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giovedì 30 gennaio 2020

I SETTE SEGNALI PREMONITORI DELL’INFARTO


I SETTE SEGNALI PREMONITORI DELL’INFARTO - C'È UN MODO PER CAPIRE, UN MESE PRIMA, SE SI STA PER VERIFICARE UN ATTACCO DI CUORE. NON VA PRESA SOTTO GAMBA LA SUDORAZIONE ECCESSIVA. POI VA TENUTA CONTROLLATA L'ARITMIA O LA TACHICARDIA, COSÌ COME… - L'INFARTO COLPISCE ALL'INCIRCA 120MILA PERSONE ALL'ANNO, 25MILA DELLE QUALI NON FANNO IN TEMPO AD ARRIVARE IN OSPEDALE.
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L'infarto colpisce all'incirca 120mila persone all'anno, 25mila delle quali non fanno in tempo ad arrivare in ospedale. Eppure c'è un modo per capire, un mese prima, se si sta per verificare un attacco di cuore. Sono sette i segnali premonitori che possono avvisare se c'è qualcosa che non va nel nostro corpo.

Per prima cosa non va presa sotto gamba la sudorazione eccessiva, da tenere d'occhio se non è collegata al caldo, a disfunzioni tiroidee, al cancro o alla menopausa. Poi va tenuta controllata l'aritmia o la tachicardia, così come la dispnea (la difficoltà nel fare respiri lunghi e profondi). Quest'ultimo campanellino d'allarme può manifestarsi anche sei mesi prima l'infarto. Ma non solo, bisogna fare attenzione anche alla nausea, sia che questa si verifichi a stomaco pieno che a stomaco vuoto.
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Attenzione poi al  senso di profonda insonnia accompagnata da fiacca (entrambi dovuti ai tessuti meno ossigenati perché il cuore sta soffrendo). Da tenere monitorate anche le calvizie e l'aumento della pressione arteriosa con forti mal di testa ed emorragie dal naso.
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mercoledì 8 gennaio 2020

IL GALATEO IN PIZZERIA

MAGNA, CHE SI FREDDA - SE ANDATE A MANGIARE LA PIZZA CON GLI AMICI, POTETE INIZIARE A PAPPARVELA SENZA ASPETTARE CHE TUTTI VENGANO SERVITI – CI SONO UNA SERIE DI ABITUDINI SBAGLIATE CHE POSSONO RENDERE LA SERATA IN PIZZERIA UN DISASTRO: PER GODERVI UNA SANA MAGNATA LEGGETE QUESTE REGOLE D’ORO – MAI FARSI PASSARE UNA FETTA DI PIZZA DA UN AMICO E SULLE POSATE…
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Giovanni Giorgi per "www.corriere.it"

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Esistono regole per quando andiamo a mangiare la pizza? Sì, e non riguardano solo le buone maniere, ma una serie di abitudini da evitare per rendere più piacevole (e meno imbarazzante) un pasto in pizzeria.

Scegliere sempre la stessa
I menu sono il risultato di azioni lunghe e complesse, che cominciano dalla produzione della carta, dove convogliano gli sforzi e la capacità critica degli ideatori di ricette. Sfruttateli. Capita spesso di sedersi a tavola e dare uno sguardo approssimativo alle scelte disponibili, ricadendo puntualmente sulla solita proposta. Potete invece sperimentare le pizze della casa, quelle con gli ingredienti del luogo, o semplicemente cambiare.
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Personalizzare l’ordine all’eccesso
Va bene richiedere la mozzarella di bufala o, al limite, un’altra aggiunta. Per il resto vi consigliamo di fidarvi degli accostamenti pensati dai pizzaioli, senza divagare troppo con la fantasia.

Aspettare che tutti siano serviti
Molte volte venite serviti in tempi diversi. Bastano pochi minuti per far nascere la domanda: «Volete che vi aspetti?». «No, inizia pure» è la battuta successiva, come dal più classico dei copioni. Possiamo concordare sul fatto che questa situazione sia evitabile. Quel piccolo intervallo potrebbe inoltre essere sufficiente per far freddare la vostra pizza, rendendola poco piacevole al palato.
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Fissare la pizza degli altri
Chi viene servito per ultimo dovrebbe tenere a freno l’istinto, sopportando l’acquolina in bocca in maniera più discreta possibile. Il consiglio, allora, è quello di sforzarsi a non tenere il vostro sguardo fisso, specie se supplichevole, sulla pizza dei vostri amici, mettendoli in condizione di offrirvela. Sguardi fissi da evitare anche sui piatti di chi sta seduto ad altri tavoli
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Far sentire a disagio chi ordina un piatto diverso
Buona educazione, sebbene comporti un po’ di sforzo, sarebbe rispettare chi ordina qualcosa di diverso. Ad esempio, relazionandosi con queste persone in maniera del tutto indifferente rispetto a cosa si trova nel loro piatto e abbandonando il tentativo di comprendere i motivi di certe scelte. In fondo hanno semplicemente voglia di mangiare altro.

