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martedì 30 luglio 2019

GRANDE MIGRAZIONE O GRANDE SOSTITUZIONE? – STAVOLTA E' UN INTELLETTUALE DI SINISTRA, RAFFAELE SIMONE, A USARE LA PAROLA TABU', IN UN LIBRO IN CUI SPIEGA COME L’EUROPA DI OGGI SOMIGLI TERRIBILMENTE ALLA ROMA DELL’IMPERATORE VALENTE, CHE ERA CONVINTO CHE I BARBARI SAREBBERO STATE RECLUTE PER IL SUO ESERCITO. MA L'INVASIONE FECE CROLLARE L'IMPERO

Claudio Risé per “la Verità”


migranti mediterraneoMIGRANTI MEDITERRANEO
Basta con le frottole. Ormai svaporata l' arrogante sceneggiata della capitana da copertina, speronatrice di soldati nell' esercizio delle proprie funzioni, consola leggere finalmente un libro di un intellettuale di sinistra che non ne può più della retorica dell' accoglienza, e spiega accuratamente il perché. Si tratta del linguista e studioso di culture politiche Raffaele Simone, che ha scritto L' ospite e il nemico. La Grande Migrazione e l' Europa (Garzanti editore).

raffaele simoneRAFFAELE SIMONE
Un caso editoriale alla rovescia perché (come ha fatto notare Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera), pur essendo il lavoro più documentato sull' ondata di migranti da anni in corso in Europa uscito nell' ambito della sinistra, è stato da questa accolto con glaciale silenzio. Tecnica peraltro nota in questa sinistra, che sempre diventa afasica quando si tratta di rispondere ad argomentazioni imbarazzanti, ripetuta anche nei primi 10 giorni del caso dei bambini rubati di Bibbiano. Snobbare gli argomenti di avversari come Belpietro e Borgonovo nella loro Islamofollia (Sperling & Kupfer) già non è elegante, però fingere di nulla anche con quelli degli amici è suicida.

raffaele simone la grande migrazione e l'europaRAFFAELE SIMONE LA GRANDE MIGRAZIONE E L'EUROPA
Il libro di Simone ha infatti il pregio di sottrarsi all' obbligatoria melassa dell' accoglienza, del tutto inadeguata ad affrontare una tragedia epocale come «la Grande Migrazione», come la chiama l' autore senza risparmiarsi maiuscole, utilizzate proprio per segnalare che di questo si tratta, e non di quattro gatti innocui e di facile assorbimento. Né si sottrae alla parola proibita ovunque (tranne che su questo giornale): Sostituzione, l' antico obiettivo di altre Grandi Migrazioni, attraverso cui popoli in cerca di nuovi territori prendevano il posto di quelli che c' erano prima, di solito in declino anche demografico, come l' Europa di oggi che dovrebbe accogliere la fortissima spinta dello sviluppo della popolazione africana.
IMPERATORE VALENTEIMPERATORE VALENTE

Né l' autore esita a paragonare i capi dell' Europa «accogliente» di oggi all' imperatore romano Valente che «manovrato da abili adulatori s' era convinto che i barbari, entrando in territorio romano, avrebbero fornito con poca spesa nuove reclute al suo esercito» (un po' come l' ex presidente Inps Tito Boeri, convinto che gli immigrati ci avrebbero pagato le pensioni).

A questo scopo l' Impero organizzò sul Danubio i barconi dell' epoca «per traghettare quell' orda selvaggia», come racconta lo storico Ammiano Marcellino. Anche allora, infatti, «parecchi morirono annegati mentre cercavano di attraversare su navi, zattere. e tronchi scavati». L' effetto finale delle invasioni barbariche fu nientemeno che la dissoluzione dell' Impero. «L' universo romano crolla», scrisse San Gerolamo fuggendo da Roma.

Le ragioni del rimpiazzo
migranti mediterraneoMIGRANTI MEDITERRANEO
Molti sostengono che era giusto così, e fra i pochi che ammettono che potrebbe ripetersi oggi, alcuni dicono che ciò potrebbe fare «rinascere» l' Europa. Ma, obietta con buon senso Simone, l' Europa ha proprio bisogno di «rinascere»? O sarà questa la sua morte definitiva? E avverte comunque che ciò che sta accadendo è un sintomo «di quel Mondo Nuovo che la globalizzazione ci sta apparecchiando, se non addirittura il preannuncio di un nuovo ordine mondiale».

IMPERATORE VALENTEIMPERATORE VALENTE
Una diagnosi realista e nuova per la sinistra di ciò che sta accadendo sotto l' apparente distrazione dei politici europei e, fino a poco fa, dell' intera classe dirigente del continente, compresa l' Italia che ne ha fatto le spese maggiori. Se però nel frattempo il politico o opinion maker distratto è balzato da una condizione borghese alla ristretta élite delle persone con case a New York e Parigi vuol dire che la svista è stata molto remunerativa.

Forse, anzi, più che distratto è un furbo, traditore dei suoi concittadini, un po' come gli «adulatori» interessati che imbrogliavano l' Imperatore romano sulle reali intenzioni degli invasori dell' epoca. Come è possibile, infatti, non aver visto quello che già tre anni fa il maestro della sinistra internazionale, Zygmunt Bauman, presentava (nel suo Stranieri alle porte, Laterza) come il conflitto tra «il mondo del business, che desidera ardentemente e accoglie con favore l' arrivo di manodopera a buon mercato» e «la maggioranza della popolazione» per la quale «quei fenomeni significano più concorrenza sul lavoro, più incertezza e meno speranze che le cose migliorino»?
migrantiMIGRANTI

Tra le possibili spiegazioni del perché si sia rimasti inermi e senza risposte dinanzi a una Grande Migrazione già delineatasi da molti anni c' è appunto l' ipotesi - presentata da Simone - della Grande Sostituzione, «che punta a riversare in Europa milioni di persone povere e affamate per realizzare il graduale rimpiazzo della popolazione europea con i nuovi arrivati». Le ragioni di questa sostituzione potrebbero essere diverse, e una non esclude l' altra.

