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lunedì 20 maggio 2019

Gli odori del corpo possono rivelare alcune malattie, anche il cancro

LA RICERCA

Gli odori del corpo possono rivelare alcune malattie, anche il cancro
19 Maggio 2019

Ognuno di noi ha un odore corporeo molto personale, che spesso può essere impercettibile all'olfatto umano, ma che rappresenta il risultato di funzioni importanti dell' organismo vivo ed attivo, come la termoregolazione e l' eliminazione di tossine. Esistono però alcune alterazioni dello stato di salute che provocano oscillazioni e cambiamenti delle sostanze chimiche presenti nel sangue e nei tessuti, le quali, una volta arrivate sulla superficie cutanea nel tentativo di essere volatilizzate ed eliminate con la traspirazione, al contatto con l' aria si decompongono, emanando il loro sgradevole odore.

Una ricerca condotta presso il dipartimento di Anestesiologia dell' Università della Pennsylvania, a Filadelfia, ha elencato le principali malattie che provocano la comparsa di particolari odori, talmente caratteristici per la loro consistenza e percezione, da ritenere possibile una valutazione medica, addirittura diagnostica, soltanto "annusando" il paziente portatore di quella determinata patologia "maleodorante", che può spaziare dalla comune infezione al cancro.


Rendo noto questo studio, oltre che a fini scientifici, anche per diffondere la consapevolezza che se da un momento all'altro alcuni odori corporei diventano più evidenti e difficili da neutralizzare, essi non vanno "coperti" con deodoranti, o tentati di eliminare con lavaggi frequenti, ma andrebbero interpretati come un sintomo olfattivo ben preciso, sul quale è in alcuni casi importante intervenire per verificare il possibile disturbo di salute che causa la loro insorgenza.

ODORE DI LIEVITO -  La secrezione vaginale delle donne è normale quando è limpida come l'acqua, quando ha un colore cristallino e soprattutto quando è inodore. Nel momento in cui tale secrezione diventa più abbondante, assume un aspetto lattescente o biancastro, ed ha un odore di lievito, essa è indice di infezione causata da candida o altro tipo di fungo, spesso associata ad altri sintomi classici quali prurito od irritazione delle intime mucose. La maggior parte delle volte tali affezioni sono tipiche durante la gravidanza, oppure compaiono in concomitanza di diabete o deficit immunitario, come durante una terapia prolungata di antibiotici, ma in alcuni casi resistenti possono indicare una insorgente patologia neoplastica dell' utero.

ODORE DI AMMONIACA - L' urina di norma dovrebbe essere limpida, di colore giallo paglierino, con l' odore caratteristico che tutti conosciamo, il quale però, se diventa sgradevole, può essere indice di molti fattori, tra i quali l' alimentazione (asparagi, cavolfiori, aglio, antibiotici) oppure un sintomo di infezioni urinarie, uretrali, vescicali o renali. Quando i batteri si moltiplicano incontrastati infatti, come nel caso di cistiti o pielonefriti, essi trasformano l' urea, una componente dell' urina, in ammoniaca, diffondendo il caratteristico afrore di candeggina, che non va assolutamente sottovalutato, soprattutto se persiste per oltre tre giorni.

ODORE DI ACETONE - Il classico odore del solvente per smalto, che in bocca può dare un retrogusto dolciastro o fruttato, è tipico dei pazienti diabetici scompensati, i quali, in assenza di insulina, non riescono ad utilizzare il glucosio come fonte di energia, per ottenere la quale metabolizzano gli acidi grassi, e in tale processo di degradazione si formano i corpi chetonici, responsabili dell' odore di acetone dell' alito e della pelle.

Ma l' alito acetonico può comparire anche in seguito a vomito ripetuto, come accade spesso nei bambini, o nelle diete restrittive che eliminano completamente gli zuccheri, ed è sempre indice di pericolosa carenza di glucosio, che deve essere somministrato per compensare il grave deficit metabolico, il quale, se non corretto e se persiste, può condurre al coma cheto-acidosico.

