi", mentre invece non è affatto una parte inevitabile o inesorabile dell' età avanzata, perché sono diverse le patologie che possono causare demenza transitoria, in soggetti giovani, come per esempio alcuni problemi tiroidei, quelli dovuti a carenze vitaminiche essenziali, o l' abuso di sostanze stupefacenti.

Un malinteso comune è quello di identificare l' Alzheimer con la demenza, che invece è il suo sintomo più comune, insieme alla perdita della memoria, ma non sono affatto la stessa cosa, perché l' Alzheimer è una malattia degenerativa del cervello non reversibile, cioè progressiva, mentre la demenza è un sintomo generico che può essere causato da malattie vascolari, infettive, traumatiche, tossiche o tumorali dell' encefalo, molte delle quali possono regredire e guarire.

Dopo un ictus infatti, una grave carenza di vitamina B12 o durante una meningite per esempio, interviene quasi sempre la demenza con i suoi sintomi, per la forte sofferenza cerebrale, ma se queste patologie vengono curate e guarite, guarisce anche la demenza, che invece non può essere corretta con le patologie degenerative del cervello, la più nota delle quali è appunto l' Alzheimer.

La demenza comunque è molto diffusa, si prefigura come una delle crisi globali a livello sanitario e sociale più significative del XXI secolo, se si pensa che ogni 3 secondi una persona si ammala di questa patologia che nel mondo colpisce quasi 50milioni di persone, che i casi stimati in Italia sono circa 1 milione e mezzo, e che la maggior parte delle persone con questa sintomatologia deve ancora ricevere una diagnosi.

L' espressione comune "sei un demente", usata spesso a sproposito per sottolineare la ridotta capacità di intendere di un interlocutore, oltre che offensiva è errata, perché per parlare clinicamente di demenza devono essere presenti almeno due funzioni mentali, tra le seguenti, significativamente compromesse, quali la difficoltà di memoria, di comunicazione e linguaggio, di ragionamento e di giudizio, con alterazione della capacità di concentrarsi e di prestare attenzione.

Le cause della demenza dipendono dai danni subiti dalle cellule cerebrali che perdono la capacità di comunicare tra loro, compromettendo il pensiero, le sensazioni ed il comportamento, ma uno dei sintomi principali e precoci è quasi sempre lo scadimento della memoria a breve termine, quando per esempio ci si dimentica dove si è lasciata la borsa o il portafogli, quando non ci si ricorda degli appuntamenti o di pagare le bollette, o quando non si rammentano più i nomi delle persone o non si ritrova la via per tornare a casa. Altre manifestazioni frequenti sono le oscillazioni dell' umore, la labilità emotiva, ed i pazienti diventano sempre più irritabili, ostili e agitati, specialmente nelle occasioni in cui si rendono conto del loro deterioramento cognitivo che non riescono più a controllare.

La regione del cervello chiamata ippocampo è il centro del l' apprendimento e della memoria, e le cellule di questa regione sono le prime ad essere danneggiate, ecco perché la perdita della memoria è spesso uno dei primi sintomi del morbo di Alzheimer, ed una diagnosi precoce permetterebbe di ottenere il massimo beneficio terapeutico. Purtroppo, non esistendo alcun esame specifico, strumentale o di laboratorio, per determinare subito se qualcuno soffre di demenza, le diagnosi sono spesso tardive, si perde tempo a stabilire l' esatto tipo di deficit encefalico, mentre i sintomi e i mutamenti cerebrali delle diverse forme demenziali possono sovrapporsi, ritardandone la cura.

Il trattamento della demenza infatti, dipende dalla causa, e nelle forme più avanzate, incluso il morbo di Alzheimer, non vi è alcuna terapia che rallenti od arresti la progressione della malattia ed il suo decorso clinico, ma ci sono farmaci che possono, per un certo lasso di tempo, migliorare i sintomi.

La ricerca sulla demenza è indietro rispetto a quella di molte altre patologie, perché oltre alle difficoltà da superare, c' è anche il luogo comune di pensare che la demenza sia una conseguenza inevitabile nella vecchiaia, che sia invalidante ma innocua, che non causi la morte, e quindi c' è molta meno propensione a sostenere e finanziare la ricerca scientifica rispetto a patologie più emozionali come il cancro. Invece un cervello colpito dal morbo di Alzheimer arriva a pesare 140 grammi in meno rispetto ad uno sano o non affetto, più o meno il peso di un' arancia, perché la degenerazione cerebrale determina una atrofia dei tessuti, che vengono "persi" e distrutti insieme alla memoria.