raffaele simone 1RAFFAELE SIMONE 1
Dal punto di vista del mondo islamico africano e asiatico si tratterebbe di una «rivalsa totale sull' Occidente, di cui cancelleranno a poco a poco ogni traccia». Ma è probabile che nel progetto c' entri anche il cinismo del capitalismo finanziario più spregiudicato, alla Soros, che agli attuali cittadini europei preferisce interlocutori tutto sommato più deboli e non ancora allenati all' attuale processo di sviluppo. E intanto far soldi e accumulare potere.
MIGRANTI A BORDO DELLA ALAN KURDI DI SEA EYEMIGRANTI A BORDO DELLA ALAN KURDI DI SEA EYE

A distanza ravvicinata
Il cinismo è stata a mio parere l' arma, verniciata da mitezza e umanitarismo, con la quale la classe politica che ha governato in Europa negli ultimi trent' anni ha coperto la propria mancanza di idee e programmi di fronte alla fine del comunismo, al potere pervasivo delle multinazionali, alla perdita di efficacia delle burocrazie degli Stati, condizionati dalle richieste dell' Ue e psicologicamente distanti dai territori cui appartengono. Il mondo è cambiato, ma le parole per dirlo sono ancora quelle di ieri.

la nave alan kurdi della ong sea eye soccorre migranti 1LA NAVE ALAN KURDI DELLA ONG SEA EYE SOCCORRE MIGRANTI 1raffaele simone 2RAFFAELE SIMONE 2
È su questo terreno che «attorno al tema dell' immigrazione si creò uno spesso clima di ipocrisia e di falsità: l' unica posizione autorizzata al proposito fu quella positiva, perché altrimenti si correva il rischio di essere accusati di razzismo». Non si vide così l' enorme dimensione storica del fenomeno, che rovesciò sull' Europa milioni di persone e continuerà a farlo se glielo si consente. E si adottò «lo sguardo corto: la Grande Migrazione è stata vista solo a distanza ravvicinata, contando i morti, pubblicando fotografie strazianti di bambini in lacrime o morti nelle traversate, raccontando i soccorsi, i salvataggi e i naufragi. Ma lo sguardo corto, profondamente umano, non serve per capire i fenomeni né tantomeno dar loro un significato».
migranti mediterraneaMIGRANTI MEDITERRANEA

Sarò malpensante, ma ho visto che di solito lo «sguardo corto» più che frutto di ingenuità è la scelta di chi di fronte a un impegno di lunga durata e esito incerto applica il motto «prendi i soldi e scappa». È del resto la linea della finanza globale: sfrutta i territori e vivi nelle oasi dorate del privilegio per pochi eletti, lasciando che gli sfruttati dell' ex Terzo mondo e i «piccoli bianchi» del primo se la vedano tra di loro e le rispettive miserie.
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Ma forse non funziona più.

giovedì 25 luglio 2019

Mughini: «A Parigi nel ‘68 tiravo pavé sulla polizia, poi mi innamorai di Craxi» Il 76enne ex direttore di Lotta Continua, poi personaggio televisivo: «Gli intellettuali e la politica? Pagliacci, compreso Pasolini. Anch’io ho vissuto la depressione»


di Aldo Cazzullo

Mughini, cosa ci faceva a Parigi nel Maggio ‘68?
«Avevo vinto una borsa di studio per specializzarmi in francese, lingua da me venerata. Facevo il lettore di italiano al liceo Hoche di Versailles: per me che venivo dalla provincia, era come passare dal Viterbo al Real Madrid».

Era nell’aria la grande rivolta?
«Non sarebbe venuto in mente a nessuno che stava per scatenarsi un tale pandemonio. “La Francia si annoia” titolò un giornale. Altrove il casino era già cominciato; anche se le cose italiane facevano ridere al confronto».

Perché?
«Ricordo una foto della mitica battaglia di Valle Giulia: un poliziotto panciuto non riusciva ad afferrare un giovane Giuliano Ferrara, che pesava già almeno 120 chili. Noi a Parigi avevamo di fronte i reduci della guerra d’Algeria».

Truppe addestrate alla guerra coloniale.
«Addestrate talmente bene che non hanno ammazzato nessuno».

Lei partecipò alla prima notte di battaglia.
«E ho tirato i pavé contro i poliziotti; ma non dall’alto delle case, come altri».

Nel libro «Era di maggio. Cronache di uno psicodramma» racconta di essersi nascosto al sesto piano, mentre dal quinto salivano i colpi dei flic e le urla degli studenti.
«I poliziotti avevano avuto 271 feriti gravi in una sola notte. Avevano visto i compagni con il cranio sfondato: cento di loro non tornarono mai in servizio, uno morì. È un miracolo che si siano limitati alle manganellate».

Fu una guerra?
«No; uno psicodramma. Fosse stata una vera guerra, loro avrebbero spazzato via tutte le barricate del Quartiere Latino in dieci minuti. Ma noi non eravamo insorti algerini; eravamo la più fortunata generazione del dopoguerra, quella che stava godendo della ripresa economica. Per una volta non eravamo al cinema o a teatro; il film, la rappresentazione teatrale eravamo noi. Uomini e donne pari erano».

Lei racconta la vera storia della Marianne fotografata con la bandiera nordvietnamita.
«Era una modella di famiglia aristocratica. Stanca di marciare, salì sulle spalle di un compagno. Quando vide un reporter, fece il suo mestiere: si mise in posa. Il nonno la riconobbe e la diseredò».

Anche sua nonna materna era un’aristocratica.
«Sì, ma decaduta. Conosco la situazione degli ultimi, perché da lì vengo. I miei genitori erano separati. L’unico lusso del nonno era un fiasco di vino la domenica. A casa non c’era nulla, né libri né quadri; avevamo una radio, si guastò, non avevamo i soldi per farla aggiustare. Andavo dagli amici a vedere in tv i Mondiali del 1958 e Mike Bongiorno. Non avevamo di che comprare un frigorifero, uno zio ci portava il ghiaccio. Avevo un unico paio di scarpe, per giocare a pallone e per passeggiare. Non sapevo cosa fossero le vacanze».