Evitare il vino
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Non è necessario attenersi al cliché “pizza e birra in compagnia”. Anche il vino è una scelta del tutto valida per rendere questa occasione più rilassante, godereccia e spensierata possibile.

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Per quanto strano possa sembrare, scambiarsi le fette di pizza non è il massimo. Inoltre, esistono varie formule, come la pizza al metro o i taglieri misti, per condividere il pasto. Questi possono essere un compromesso valido. In caso contrario, lasciate che ognuno goda di ciò che ha ordinato, senza interferire con l’alchimia che si crea fra pizza e commensale.
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Usare troppo le posate
Il punto saliente del galateo della pizza è proprio questo. In teoria, secondo le buone e vecchie maniere, dovreste usare le posate, almeno che non si tratti di pizza al taglio. Tuttavia, sappiamo che l’uso di forchetta e coltello può far sentire gli altri commensali a disagio. Quindi siete liberi di adeguarvi in base alle situazioni.
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Avanzare la pizza
Sulle croste si potrebbe ancora discutere — noi consigliamo comunque di non lasciarle da parte — ma avanzare intere fette di pizza è un gesto che difficilmente trova giustificazioni: poco tempo e poca fame sono motivi che, a dirla tutta, dovrebbero bloccarvi ancor prima di mettere piede in una pizzeria.
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lunedì 6 gennaio 2020

L’idrogeno non c’entra niente con i gas serra. No, in effetti c’entra un tubo


   
In California si torna a puntare su una fonte energetica a zero carbonio, di moda qualche anno fa: potrebbe diventare la regina dell’automotive (e non solo) e dare nuova vita alle condutture dei vecchi impianti a gas o petrolio
Questo articolo è stato realizzato da quotedbusiness.com
C'è da riconoscerlo. Siamo in un periodo della storia umana in cui tutto è possibile, sia nel bene sia nel male. Siamo a un passo dal rendere irreversibile la catastrofe planetaria del surriscaldamento, ma siamo ancora in tempo per impedirla, se riusciremo a mettere in atto le politiche di taglio dei gas serra concertate a Parigi e in altre sedi Onu. E siamo in una fase dell'umanità in cui mai come ora nel campo dell'innovazione eco-sostenibile tutto è possibile.
Il settore delle rinnovabili, continua a essere quello maggiormente in fermento e da oltre due decenni, continua a ribollire di novità. L'ultima, di cui fa cenno USA Today, in realtà è una doppia novità. In estrema sintesi: c'è un prepotente ritorno d'interesse su una fonte pulita un po' accantonata, l'idrogeno, che però, ed è questo il secondo aspetto innovativo, comporterà anche un effetto positivo sul “vecchio” sistema infrastrutturale energetico, che potrebbe essere riadattato proprio per agevolare la transizione tra fonti di energia.
L'idea-bingo, che mette tutte le caselle a posto nello stesso momento, sta prendendo piede in California, in scia con sperimentazioni già in corso in Germania, Olanda e Canada. Un piano strategico nato sulla base di una spinta popolare: è sempre più forte la richiesta di cittadini californiani ed associazioni di bandire una volta per sempre tutti i gas-serra, a partire dai combustibili fossili per le automobili o per gli impianti di riscaldamento delle case di nuova costruzione. Tra le possibili fonti pulite sostitutive, in prima fila ora c'è l'idrogeno, un gas a zero effetto serra e in grado di attivare batterie elettriche, le fuel cell, utili a ogni scopo, dal riscaldamento alla trazione.
La produzione è anche relativamente facile, dagli idrocarburi fossili e dall'acqua tramite elettrolisi, ma il problema è che entrambi i metodi sono, almeno al momento, piuttosto costosi e non economicamente convenienti. Ma la consapevolezza che l'idrogeno, pur nella costosità di estrazione, sia una fonte potenzialmente inesauribile, essendo l'elemento maggiormente presente sulla Terra anzi nell'Universo, non lo ha mai fatto dimenticare del tutto. Anzi, c'è chi sostiene che sia, in prospettiva, il sistema di alimentazione numero uno al mondo per le automobili. “Altro che l'elettrico: entro il 2030 sarà l'idrogeno la vera alternativa ecologica ai combustibili fossili”, lo ha detto Felix Gress, uno dei manager di punta di Continental.
Un gas a zero-carbonio che ha poi una caratteristica in più rispetto alle altre fonti: è immagazzinabile. Uno dei punti critici di tante tra le cosiddette fonti alternative, infatti, riguarda la ”discontinuità” della produzione (con i picchi e i punti bassi, per esempio di vento e sole) e la “conservazione” della potenza elettrica prodotta. Criticità che ostacolano la diffusione capillare di tante forme di produzione di energia e che l'idrogeno, almeno in teoria, non presenta. Anzi, più esattamente, l'idrogeno “è” la soluzione per i problemi strutturali delle altre fonti.
All'Università della California di Irvine stanno studiando proprio l'incastro magico. Nello Stato americano si produce tanta elettricità da eolico e solare da raggiungere, in alcuni momenti della giornata, picchi di produzione che non possono essere immessi nella rete nazionale perché la farebbero saltare. E' tutta energia dispersa che sarebbe invece utile nei picchi di richiesta degli utenti. L'idea è di utilizzare quell'extra produttività da fonti green per produrre un'altra fonte verde, l'idrogeno, appunto, che può invece essere stoccato.
E dove stoccare il  prezioso “gas H”? Proprio nei gasdotti ed oleodotti tradizionali. I quali quindi, da demoni da abbattere quanto prima, come chiedono molti ambientalisti californiani, diventerebbero invece un utilissimo strumento per passare alla fonte energetica più verde di tutte. Insomma si realizzerebbe il super riciclo del futuro. Neanche un watt di elettricità andrebbe disperso e neanche un grammo di carbonio verrebbe immesso nell'atmosfera per smaltire i vecchi impianti a gas o petrolio.
FONTE: USA TODAY