La demenza può colpire chiunque, ma l' età è certamente il più grande fattore di rischio, dal momento che chi ne soffre sono generalmente persone anziane, ma non è una componente normale dell' invecchiamento, perché la maggior parte degli anziani non ne viene affetta, e non presenta deficit cognitivi o mnemonici. In età senile infatti, compare spesso la "smemoratezza benigna", ovvero la lieve perdita di memoria dovuta al rallentamento delle funzioni neuronali, che va differenziata dalla demenza, poiché non associata ad altri deficit cerebrali.

Il buon funzionamento del cuore e della pressione sanguigna è molto importante per la corretta ossigenazione cerebrale e per evitare questo disturbo, ed infatti i cardiopatici cronici sono i pazienti più a rischio di demenza, perché i danni vascolari possono provocare piccoli infarti ripetuti che portano alla distruzione progressiva del tessuto cerebrale, ma anche la depressione, che tende ad inattivare il cervello, può favorirne l' insorgenza, come anche l' insonnia, il sonno interrotto, e l' assunzione ripetuta di sostanze psicotrope e di alcol.

La demenza di regola insorge dopo i 65 anni, ma il paradosso è che dopo gli 85 anni i casi di demenza diminuiscono drasticamente, a conferma che la quota di pazienti senior che arriva sana a questa età, ne resta indenne.

I grandi vecchi del nostro secolo, da Indro Montanelli ad Andrea Camilleri, da Piero Angela ad Ennio Morricone, e tutti coloro che hanno sempre tenuto attivo il loro cervello, hanno di conseguenza evitato la demenza, a dimostrazione che allenare quotidianamente l' encefalo è la prima terapia preventiva per escludere dalla nostra vecchiaia questo male del secolo.

martedì 13 novembre 2018

33%: una pesante palla al piede dell'Italia


M5S=VETEROCOMUNISMO=FINE DELLA DEMOCRAZIA
Il 33% è, purtroppo, un numero divenuto storico e tragico per il nostro amato Paese.
Sin dalla metà degli anni '70 si è consolidata questa amarissima realtà del 33% di elettori caratterizzati dal fatto di essere contro tutto e tutti. Si ricordi il successo nel 1975 alle elezioni amministrative del PCI nonostante avesse riempito le liste elettorali di incompetenti e, alcuni, addirittura analfabeti. L'anno successivo avvenne addirittura il sorpasso sulla DC alle elezioni europee. E' bene però ricordare che, nonostante il suo elettorato fosse contro tutto e tutti, il PCI aveva una classe dirigente preparata e, sebbene legata a filo doppio al PCUS e quindi all'URSS, rispettosa dei principi che caratterizzano le democrazie liberali.
Parlando dell'attualità ci ritroviamo con il 33% di italiani che sostengono il NO a tutto e hanno trovato una sponda politica nei furbastri politicanti del M5S.
Il M5S nato sull'onda degli insulti più volgari sta dimostrando di essere un insieme di persone del tutto illiberali e incapaci di gestire qualsiasi istituzione con serietà e autorevolezza. Se dico che i ministri del M5S stanno facendo di tutto per far sì che l'Italia sia screditata e marginalizzata nella UE e negli altri consessi internazionali non credo di essere molto lontano dalla cruda e amara verità. E ancora, non è accettabile mettere sullo stesso piano l'alleanza storica e irrinunciabile con gli USA con un abbraccio alla Russia di Putin. No, questo no. Lo dobbiamo ai principi della democrazia liberale e ai giovani soldati americani che sono venuti a combattere e a morire nella 2^ Guerra mondiale per liberarci da nazisti di Hitler e dai fascisti di Mussolini.
Ma ciò che mi sconcerta, e che dovrebbe sconcertare tutti gli Italiani, è che al 33% degli elettori ciò non importa. Non vogliono tener conto della Storia. Nel 33% di italiani prevale l'odio contro i politici degli altri partiti e l'invidia sociale nei confronti di chi è minimamente benestante.
L'ultima pesante caratterizzazione illiberale è la volontà di limitare la libertà di stampa, dopo aver insultato i giornalisti e stilato liste di proscrizione di giornali e giornalisti.
Mi auguro che il 67% degli italiani che si riconoscono negli altri partiti si decidano una buona volta ad alzare la voce per stroncare le illiberalità dei “portavoce” ed elettori del M5S. Le manifestazioni spontanee di Torino e oggi il flash mob dei giornalisti lascia ben sperare.