Quando comincia la politica?
«Ricordo il luglio 1960: uccisero un operaio edile vicino a casa, Salvatore Novembre. Tenni un comizio per il 25 aprile, in cui devo aver detto delle fesserie da vergognarmi. Ebbi un applauso come mai in vita mia».

Suo padre era fascista.
«Sì, a Catania era il numero 2 dopo il podestà. Ma non aveva nulla della retorica del regime, non diceva una parola più del necessario. Teneva una bellissima foto di Mussolini giovane dietro la scrivania. Combatté in Albania, poi raggiunse la famiglia a Firenze. Quando i partigiani entrarono in città si nascose. Tornammo a Catania, il viaggio in autobus durò un mese».

E la politica di oggi?
«Non mi appassiona».

I 5 Stelle?
«Li considero il nulla, sotto forma di declamazione populistica. In Sicilia il reddito di cittadinanza c’è già: i forestali, le pensioni di invalidità, l’Assemblea regionale…».

Lei è siciliano.
«Non mi sento siciliano; mi sento italiano. Lo accetto perché erano siciliani Verga, Pirandello, Sciascia. Inutile fingere che esista l’Italia unica del sogno risorgimentale. C’è l’Italia del talento, della creatività, dei conti a posto; e poi c’è il Comune di Roma».

Salvini?
«Non ci meritavamo un risultato elettorale che premiasse un personaggio di questa fatta. È triste stilisticamente e antropologicamente che sia lui a rappresentare la Lombardia, il cuore produttivo del Paese».

Berlusconi?
«Mi sta immensamente simpatico. È uno che ha creato un impero. Sono anni che lavoro a Mediaset e con la Rai non c’è confronto: vedi ragazzi assunti non dai partiti, ma perché hanno voglia di lavorare».

È andata così male il 4 marzo?
«Abbiamo vissuto due catastrofi nello stesso tempo: la sconfitta di Berlusconi e quella di Renzi. Io speravo al contrario che avrebbero governato insieme: centrosinistra, l’unica formula che in Italia abbia mai funzionato».

Renzi è finito?
«Niente affatto. La storia della politica è piena di resurrezioni: de Gaulle, Churchill, Fanfani…».

Sono accostamenti molto generosi.
«Perché, il Pd chi ha? Martina? Franceschini? Renzi non è finito, anche se è difficile immaginare una sequela di passi falsi come quella in cui è incappato».

Lei perché ha diretto il giornale di Lotta continua?
«Per un motivo liberale. Lo avevano fatto Pannella, Pasolini, Piergiorgio Bellocchio. Venne Sofri a casa mia, mi chiese di fare il direttore responsabile. Pensavo che quel giornale dovesse uscire. Di più, pensavo che quelli di Lotta continua fossero i migliori della nostra generazione. Mi sono costati 28 processi e tre condanne».

Lo pensa ancora?
«Sofri per caratura personale e intellettuale lo è senza alcun dubbio. Vuol mettere con quel che scrivono Gad Lerner o Mario Capanna?».

Sofri è condannato come mandante dell’omicidio Calabresi.
«Non ne sono convinto. La mia personale idea è che il delitto sia stato organizzato dai servizi d’ordine di Milano e Massa; Sofri allora stava a Napoli. Sapeva quel che stavano combinando, ma non credo sia il mandante. La prova non c’è. E comunque quando ha ricevuto l’ordine di carcerazione si è presentato la mattina presto e si è fatto sei anni. Non ha mai voluto dire che lo sparatore fosse Bompressi, anzi ha detto che quelli che uccisero Calabresi sono i migliori della nostra generazione».

Frase che lei non condivide, vero?
«Certo che no. È una frase però che lui ha pagato. Come non mi è piaciuto il libro patetico di Sofri su Pinelli: ci ha messo trent’anni a realizzare che Calabresi non era in stanza quando l’anarchico cadde».

Come sono andate le cose secondo lei?
«Come stabilì D’Ambrosio, che in quattro anni di indagini non trovò nulla contro Calabresi; a cui 800 intellettuali avevano dato del torturatore. Una vergogna nazionale».

Non stima gli intellettuali italiani?
«Quando parlano di politica sono dei pagliacci, tranne rarissimi casi; tra cui purtroppo non c’è Pasolini. “Io so tutti i nomi ma non ho le prove…”: sciocchezze micidiali. Ricordo un documentario in cui si confrontavano Guareschi e Pasolini: Guareschi lo dominava, se lo mangiava a colazione. Ucciso per il libro Petrolio? Pazzesco».

Com’è morto Pasolini, secondo lei?
«I ragazzi di vita che lui aveva celebrato gli tesero un agguato. In tre o quattro l’hanno ridotto in quel modo; e Pelosi non ha mai fatto i nomi».

Però lei stimava Craxi.
«Moltissimo. Nel 1974 lo invitai a presentare il mio primo libro con Cicchitto e due comunisti, Reichlin e Chiaromonte. Loro arrivarono in anticipo, con un pacco così di appunti. Craxi ci raggiunse con tre quarti d’ora di ritardo. Il libro non l’aveva neanche aperto. Disse solo: “Di cosa stiamo parlando, finché è in piedi il Muro di Berlino? Finché i comunisti opprimono mezza Europa?”. Me ne innamorai perdutamente».

Non è finito bene.
«Mani Pulite fu un regolamento di conti mafioso. Uccise il Psi, la Dc e gli altri partiti che avevano costruito la democrazia italiana; così vennero fuori l’Msi, la Lega e un partito costruito dagli impiegati di Publitalia. Il crollo culturale è evidente».

Lei fu anche tra i fondatori del Manifesto.
«Sì. Volevano uno diverso da loro, che non fosse un fuoriuscito dal Pci. Dopo tre mesi me ne andai».