giovedì 2 gennaio 2020

Cannabis: storia, principi attivi, utilizzo e pericoli

17 Dicembre 2019

  • Focus
  • Nei giorni dello scontro politico sulla cannabis light, il Professor Bonci fa ordine su bugie, falsi miti e veri pericoli della sostanza psicoattiva più consumata al mondo.
La pianta della cannabis è stata consumata dall’umanità per secoli. Gli imperatori cinesi la usavano già nel 2.727 a.C., così come gli antichi greci e romani, seguiti in questa pratica dai popoli del Medio Oriente e dell’Impero islamico. La cannabis fu esportata nelle Americhe già nel 1545 dagli spagnoli in Cile. Oggi più di 147 milioni di persone, pari al 2,5% della popolazione mondiale, consumano cannabis ogni anno. Nel 2015 circa 14,6 milioni di giovani europei (15-34 anni di età) hanno riferito di averne fatto uso negli ultimi 12 mesi.
Nel corso dei secoli la cannabis è stata usata a fini medici, ricreativi e persino industriali; ne esistono tre sottospecie: la cannabis sativa, la cannabis indica e la cannabis ruderalis (sebbene tutte stiano sotto l’ombrello della cannabis sativa). Il termine “marijuana” è comunemente usato per riferirsi alla cannabis. Tuttavia la popolarità di questo termine deriva dalle bigotte leggi anti-cannabis rivolte agli immigrati messicano-americani e ad altri gruppi minoritari, che vivevano negli Stati Uniti nel ‘900 e non ha nulla a che fare con il nome scientifico o le origini della pianta. Per questo motivo nell’articolo parleremo correttamente di cannabis.