Ennio Di Benedetto



domenica 11 novembre 2018

Il chilogrammo sta per cambiare, per rimanere lo stesso Il vecchio campione di riferimento non va più bene (e rischierebbe di farci prendere in giro dagli alieni), quindi useremo una costante della meccanica quantistica

SABATO 10 NOVEMBRE 2018

 Una copia del Gran Kilo, chiamata K4, conservata dal NIST, in una fotografia del 1915 (Wikipedia Commons)
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Tra il 13 e il 16 novembre si terrà a Versailles, in Francia, la Conferenza generale su pesi e misure in cui, con ogni probabilità, verrà cambiato il campione di riferimento usato per dire quanto è un chilogrammo. Finora si usava una massa campione come riferimento; tra qualche giorno si potrebbe iniziare a misurare il chilogrammo usando una costante derivata dalla meccanica quantistica.

Dal 1889 le bilance di tutto il mondo vengono tarate a partire da una massa campione conservata presso l’Ufficio internazionale dei pesi e delle misure di Sèvres, alla periferia di Parigi, il cosiddetto Grand Kilo, e dalle sue copie. Il problema è che il Grand Kilo, che è un cilindro di altezza e diametro di 3,9 centimetri fatto di una lega di platino e iridio realizzato nel 1875, da alcuni anni non pesa più come una volta, ma qualche microgrammo in meno. È per questo che vogliamo cambiarlo.

La decisione, che è ormai considerata cosa fatta, dovrà essere presa il 16 novembre attraverso un voto dei rappresentanti di 57 nazioni del mondo. Sarà un evento molto importante, perché il chilogrammo è rimasta l’unica unità di misura del Sistema Internazionale delle Unità di misura (SI) a basarsi su un oggetto. Stephan Schlamminger, un fisico statunitense che sarà a Versailles per il voto, ha detto: «Ho pensato o lavorato a questa cosa per tutta la mia carriera di scienziato. A volte stento a crederci: succederà davvero o mi sveglierò e sarà stato tutto un bellissimo sogno?». Ha poi aggiunto: «Se gli alieni arrivassero ora sulla Terra, ci chiederebbero di certo di parlare di fisica. E per farlo avremmo bisogno di accordarci su alcune unità di misura. Ma se dicessimo che la nostra unità di misura per la massa è basata su un pezzo di metallo che teniamo vicino a Parigi, diventeremmo lo zimbello dell’Universo».

Se a Versailles tutto andrà come previsto, si ridefinirà il chilogrammo usando la costante di Planck, usata in meccanica quantistica, che si indica con la lettera h e ha le dimensioni di un’energia per un tempo.

Per misurare la costante di Planck è stata usata una bilancia di Watt o bilancia di Kibble, dal nome di Bryan Kibble, il fisico britannico che l’ha inventata. È una bilancia che misura la massa di un oggetto (tramite il peso) non confrontandolo con un altro oggetto campione, bensì confrontando la forza di gravità con cui la Terra lo attrae (dipende dalla sua massa) con la forza elettromagnetica prodotta su una bobina sospesa in un campo magnetico. Questa bilancia permette due diverse misure indirette: nella prima si fa passare la corrente attraverso la bobina e si misura l’intensità necessaria alla forza elettromagnetica prodotta per tenere in equilibrio la massa sull’altro piatto. Nella seconda si muove la bobina a velocità costante grazie a un motore e si misura la differenza di tensione indotta dall’attraversamento del campo magnetico. In entrambi i casi si può poi risalire al valore della costante di Planck. Se non vi intendete di meccanica quantistica, vi starete però probabilmente facendo qualche altra domanda sulla costante di Planck: rispondemmo qui.

Nel caso in cui la Conferenza generale su pesi e misure dovesse esprimersi a favore dell’uso della costante di Planck, il “nuovo chilogrammo” entrerà in vigore dal maggio 2019, insieme a qualche aggiornamento su altre unità di misura, come Kelvin e ampere. Come ha scritto il Guardian, «difficilmente la rivoluzione sarà percepita oltre il mondo della metrologia» e «nessuno peserà in modo diverso la verdura al supermercato», «ma dietro le quinte tutto funzionerà meglio».

sabato 3 novembre 2018

Telefonia, stop ai super costi per il cambio operatore: ecco le nuove regole Agcom

Il costo base di recesso o cambio operatore sarà al massimo pari a quello del canone mensile. E niente più super balzelli extra per chi lascia prima della scadenza del contratto (di solito 24 mesi).

Ci sono queste tra le novità che arrivano con le nuove regole ("linee guida") pubblicate oggi da Agcom (come anticipato da Repubblica).