Non li stimava?
«Tutt’altro. Erano un gruppo di fuoriclasse, Pintor su tutti; ma facevano un giornaletto a sinistra del Partito comunista. Non si poteva sentire Luciana Castellina dire stupidaggini tipo che la scelta di Ingrao di restare nel Pci era segno di decadimento morale. Raccolsi una serie di pareri critici sul Manifesto e li pubblicai. Lucio Magri mi disse che avevo sbagliato. Presi la mia borsa e uscii. Solo la sua morte ha cancellato la mia ira; adesso lo considero un fratello».

Perché?
«Perché anch’io l’anno scorso ho vissuto la depressione. Quattro mesi in cui la vita non mi parlava più. In cui non riuscivo a leggere un libro: come restare senz’aria. Lucio Magri è andato in Svizzera una prima volta, ed è tornato indietro. È andato una seconda volta, e di nuovo è ritornato. La terza volta è stata l’ultima».

Le manca non aver avuto figli?
«Non sarei stato all’altezza di fare il padre. E non ho mai pensato di sposarmi. La storia con Michela è una scelta che si rinnova ogni giorno. Sono sensibile a tutto ciò che negli uomini è tenebra, solitudine, dolore. Montanelli mi raccontò di aver vissuto sette depressioni. Momenti in cui il cielo gli appariva nero».

Come conobbe Montanelli?
«Gli scrissi una lettera aperta su Pagina, la rivista che facevo con Galli della Loggia, Mieli e Massimo Fini. Mi chiamò e mi propose una rubrica sul Giornale, L’Invitato. Offrì 250 mila lire. Risposi: meglio 300. Discutere sul prezzo è sempre stato un punto della mia religione laica».

Cosa c’è nell’aldilà?
«Nulla. Rispetto chi ci crede; ma la sopravvivenza dell’anima è una favoletta consolatoria. Com’è l’anima di Brigitte Bardot?».

lunedì 22 luglio 2019

STRAGALLI DELLA LOGGIA: “SIAMO UN PAESE AMMALATO DI RETORICA, SPECIE QUANDO C'È UN MORTO DI MEZZO. HO LETTO COSE INCREDIBILI SU CAMILLERI, TIPO CHE SAREBBE STATO UN MAESTRO DELL'UMANITÀ, CHE HA PASSATO LA VITA A DIFENDERE I DEBOLI E GLI OPPRESSI E COSÌ VIA CON I VOLI PINDARICI. NON ESAGERIAMO, È STATO UN BUON SCRITTORE MA NON ERA TOLSTOJ. NON MI MERAVIGLIEREI SE TRA CINQUE ANNI NESSUNO SI RICORDASSE PIÙ DI LUI SE NON COME L'INVENTORE DI MONTALBANO. SIAMO FATTI COSÌ”

 Pietro Senaldi per “Libero quotidiano”


ernesto galli della loggiaERNESTO GALLI DELLA LOGGIA
«Delle ultime puntate della commedia dei finti equivoci tra Di Maio e Salvini mi importa niente. Capisco che, in quanto italiano, sia rilevante anche per me dove va questo governo e come finirà la vicenda, ma non ho nulla in proposito da dire. Non sto a commentare o a inseguire l' ultimo tweet di nessuno».

Vedo, in effetti ultimamente scrive sempre meno di politica, cosa stravagante per un politologo: non le interessa più?
luigi di maio matteo salvini giuseppe conteLUIGI DI MAIO MATTEO SALVINI GIUSEPPE CONTE
«Bisogna intendersi su cos' è la politica. Per me non sono le diatribe verbali a cui assistiamo tra Lega e Cinquestelle, quella è una parodia della politica e non merita analisi perché cambia di giorno in giorno, per poi non cambiare mai. Affrontare temi come la riforma della giustizia, il divario tra Nord e Sud, il crollo del sistema scolastico: questo dovrebbe voler dire occuparsi di politica. E i giornali potrebbero fare la loro parte».
MATTEO SALVINI LUIGI DI MAIO COME BUD SPENCER E TERENCE HILLMATTEO SALVINI LUIGI DI MAIO COME BUD SPENCER E TERENCE HILL

Colpa dei giornali se si parla troppo di politica e se ne fa poca?
«I quotidiani si sono prima subordinati alla tv, e ultimamente anche a facebook e twitter: si limitano troppo spesso a ripetere le notizie dei tg o a rilanciare le dichiarazioni che i politici fanno sui loro social, ma così perdono importanza agli occhi dei lettori e dei politici stessi».

Cosa dovrebbero fare invece?
luigi di maio versione stalinLUIGI DI MAIO VERSIONE STALIN
«Disinteressarsi delle esternazioni quotidiane dei politici, lasciandoli ai loro social e smettendo di appagarne la vanagloria, e invece iniziare loro, magari, a fare politica affrontando in chiave costruttiva i temi del Paese. Se cominciassero a farlo, i politici forse smetterebbero di tener conto solo della tv e tornerebbero a occuparsi di cose serie. Certo, capisco che è più semplice fare da megafono ai politici, ma alla lunga così si diventa marginali».
matteo salvini come donald trump 1MATTEO SALVINI COME DONALD TRUMP 1

In vacanza, nel giorno del suo settantasettesimo compleanno, il professor Ernesto Galli della Loggia trova ci sia poco da festeggiare a livello nazionale. Non ha fiducia in questo governo ma neanche in quello che verrà, qualunque esso sia. È annoiato dal dibattito politico e perplesso di fronte a un Paese che non pare interessato a guarire i propri mali atavici, ma neppure a lenirli, al punto che ormai non se ne parla neppure più, ci si limita a tirare avanti alla giornata.
SALVINI DI MAIO SARDEGNA BY MACONDOSALVINI DI MAIO SARDEGNA BY MACONDO

Non crede che i politici preferiscano facebook ai quotidiani perché così non sono chiamati a confrontarsi con un interlocutore?
«In parte può essere così, ma sono convinto che i leader passino ore su facebook perché credono davvero che la politica si faccia in questo modo. È la sola cosa che in un certo senso hanno imparato fare, e la fanno ignorando che il Paese se ne va per i fatti suoi».