Effetti della cannabis sul cervello

Il principale componente psicoattivo contenuto nella cannabis è il delta-9-tetraidrocannabinolo(THC), che deriva principalmente dal fiore di cannabis. A seconda della varietà e dell’allevamento, la pianta di cannabis può contenere fino a 500 composti e oltre 100 cannabinoidi aggiuntivi, che contribuiscono a definire l’aroma, il sapore, e gli effetti psicoattivi della pianta. Oltre al THC, è il cannabidiolo(CBD), il composto che ha ricevuto l’attenzione maggiore per i potenziali usi medici e ricreativi. Infatti, come racconteremo, THCCBD hanno effetti molto diversi nel cervello, in alcuni casi opposti. Al di fuori del campo medico e ricreativo, le piante di cannabis sono utilizzate per creare corde, abbigliamento, carta e altri prodotti. Conosciute anche come canapa, queste piante di cannabis hanno in genere un contenuto di THC molto basso e non sono utilizzate per gli scopi di cui trattiamo in queste righe.
Nel cervello, il tetraidrocannabinolo agisce attivando i recettori dei cannabinoidi; questi recettori sono presenti perché il cervello e tutto l’organismo producono i propri cannabinoidi, chiamati cannabinoidi endogeni endocannabinoidi. Mentre il recettore dei cannabinoidi di tipo 1 (CB1R) è espresso principalmente nel cervello, il recettore di tipo 2 (CB2R) è espresso principalmente nelle parti periferiche del corpo, dove regola la risposta ai processi infiammatori e le funzioni del sistema immunitario.
In particolare, il recettore di tipo 1 si trova in aree coinvolte in molte attività superiori: memoria, funzioni motorie, emozioni, umore e processi cognitivi. Cosa molto importante, questo recettore è anche espresso in una regione chiave del cervello legata ai meccanismi di ricompensa, a cui abbiamo accennato nell’articolo scorso, chiamata area tegmentale ventrale. L’attivazione del recettore di tipo 1 da parte del tetraidrocannabinolo (THC) aumenta il rilascio di dopamina e serotonina, le molecole del piacere e della felicità del cervello. Si ritiene che questi effetti siano alla base dell’euforia, del piacere e del rilassamento riportati da alcuni consumatori di cannabis. Tuttavia, l’eccesso di una cosa buona può avere effetti opposti. Poiché il CB1R è espresso in molte altre regioni del cervello, il THC può anche causare uno stato di ansia molto importante, paranoia e persino psicosi.
A differenza del tetraidrocannabinolo, il cannabidiolo agisce nel cervello bloccando in maniera blanda (a bassa affinità) tutti i recettori dei cannabinoidi (sia CB1R che CB2R). Pertanto, il CBD non provoca un high o effetto euforizzante, come il THC. Al contrario, il CBD può contrastare alcuni degli effetti negativi del THC, come ansia e sedazione. Sebbene storicamente gli esperti abbiano affermato che il CBD non possiede effetti psicoattivi, recenti studi suggeriscono che il CBD possa migliorare i disturbi dell’umore come la depressione e l’ansia, anche se consumato da solo e in assenza di THC.
Mentre il tetraidrocannabinolo rimane illegale in molti Paesi a causa del suo potenziale di abuso e degli effetti inebrianti, il cannabidiolo ha beneficiato di una regolamentazione meno restrittiva. Negli Stati Uniti, una formulazione di CBD chiamata Epidiolex è stata approvata nel 2019 come farmaco per il trattamento di forme rare di epilessia che si manifestano nei bambini, chiamate Sindrome di Lennox-Gastaut e Dravet. La cannabis (contenente vari livelli di THC e CBD) è stata anche utilizzata come trattamento terapeutico per il glaucoma, l’asma e come stimolante dell’appetito per i pazienti con varie forme di cancro o AIDS. Nell’Unione europea, il CBD è stato recentemente classificato come un nuovo alimento, perché a detta degli esperti non era stato consumato in misura significativa dall’umanità prima del maggio 1997. Questo fatto è importante perché l’autorizzazione europea di nuovi alimenti è controllata più rigorosamente rispetto agli alimenti normali e richiede la dimostrazione di una storia di consumo sicuro e innocuo da parte del consumatore, etichettatura corretta e non fuorviante e/o vantaggi nutrizionali.