In generale si applica per la prima volta quanto previsto dal disegno di legge Concorrenza dell'anno scorso, ossia il principio che gli operatori non sono più liberi di scaricare sugli utenti tutti i costi subiti a causa della disdetta. Ma solo quelli proporzionati al valore residuo del contratto.

La prima novità riguarda in particolare la telefonia fissa, dove gli operatori tendono ad applicare un costo base di recesso (cioè applicato sempre e comunque) di 40-60 euro. Ora Agcom dice che non può essere superiore al canone (ora 20-30 euro in media). Questo è il primo sconto che ci sarà, quindi.

Un altro taglio è importante e riguarda il super balzello per chi disdice prima di 24 mesi. Agcom introduce due novità. La prima: gli operatori devono smetterla di farsi restituire tutti gli sconti goduti dagli utenti. Finora è andata così: un'offerta ha un costo ufficiale di 40 euro (per esempio), ma un canone promozionale di 20 euro per 24 mesi. Per chi disdice prima di questo periodo, c'è un super costo di uscita pari a tutti gli sconti goduti (20 euro per ogni mese pagato di contratto). Il che è contrario al buon senso e anche alla legge, perché si penalizza di più chi sta da più tempo, per cui disdire a pochi mesi dalla scadenza ha comportato un super costo agli utenti.

Adesso invece gli operatori sono costretti a ridurlo proporzionalmente rispetto ai mesi restanti di contratto.

La seconda novità è l'obbligo a continuare a rateizzare, anche dopo l'uscita dell'utente, i costi di prodotti o servizi che spalmano nel canone (modem, cellulare, attivazione, intervento iniziale del tecnico...). Prima invece alcuni facevano pagare all'utente d'un colpo solo le rate residue (eccetto nei casi in cui la disdetta avveniva per cambio unilaterale del contratto e solo - per questo caso - grazie a un intervento regolatorio precedente da parte di Agcom). Inoltre, le rate di prodotti e servizi inclusi non possono comunque andare oltre i 24 mesi.

In generale, infine, Agcom richiama a una maggiore trasparenza sui costi di disdetta, ancora troppo spesso poco chiari nelle offerte. Devono quindi dire bene all'utente: "i) le spese imputate dall'operatore a fronte dei costi realmente sostenuti per provvedere alle operazioni di dismissione e trasferimento della linea; ii) le spese relative alla restituzione degli sconti; iii) le spese relative al pagamento in una o più soluzioni delle rate relative alla compravendita di beni e servizi offerti congiuntamente al servizio principale".

Adesso vedremo come eventualmente gli operatori adegueranno le offerte a queste nuove regole.