E dove si sta avviando l' Italia?
«Al declino, come si evince dai principali dati economici e sociali. Abbiamo ancora la mafia e la camorra, i nostri studenti sono poco preparati, ci trasciniamo mali secolari. Abbiamo perso troppi treni, specie negli anni Ottanta, quando le cose andavano ancora bene».
salvini e di maio i meme sul no cinquestelle all autorizzazione a procedere per salviniSALVINI E DI MAIO I MEME SUL NO CINQUESTELLE ALL AUTORIZZAZIONE A PROCEDERE PER SALVINI

Ma non declina tutta Europa?
«Certo, dal momento che la storia è andata come è andata e siamo un continente diviso privo di alcun peso reale. Ma il declino italiano è particolare.

Veneriamo la Costituzione per ragioni ideologiche anziché riformarla.
Avremmo dovuto cambiare la forma di governo, non possiamo più avere il bicameralismo e una diarchia tra Palazzo Chigi e Quirinale di modo tale che ci ritroviamo poi premier per caso e solo di facciata come Conte. Anche la giustizia meritava una riforma capace di farle acquistare presso i cittadini il credito che aveva perduto e di fornire al Paese un servizio assolutamente essenziale».
TONINELLI DI MAIO SALVINI 19TONINELLI DI MAIO SALVINI 19

Lo scandalo del Csm ha assestato un colpo definitivo alla credibilità della magistratura?
«La credibilità della magistratura era in caduta libera già da prima, e non potrebbe essere diversamente visto il cattivo funzionamento della giustizia stessa. Non esistono ospedali cattivi con medici rispettati, e così è per i tribunali».

Colpa della politicizzazione delle toghe?
Toghe RosseTOGHE ROSSE
«La politicizzazione esiste ma è cosa, credo, che interessa soprattutto una minoranza della popolazione. Alla maggioranza interessa di più avere un processo in tempi brevi, equo, semplice e poco costoso. Se non ce l' ha, è allora, semmai, che comincia a fare caso alla politicizzazione dei magistrati».

Vuole anche lei la separazione delle carriere tra giudici e pm?
TOGHETOGHE
«Vorrei soprattutto un maggior uso della giuria, che consentirebbe ai cittadini di essere giudicati dai propri pari e obbligherebbe i magistrati, io credo, a una modifica culturale dei propri comportamenti e del proprio atteggiamento, troppo spesso castale».

Un argomento sul quale lei torna da tempo è la crisi dell' istruzione.
Il suo ultimo libro in merito, "L' aula vuota" (Marsilio), è un atto d' accusa pesantissimo al mondo della scuola. Non ritiene di avere un giudizio troppo negativo? In fondo non facciamo che sfornare cervelli in fuga che fanno gola all' estero...
scuolaSCUOLA
«In ogni naufragio c' è qualcuno che si salva. Il fatto che abbiamo un certo numero di ottimi studenti che il nostro mercato del lavoro non sa valorizzare non cancella la realtà fotografata dagli ultimi test Invalsi: la preparazione media dei nostri ragazzi specie nel Mezzogiorno è penosa».

Colpa dei professori?
«No. Colpa soprattutto di 30 anni di riforme sbagliate che stanno dando i loro frutti. Non siamo riusciti a coniugare educazione di massa e scuola di qualità: l' equazione è fallita quando per motivi ideologici si è pensato che il punto decisivo fosse quello di "democratizzare" la scuola, di dare l' autonomia ai singoli istituti, e di rivedere radicalmente i programmi. E soprattutto che fosse una cosa molto progressista promuovere tutti».
camilleriCAMILLERI

Allora è vero che lei è diventato un reazionario?
«Non m' importa che lo si pensi. Mi limito a osservare che sono un reazionario le cui idee vengono ripetute dieci anni dopo dai progressisti».

Questo significa che il mondo si sta spostando a destra?
«Ma lo sa che questa è una tipica affermazione di sinistra?».

Torniamo allora alla cultura: le celebrazioni per Camilleri le sono sembrate eccessive?
«Siamo un Paese ammalato di retorica, specie quando c' è un morto di mezzo. Ho letto cose incredibili su Camilleri, tipo che sarebbe stato un maestro dell' umanità, che ha passato la vita a difendere i deboli e gli oppressi e così via con i voli pindarici. Non esageriamo, è stato un buon scrittore ma non era Tolstoj. Non mi meraviglierei se tra cinque anni nessuno si ricordasse più di lui se non come l' inventore di Montalbano. Siamo fatti così».
andrea camilleriANDREA CAMILLERI

SI è iscritto anche lei nel club degli anti-italiani?
«Ho combattuto una vita contro questa espressione. Io sono italiano, come lei e come tutti, ahinoi. E non esistono italiani buoni e italiani cattivi, siamo tutti sulla stessa barca».

Come si raddrizza questa barca?
«Con serietà e realismo, due elementi che in questi decenni sono mancati a tutta la società italiana, non solo alla classe politica. La serietà ti impone di parlare solo di cose delle quali hai conoscenza e che misuri in base al risultato, non alla demagogia.
marco travaglio saluta andrea camilleriMARCO TRAVAGLIO SALUTA ANDREA CAMILLERI
Il realismo è il suo parente stretto e ti obbliga a restare con i piedi per terra e non proclamare ad esempio, neppure per scherzo, la fine della povertà».

La società sta regredendo, con il ritorno a immense ricchezze e tragiche e sconfinate povertà?
«Non esageriamo. La globalizzazione è stata criminalizzata ma ha causato un abbassamento del tenore di vita solo in Europa. In Africa e Asia essa ha contribuito a tirar fuori dalla povertà assoluta due miliardi di persone. La ricchezza mondiale è cresciuta, ma c' è più gente con cui spartire la torta».