I pericoli dell’uso di cannabis

Oggi i prodotti a base di cannabis vengono consumati in una miriade di modi, dal fumo nelle sigarette alla produzionedi caramelle, oli e bevande. I prodotti consumati per via orale possono esercitare effetti psicoattivi diversi rispetto a quando vengono fumati o svapati.
Quando assunti per via orale, questi prodotti sono spesso associati a intossicazione più duratura e più intensa, sebbene l’insorgenza di effetti psicoattivi sia spesso lenta e ritardata. Al contrario, fumare o svaparela cannabis produce un inizio più rapido degli effetti cercati, anche se di durata inferiore. È qui importante sottolineare che fumare o svaparela cannabis porta gli stessi pericoli associati al fumo di sigarette o con lo svapo di nicotina.
Continua l’articolo del Professor Bonci sul mondo della sostanza psicoattiva più consumata al mondo, con i pericoli dell’abuso in adolescenza e in gravidanza.
Alcuni consumatori di cannabis sviluppano dipendenza o disturbo da uso di cannabis. Sebbene il rischio di sviluppare disturbo da uso di cannabis sia inferiore a quello di sviluppare dipendenza da altre sostanze (come nicotina, eroina e cocaina), questa sindrome colpisce comunque più del 4-8% degli adulti, e la dipendenza da cannabis può interessare fino al 9% dei consumatori. Nel complesso, gli uomini presentano percentuali più elevate di dipendenza da cannabis rispetto alle donne. Tuttavia, dopo aver iniziato a usare la cannabis, le donne sembrano diventare più rapidamente dipendenti da cannabis rispetto agli uomini e, di conseguenza, essere esposte ad effetti clinici indesiderati.
Il disturbo da uso di cannabis è caratterizzato dal consumo di livelli crescenti per periodi di tempo più lunghi del previsto, da tentativi (inutili) di ridurre il consumo, da desiderio frequentediconsumare cannabisuso continuato nonostante conseguenze fisiche, mentali o sociali significative. Inoltre, in questi casisi sviluppa il fenomeno della tolleranza, in cui il soggetto consuma quantità sempre maggiori di cannabis per ottenere gli effetti psicoattivi desiderati. Circa il 50% dei consumatori cronici di cannabis manifesta anche sintomi di astinenza alla riduzione o alla cessazione del consumo, sintomi che includono ansia, depressione, disturbi del sonno, problemi gastrointestinali e calo dell’appetito. I consumatori di alte dosi di cannabis e quelli cronici rischiano di sviluppare una sindrome molto più grave e fastidiosa, chiamata sindrome da iperemesi da cannabis. Questa seria problematica clinica è associata a forti dolori addominali, nausea e vomito eccessivo, spesso per diverse ore alla volta. L’unico trattamento è la completa cessazione del consumo di cannabis. La maggior parte dei pazienti guarisce, ma può accadere giorni o mesi dopo l’interruzione del consumo di cannabis.
Insomma, come avrete capito la cannabis non fa bene e – come per il fumo –, è meglio non cominciare ad assumerla, e se si è iniziato ad assumerla è meglio smettere.
Fortunatamente ci sono diverse opzioni di trattamento disponibili per le persone che vogliono ridurre o smettere di usare la cannabis. Opzioni di trattamento psicosociale, tra cui la terapia cognitivo-comportamentale e la terapia di potenziamento motivazionale, che aiutano il paziente a riacquistare l’autocontrollo e a riqualificare i sistemi di ricompensa e motivazione del cervello per godersi la vita quotidiana, i piaceri naturali e avere interesse a pianificare meglio il futuro. I sintomi legati al sonno e all’ansia possono anche essere trattati farmacologicamente con ausili per il sonno o farmaci ansiolitici.