Cancro, la nuova scoperta rivoluzionaria: si può sconfiggere con l'immunoterapia

Vi sto parlando della Immunoterapia Oncologica, ovvero degli anticorpi monoclonali, l' unica vera grande scoperta scientifica e farmacologica degli ultimi trent' anni, quei "farmaci intelligenti" che dall' anno 2.000 hanno già rivoluzionato la cura dei tumori maligni del sangue, che vanno ad annientare solo ed esclusivamente le cellule in replicazione tumorale, risparmiando quelle sane, portando a guarigione migliaia e migliaia di malati di leucemie, mielomi e linfomi, e i quali farmaci, ora, modificati, modulati e potenziati nella loro azione, sono arrivati alla loro seconda generazione e vengono testati su malati considerati senza speranza, quelli con melanomi o adenocarcinomi metastatici ed inoperabili, molti dei quali hanno visto sparire dal proprio corpo la loro malattia, come fosse un miracolo. E invece qui non si tratta di una grazia divina, ma di scienza, di ricerca e di intuizioni illuminate che quest' anno sono state premiate con il Nobel della medicina, andato a due scienziati, James Allison e Tasuku Honjo, uno americano e l' altro giapponese, che in Italia collaborano e si scambiano dati con il Centro di Immuno-Oncologia dell' Ospedale Universitario Le Scotte di Siena, il più importante d' Europa in questo settore, diretto dal Prof. Michele Maio, e che insieme a lui sono considerati i pionieri di questa nuova tecnica terapeutica.
FACCIA A FACCIA - "Il cancro ha già perso" (ed. Piemme) è il titolo del libro che il prof Maio ha pubblicato in queste settimane, scritto dal giornalistaGiovanni Minoli in un "faccia a faccia" incalzante e spietato, nel quale l' oncologo italiano racconta la nuova frontiera della cura dei tumori, le grandi speranze e i grandi risultati, offrendo in quelle pagine le testimonianze dirette di una ventina di pazienti dati per spacciati, e che invece sono tornati alla vita grazie a lui ed alla sua equipe di ricercatori.
Come è noto, ognuno di noi durante la vita sviluppa continuamente nel proprio organismo cellule degenerate in senso tumorale, che si formano per varie cause, ma il sistema immunitario riesce puntualmente ad individuarle, senza che noi ce ne accorgiamo, e ad eliminarle, evitando così che si sviluppi il cancro. A volte però i meccanismi di difesa non funzionano, si bloccano, non percepiscono più queste cellule come difettose o degenerate, e la neoplasia ha così modo di formarsi, di attecchire, di crescere e di diffondersi, perché le cellule tumorali sono infide, trovano il modo di mascherarsi, di ingannare il sistema immunitario, e quindi di non farsi riconoscere e distruggere. L' immunoterapia ha appunto questo scopo, ed in pratica fa regredire il tumore perché letteralmente rieduca il sistema immunitario e i suoi linfociti a svolgere la funzione di sorveglianza della degenerazione neoplastica cellulare, a contrastare la progressione della malattia, e la sfida attuale è quella di estendere queste nuove terapie a più forme tumorali possibili.
Nel centro di Siena del prof Maio infatti, i risultati più straordinari si sono avuti con il melanoma invasivo ed il tumore del polmone metastatico, ma si stanno testando molte altre forme neoplastiche come il cancro del colon, del pancreas, del seno e dell' ovaio. La prossima sfida è capire perché l' onco-immunologia funziona benissimo sui tumori maligni del sangue e su alcuni tipi di neoplasie piuttosto che su altre, ma la strada ormai è tracciata, e su quel solco si sta lavorando alacremente nei laboratori scientifici e farmacologici di tutto il mondo.
L' immunoterapia è quindi la nuova arma contro i tumori, una realtà oggi già consolidata che entra di diritto nelle nuove strategie della lotta al cancro, e il più grande appuntamento mondiale dedicato all' oncologia clinica, il congresso Asco di Chicago, è stato dedicato appunto a questo innovativo approccio terapeutico.
CURE CLASSICHE - Naturalmente la classica chemioterapia resta tuttora la cura di base per le neoplasie, perché la immunoterapia viene attualmente usata non come prima scelta, ma come supporto nella regressione di malattia curata con la medicina tradizionale, oppure quando i farmaci chemioterapici hanno fallito, e non tutti i pazienti neoplastici sono ritenuti idonei a questo tipo di somministrazione farmaceutica, che pure ha i suoi effetti collaterali. Ma i risultati eccezionali ottenuti su ammalati considerati spacciati accendono grandi speranze, e fanno prevedere una svolta epocale nel trattamento del male del secolo.
Tuttavia molti sono gli oncologi che dissentono, che obiettano, che storcono il naso, che si trovano in difficoltà di fronte agli oltre 150mila pazienti che muoiono ogni anno in Italia a causa del cancro, e soprattutto di fronte a quei malati terminali che iniziano a chiedere della immunoterapia, che vogliono provarla come ultima speranza, e che si domandano se nel loro caso è stato sbagliato qualcosa, o se sono stati commessi errori di valutazione o terapeutici. Ma questo succede regolarmente quando vengono sintetizzate nuove molecole più efficaci ed incisive delle vecchie, e che, pur essendo in fase clinica sperimentale, dimostrano effetti più efficaci e mirati, e che soprattutto promettono regressioni di malattia o guarigioni una volta ritenute impossibili.
È doveroso sottolineare che il prof Michele Maio nel suo libro dal titolo così forte, tiene a precisare che il cancro ha già perso molte battaglie ma che non ha ancora perso la guerra, aggiungendo però che la immunoterapia è il futuro, che tecnicamente è un concetto semplice quanto rivoluzionario, perché sfruttare e pilotare il sistema immunitario del paziente ammalato affinché esso stesso possa rispondere in modo adeguato alla presenza di un agente estraneo come il cancro è la strada maestra, oggi spianata e confortata dai tanti casi clinici liberati dalle metastasi letali, che vedono allungare la loro sopravvivenza di oltre dieci anni. E la "chiacchierata" dello scienziato Maio con Giovanni Minoli si conclude con l' augurio di ritrovarsi tra qualche anno ancora insieme per una nuova intervista, o magari per un nuovo libro, del quale il professore immagina e suggerisce al giornalista già il titolo: "C' era una volta la chemioterapia del cancro".
di Melania Rizzoli