Il nostro anti-globalismo quindi è egoismo?
bruxelles i cortei dell'estrema destra contro il global compact 9BRUXELLES I CORTEI DELL'ESTREMA DESTRA CONTRO IL GLOBAL COMPACT 9
«No, è la reazione a un fenomeno inevitabile che le nostre classi dirigenti non hanno saputo né capire in tempo né gestire. In particolare la sinistra non ha capito le gravi conseguenze sociali della globalizzazione sul mondo del lavoro e sulla localizzazione delle produzioni industriali. La mancata previsione e gestione di questi problemi ha gettato nell' incertezza e nelle difficoltà economiche un parte importante della popolazione europea e posto le basi del disordine politico attuale. Anche lo scontro sull' immigrazione è figlio di una serie di errori fatti a proposito della globalizzazione e del multiculturalismo ritenuto suo presunto, inevitabile effetto».
papa francesco 4PAPA FRANCESCO 4

L' immigrazione sta dilaniando il mondo cattolico. Papa Francesco è molto popolare, però le chiese continuano a svuotarsi e, tra chi ancora ci va, parecchi sono critici con il Pontefice dell' accoglienza
«Il calo dei fedeli è dovuto soprattutto, io credo, alla secolarizzazione che colpisce tutte le società occidentali, non lo legherei specificatamente a questo papato. Francesco si è molto esposto sul tema immigrati, assumendo una posizione radicale sull' accoglienza; giocoforza è stato divisivo. Ma il tema per la verità prescinde dalla fede, tant' è che troviamo atei pro-accoglienza e cattolici contro l' accoglienza».

Un cristiano non dovrebbe uniformarsi al pensiero del Pontefice?
matteo salviniMATTEO SALVINI
«Nello scontro sull' immigrazione non ci sono, a me pare, questioni religiose o teologiche in ballo. Esiterei molto a dire, ad esempio, che chi si oppone agli arrivi indiscriminati è un anti-cristiano. Il contrasto all' immigrazione indiscriminata è una questione molto importante che riguarda in special modo la vita quotidiana delle classi popolari di molte aree urbane del Paese. Come si fa a dire che chi vive nelle periferie e non vuole un campo rom vicino non è cristiano? Bisognerebbe trovarsi al suo posto e vivere le sue giornate per giudicare».
papa francescoPAPA FRANCESCO

La crescita di Salvini è dovuta alla posizione sugli immigrati
«Non solo. È legata al fatto che il leader leghista riesce a intercettare e farsi paladino di temi forti legati ai problemi della gente. Questioni anche trasversali, tant' è che su sicurezza, pensioni e immigrati si è andato a prendere pure molti voti a sinistra».

Viceversa, come spiega il tracollo di M5S lei, che è tra gli elettori pentiti della Raggi?
PAPA FRANCESCO CON SERGIO MATTARELLA DOPO LA MESSA A SANTA MARTAPAPA FRANCESCO CON SERGIO MATTARELLA DOPO LA MESSA A SANTA MARTA
«Le ragioni del mio pentimento sul voto romano sono intuitive. Più in generale, penso che i grillini stiano perdendo consensi perché hanno fatto troppe promesse senza combinare alcunché. Specie al Sud, la loro roccaforte, alla fine si è dimostrato che non avevano alcuna ricetta salvifica oltre al reddito di cittadinanza che peraltro non riguarda affatto solo il Sud. E poi M5S è stato surclassato mediaticamente da Salvini».

Il governo è agli sgoccioli?
CENA DI FINE ANNO DEL GOVERNOCENA DI FINE ANNO DEL GOVERNO
«Chi lo sa? Lo spettacolo quotidiano è stucchevole. Ma personalmente sono arciconvinto che anche se dovesse cambiare il governo e subentrasse, per esempio, un esecutivo M5S-Pd, o anche un governo tecnico, in realtà non cambierebbe nulla. Dappertutto mancano visione, coraggio e strumenti culturali, in più non ci sono né le risorse né gli strumenti istituzionali per governare bene, a cominciare dalla macchina dello Stato che fa acqua da tutte le parti».

il governo conte con mattarellaIL GOVERNO CONTE CON MATTARELLA
E la sinistra come sta, gli serviranno vent' anni per risorgere?
«Da quella parte non mi pare di vedere segnali confortanti. Anche lì il personale politico è in complesso quanto mai scadente. Direi che lo stato della sinistra ben riassume la crisi della classe dirigente politica e non solo politica nel suo complesso».

Attualmente la sinistra sta cavalcando il Russiagate, ma la vicenda pare non fare breccia nell' opinione pubblica: come se lo spiega?
governom by giorgio croce nanniGOVERNOM BY GIORGIO CROCE NANNI
«L' elemento giudiziario è abusato. Gli italiani sono saturi e poco propensi ormai a credere a inchieste e complotti. La nostra opinione pubblica è storicamente abituata da decenni a vedere i partiti che ricevono finanziamenti dall' estero, perché dovrebbe scandalizzarsi proprio ora? Siamo un Paese con scarso orgoglio nazionale e un passato in cui il denaro di provenienza dubbia e straniera ha costituito un presupposto tacito della nostra quotidianità democratica».