Adolescenza e gravidanza

Altri gruppi per i quali la cannabis è particolarmente pericolosa sono gli adolescentie le donne in gravidanza. L’adolescenza è un periodo di rapido sviluppo del cervello, durante il quale le regioni corticali frontali, che controllano la motivazione, il pensiero e altre funzioni cognitive vitali, sono in via di sviluppo e crescita. L’uso di cannabis durante questo delicato periodo di sviluppo può modificare in modo permanente la struttura e le dimensioni del cervello, cambiare la qualità e quantità delle connessioni cerebrali, e ridurre il flusso sanguigno verso molte regioni del cervello. Questi cambiamenti possono portare a una riduzione delle abilità cognitive, riduzione della memoria e dell’attenzione, e riduzione delle capacità decisionali in età adulta. Inoltre, l’uso di cannabis nella prima adolescenza raddoppia il rischio di sviluppare una dipendenza in età adulta, sia per la cannabis che per altre droghe d’abuso.
La cannabis può essere un pericolo ancora maggiore durante la gravidanza. Poiché molte persone credono che la cannabis sia naturale e di origine vegetale, credono che la cannabis sia sicura da assumere durante la gravidanza per alleviare la nausea, l’ansia e migliorare il sonno. Questa ipotesi è completamente falsa: durante la gravidanza la cannabis danneggia gravemente il feto.
Il feto, infatti, subisce una rapida crescita e lo sviluppo del cervello durante tutte le fasi della gravidanza e il sistema endocannabinoide regola il modo in cui il cervello del feto si sviluppa. I cannabinoidi come il THC sono noti per attraversare la barriera placentare, in modo tale che la cannabis consumata dalla madre influenza anche il feto e la funzione endocannabinoide fetale.
L’esposizione alla cannabis durante lo sviluppo fetale pertanto causa a lungo termine conseguenze negative importanti, con un impatto sullo sviluppo neurocomportamentale del bambino fino all’adolescenza. Alterate funzioni motorie, disturbi del sonno, disturbi della memoria, e aggressività sono alcuni tra i sintomi più importanti. La cannabis può anche passare attraverso il latte materno, e le madri che allattano devono quindi prestare attenzione anche a questo problema. L’uso di cannabis fino al punto di intossicazione interferisce anche con le capacità genitoriali per attendere ai bisogni del bambino, e questo comportamento del genitore può aggravare ulteriormente gli effetti dell’esposizione ai cannabinoidi subiti dal bambino durante lo sviluppo fetale.

Ingredienti nascosti nei prodotti a base di cannabis

La cannabis è la terza sostanza illecita più comune al mondo tra i pazienti che si recano pronto soccorso, viene dopo l’eroina e la cocaina. Infatti, oltre il 30% dei casi di visite al pronto soccorso negli Stati Uniti e in alcune nazioni europee riguarda l’uso di cannabis.
Perché? Una ragione è che la mancanza di regolamenti rigorosi di entrambi i prodotti con THC e CBD significa che i consumatori non sono pienamente informati circa il contenuto o l’utilizzo del prodotto che acquistano. Prodotti che dichiarano di contenere CBD sono venduti in alcuni Paesi sugli scaffali di negozi come integratori alimentari, prodotti alimentari, bevande e cosmetici. Le analisi di questi prodotti spesso rivelano che non contengono i dosaggi di CBD dichiarati o che i prodotti contengono altri cannabinoidi sintetici non descritti sulla loro etichetta. Un recente studio in doppio cieco ha mostrato che solo 3 tra 20 prodotti a base di CBD commercializzati contenevano ciò che affermavano le loro etichette. Diversi prodotti contenevano solventi e gas organici potenzialmente tossici, con potenziali effetti dannosi sull’ organismo.
Oltre a dosaggi inaccurati e alla presenza di riempitivi tossici, molti prodotti a base di cannabis non regolamentati contengono pericolosi cannabinoidi sintetici. I cannabinoidi sintetici sono fino a mille volte più potenti del THC o del CBD e sono correlati a effetti collaterali pericolosi (a volte mortali), come convulsioni, edema cerebrale, tachicardia e arresto cardiaco, nausea e vomito, danno renale e ideazioni suicidarie. Un caso in particolare fece molto scalpore negli Stati Uniti, quello di un bambino di 8 anni che ha subito 14 attacchi convulsivi in un solo giorno a causa di un prodotto contenente CBD acquistato dai suoi genitori su Internet. Quel prodotto conteneva un potente cannabinoide sintetico. Lo stesso cannabinoide sintetico è stato responsabile di oltre 100 ricoveri per overdose in un giorno solo a New Haven, nel Connecticut, e dozzine di ricoveri e decessi in Nuova Zelanda nel 2018.
Vale anche la pena notare che il contenuto dei prodotti correlati alla cannabis è cambiato radicalmente negli ultimi decenni. Mentre negli anni ’90 la cannabis conteneva meno del 10% di THC, nel 2015 il contenuto di THC della cannabis ha raggiunto il 30%. Allo stesso tempo il contenuto di THC sta aumentando, così come stanno aumentando i contaminanti come microbi e funghi, mentre il contenuto di CBD è diminuito. In conclusione, in mancanza di una regolamentazione più chiara e severa in tutto il mondo, i consumatori di cannabis non sono protetti adeguatamente e non sono informati riguardo la sicurezza ed il contenuto dei prodotti che acquistano, correndo così gravi rischi di effetti collaterali, fisici e mentali, pericolosi e indesiderati.

Antonello Bonci


Antonello Bonci