venerdì 19 luglio 2019

La qualità perduta del dibattito pubblico

(iStockphoto)
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«Lo stato di disattenzione, sottoinformazione, distorsione percettiva e, infine, totale ignoranza dei pubblici di massa è scoraggiante. Solo un dieci-venti per cento della popolazione adulta merita la qualifica di informata». Lo scriveva quarant’anni fa Giovanni Sartori e questo potrebbe farci concludere che su tale terreno non c’è oggi nulla di veramente nuovo. Ma sbaglieremmo. Fino a qualche anno fa, la parte della popolazione in grado di discutere di una questione con qualche competenza era sì una minoranza, ma riusciva comunque a contribuire alla discussione pubblica con argomentazioni che, condivisibili o meno, avevano uno spessore, andavano oltre la battuta estemporanea o il tweet. Qualcosa di quelle argomentazioni — si trattasse di un discorso parlamentare, un dibattito in una sezione di partito, un corteo sindacale, un servizio televisivo, l’editoriale di un quotidiano — si diffondeva per mille rivoli nella società influenzando alla fine anche le proverbiali chiacchiere nei «bar dello Sport».
Oggi invece abbiamo superato la soglia di guardia, se gli stessi servizi dei Tg sono spesso incentrati sulla semplice riproduzione di un post o di un video dei due vicepresidenti del Consiglio. Se le discussioni politiche – che si tratti dei leader o dei follower poco cambia – riproducono di continuo una banale contrapposizione amico-nemico, dando forma a una realtà parallela e virtuale: secondo alcuni saremmo di fronte a un’invasione dei migranti, secondo altri saremmo invece sommersi da un’onda nera parafascista e così via. L’infantilizzazione della discussione deve aver proprio superato il livello di guardia se una vicenda in fondo marginale come quella dello sbarco della nave Sea Watch ha potuto essere considerata da alcuni l’equivalente di un atto di guerra e da altri come una prova di eroismo tale da scomodare un archetipo della cultura occidentale come l’Antigone di Sofocle. Se — ancora — tutto questo avviene senza che nessuno dei problemi effettivi del Paese — dal crollo delle nascite che forse ha superato il punto di non ritorno alla produttività ferma da vent’anni, da una macchina pubblica insieme opprimente e inefficiente all’incapacità di occuparsi dei problemi della scuola (se non aggravandoli, come da ultimo con i concorsi «facilitati», cioè finti, per i precari) — senza che nessuno di quei problemi, dicevo, venga mai fatto oggetto di qualche discussione. E la qualità di una democrazia è strettamente collegata alla qualità della discussione pubblica.
Ma questa, appunto, è la democrazia nell’epoca di internet e dei social media, del tempo reale e dell’immediatezza, quando forse per la prima volta è diventata integralmente vera la famosa affermazione coniata da Marshall McLuhan, e cioè che «il mezzo è il messaggio». Con i social la democrazia ha trovato lo strumento comunicativo perfettamente a sua misura, attraverso il quale tutti ma proprio tutti possono intervenire su tutto, sempre. Non era mai successo prima. In una democrazia, come possono votare anche gli analfabeti, così hanno sempre avuto lo stesso diritto di esprimere la loro opinione sapienti e ignoranti, competenti e incompetenti, chi si sforzava di essere informato e chi si rifiutava di farlo. Solo che in passato questo era vero solo in teoria, mentre ora c’è la effettiva possibilità, per ciascuno, di esprimere la propria opinione su tutto, avendo magari tanto più seguito quanto più è semplificato, banalizzato e magari infondato ciò che dice.
In realtà la qualità della discussione pubblica dipende sì dal pubblico, dalla totalità dei cittadini, ma anche da un altro fattore: la presenza o meno di élite in grado di introdurre elementi virtuosi nella discussione cercando di orientarla positivamente, in termini di diffusione di dati reali, di messa a fuoco di questioni rilevanti, di critica delle realtà parallele costruite facendo appello alle reazioni più emotive della gente. Il processo dovrebbe iniziare da chi del governo dei problemi del Paese anzitutto si occupa, cioè dal ceto politico e dall’esempio che esso è o meno in grado di fornire. E purtroppo qui siamo di fronte a una rinuncia totale, con dei leader – nel caso dell’Italia di oggi tanto di governo che di opposizione (se mai esiste) – che appaiono interamente prigionieri di una dimensione discorsiva insieme aggressiva e infantile, fatta di mezze idee (spesso sbagliate) ascoltate chissà dove e chissà da chi. E quando sono i leader a incrementare le opinioni fondate sull’ignoranza ma pronunciate con aggressiva perentorietà, dobbiamo forse cominciare a preoccuparci.

giovedì 18 luglio 2019

Il liberalismo è il sistema peggiore a eccezione di tutti gli altri (Aldo Cazzullo su "ilcorriere.it)

Cari lettori
La fine del liberalismo, annunciata da Putin e dal suo ideologo Dugin, mi ricorda la fine della storia di Fukuyama. Se dopo il crollo del Muro era illusorio pensare che la democrazia e il mercato avessero vinto una volta per sempre, ora è assurdo pensare di poterne fare a meno. Semmai si tratta di governare il mondo globale, ponendo rimedio ad alcune storture. 
Qualche esempio? I premi milionari a manager che hanno rovinato le loro aziende, versati pagando non il merito ma lo status, non il lavoro ma il privilegio, come nell’Antico Regime. Rovesciare questo sistema assurdo per cui più lavoro si crea, più tasse si pagano, mentre più soldi si incassano e meno lavoro si crea, meno tasse si pagano. Farla finita con l’assurdità per cui i veri ricchi si rifugiano nei paradisi fiscali, mentre il ceto medio viene spremuto fino all’inverosimile. In pochi hanno nostalgia non soltanto del comunismo, com’è ovvio, ma pure della socialdemocrazia, che è in crisi un po’ in tutto il mondo. 
L’ultimo esperimento di ingegneria sociale, tentato da Jospin in Francia con la riduzione dell’orario legale a 35 ore, è fallito. Da allora la sinistra di governo si è blairianamente limitata alla gestione dell’esistente, al temperamento degli eccessi del thatcherismo e del reaganismo. Nel mondo globale è difficile che un singolo Paese possa andare in controtendenza: si indebiterebbe troppo, e si esporrebbe alla speculazione finanziaria. Occorre riconoscere che ogni nazione ha il sistema sanitario e il sistema pensionistico che è in grado di finanziare; e per farlo occorre lavorare di più e soprattutto meglio, di non meno. Il liberalismo resta il peggiore dei sistemi, a eccezione di tutti gli altri.

martedì 16 luglio 2019

I disclaimer legali dentro le email non servono a niente

Non c'è nessuna legge che imponga di inserirli, e nessuna utilità dal punto di vista legale, ma lo fanno moltissimi comunque

A molti sarà capitato almeno una volta di ricevere una email che si concludeva con un lungo messaggio in cui si comunicava al destinatario la natura personale delle informazioni contenute, e lo si avvertiva di distruggerla e di avvisare il mittente nel caso in cui fosse stata inviata per errore. Questi messaggi, chiamati in gergo tecnico disclaimer, non servono a niente.
disclaimer contengono formulazioni spesso diverse tra loro, ma condividono lo stesso contenuto. Iniziano facendo riferimento al decreto legislativo 196/03 (il Codice in materia di protezione dei dati personali) o al Regolamento generale sulla protezione dei dati dell’Unione Europea (General Data Protection Regulation, GDPR), e continuano poi più o meno così:
«In ottemperanza al D.lgs. 196/03 e al Regolamento UE 2016/679 in materia di protezione dei dati personali, tutte le informazioni contenute in questo messaggio, sono destinate unicamente alle persone/aziende in indirizzo, e le informazioni in essa contenute, incluso ogni allegato, sono di carattere confidenziale e possono essere legalmente riservate. Sono destinate ad uso esclusivo del ricevente ed ogni divulgazione, copia, distribuzione o riferimento è proibito e può essere considerato illegale. Se tale messaggio è stato ricevuto per errore, il mittente deve esserne prontamente avvisato ed il messaggio deve essere distrutto, compreso ogni allegato presente. La trasmissione via posta elettronica non può essere ritenuta sicura o priva di errori, in quanto le informazioni potrebbero essere intercettate, danneggiate, smarrite, distrutte, arrivare in ritardo o incomplete, oppure contenere virus informatici. Per queste ragioni il mittente non si ritiene responsabile per errori od omissioni nel contenuto di questo messaggio che deriva da una trasmissione via posta elettronica»
Trovare questi messaggi in fondo alle email scritte o ricevute in particolare dalle aziende è così comune che ormai i destinatari danno per scontato di trovarle, e i mittenti di doverle inserire. Ma sono davvero obbligatori e, soprattutto, servono a qualcosa? In realtà, nonostante le leggi che vengono citate nei disclaimer, dal punto di vista normativo non esistono obblighi di alcun tipo sull’inserimento di questi messaggi, e la loro utilità legale è inesistente.
Nel decreto legislativo 196/03 non si fa nessun riferimento all’obbligo dei mittenti di inserire un disclaimer di qualche tipo sull’eventuale invio di una email a un destinatario sbagliato, ma solo all’iscrizione a servizi di newsletter, che è un caso diverso. Il sito di informazione giuridica Ius in itinere spiega che secondo alcuni l’obbligatorietà del disclaimer andrebbe cercata nelle linee guida del Garante per posta elettronica e internet, dove al punto 5.2 lettera b, viene detto che «tuttavia, con specifico riferimento all’impiego della posta elettronica nel contesto lavorativo e in ragione della veste esteriore attribuita all’indirizzo di posta elettronica nei singoli casi, può risultare dubbio se il lavoratore, in qualità di destinatario o mittente, utilizzi la posta elettronica operando quale espressione dell’organizzazione datoriale o ne faccia un uso personale pur operando in una struttura lavorativa».
In questo caso, però, il disclaimer si riferisce solo alle email scritte da account di posta aziendali con contenuti personali, e serve ad avvisare i destinatari che il contenuto può essere letto anche da altri colleghi all’interno dell’azienda. Anche il Regolamento UE 2016/679 (GDPR) fa riferimento nell’articolo 13 al trattamento delle informazioni riservate contenute nelle mail, e dice che in caso di raccolta di dati il mittente della email deve informare il destinatario del trattamento dei dati personali che effettuerà. Solo che, nel caso in cui il mittente si accorga di aver sbagliato destinatario o che sia il destinatario a farlo notare, il titolare del trattamento non potrà usufruire dei dati e il diclaimer risulterà superfluo.
Resta quindi un’ultima normativa che potrebbe spiegare la necessità di inserire in calce nelle email quell’avvertimento: l’articolo 616 del codice penale, secondo cui «chiunque prende cognizione del contenuto di una corrispondenza chiusa, a lui non diretta, ovvero sottrae o distrae, al fine di prenderne o di farne da altri prendere cognizione, una corrispondenza chiusa o aperta, a lui non diretta, ovvero, in tutto o in parte, la distrugge o sopprime, è punito, se il fatto non è preceduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a un anno o con la multa». In questo caso, però, si fa riferimento a quando si riceve della corrispondenza cartacea, sulla cui busta sia scritto il nome di un’altra persona. Nel nostro caso è invece il mittente ad aver commesso l’errore: se nella email sono contenuti dati personali, è chi li ha inviati che può essere giuridicamente responsabile e non chi li riceve.
È diverso il caso in cui invece il destinatario riveli pubblicamente il contenuto di una email che in teoria non avrebbe dovuto ricevere. L’articolo 616 in questo caso dispone che «se il colpevole, senza giusta causa, rivela, in tutto o in parte, il contenuto della corrispondenza, è punito, se dal fatto deriva nocumento ed il fatto medesimo non costituisce un più grave reato, con la reclusione fino a tre anni». Anche in questo caso, come sottolinea Ius in itinere, non ci sono però motivi che facciano pensare che sia obbligatorio per il mittente inserire un disclaimer: «non è dovere o compito del mittente dover ricordare al destinatario i casi che rappresentano una infrazione di legge in quanto, citando la massima “ignorantia legis non excusat”, vige la presunzione di conoscenza della legge».
In questi casi e in ogni caso, comunque, è evidente che cosa si può fare o non si può fare con una email viene stabilito dalla legge, e non da un disclaimer: che ci sia o che non ci sia, non fa alcuna differenza. Se non c’è nessun obbligo legale a inserire disclaimer di questo tipo, allora perché lo fanno tutti? In un articolo di qualche anno fa, l’Economist suggeriva che il motivo potrebbe essere molto più semplice di quanto si possa pensare: qualche azienda ha iniziato a farlo, qualche altra l’ha copiata e ha cominciato a sua volta, poi qualcun’altra ancora, e così via. Non c’è motivo per mettere un disclaimer nelle email, e legalmente non serve a nulla, ma lo fanno tutti, quindi perché non farlo?