ALITOSI - L' alito cattivo nel 30% dei casi è dovuto alla scarsa igiene orale, la causa principale di iper proliferazione della flora batterica annidata tra denti e gengive, che a sua volta metabolizza le proteine, presenti nella saliva e sulla lingua, in aminoacidi volatili gassosi e maleodoranti, contenenti derivati dello zolfo. Questo fenomeno però compare anche nei forti russatori, in coloro che soffrono di apnee notturne, quando la secchezza delle fauci incoraggia una maggiore crescita dei microbi, ma spesso l' alitosi è indice di sinusiti, tonsilliti, reflusso gastrico-esofageo, patologie del fegato, dei bronchi, dei polmoni e dei reni, fino alle neoplasie che interessano l' apparato bronco respiratorio, quello digerente ed epatico.

FECI MALEODORANTI - Quando le feci perdono il loro odore caratteristico vuol dire che sono contaminate da gas maleodoranti, causati da intolleranze alimentari, la più comune delle quali è quella al lattosio, lo zucchero contenuto nel latte e latticini, dovuta a carenza dell' enzima lattasi nell' intestino tenue. Il lattosio non digerito infatti, anziché entrare in circolo attraverso il sangue, viene spedito nel colon, dove avviene la fermentazione che causa il cattivo odore. In questi casi è errato privarsi completamente di questo nutriente fondamentale, poiché è sufficiente ridurne la quantità, tranne naturalmente in caso di allergia conclamata.

Ma il cattivo odore delle feci può prodursi anche in caso di coliti, diverticoliti e neoplasie intestinali, ovvero in tutte quelle condizioni che accendono infiammazioni od infezioni importanti del tubo digerente. Inoltre, in caso di perdita di sangue a livello dello stomaco, questo viene digerito dai succhi gastrici, ed una volta arrivato nel colon determina di conseguenza l' odore nauseabondo delle feci, che assumono il caratteristico color nero-carbone.

Addirittura, in caso di ostruzione intestinale, ovvero quando esiste un blocco del transito fecale, anche la cute e l' alito del soggetto può emanare odore fecale.

SUDORE - È opinione comune che il sudore sia la causa principale del cattivo odore cutaneo, ma questo non è corretto, perché una traspirazione che "puzza" è dovuta alla rapida moltiplicazione di batteri in presenza di umidità, ed è la loro decomposizione in acidi quella che alla fine provoca il tipico odore acre e sgradevole.

Inoltre il corpo può emanare un odore "amaro", sempre indice di problemi al fegato, un odore di ammoniaca della pelle, che è un sintomo di insufficienza renale, oppure un afrore di uovo marcio, tipico nelle diete iperproteiche, poiché, in carenza degli altri nutrienti fondamentali, si instaura un disordine metabolico che produce sostanze volatili sulfuree dall'odore repellente. Quando si consuma molto alcol per esempio, il corpo lo riconosce come una tossina e cerca di scomporlo in acido acetico, eliminandolo attraverso la cute e le urine, emanando il caratteristico odore acetato, ma anche diverse malattie neurologiche, endocrine ed infettive hanno anch' esse il loro profumo immediatamente riconoscibile da un naso esperto.

Concludo sottolineando che il sudore sano è praticamente inodore, con un sapore specifico tendente al salato, e quando queste due componenti si alterano non è sempre una questione di igiene, perché una traspirazione forte, acre, pungente o maleodorante è quasi sempre espressione di un cambiamento metabolico, di un sintomo che viene trasformato in odore al contatto con l'aria al punto da contaminarla e di essere percepita da chi ci sta accanto. Gli odori anomali, insoliti o sgradevoli del nostro corpo sono quindi campanelli d' allarme che la natura ci mette sotto il naso per attenzionarci, e soprattutto per ricordarci che da che mondo è mondo, la salute profuma solo di freschezza.

di Melania Rizzoli

domenica 19 maggio 2019

I DIECI PUNTI Matteo Salvini in Duomo lancia la Carta dei diritti dei popoli europei. L'idea di Paolo Becchi su Libero

"La Carta dei diritti dei popoli europei sarà il primo documento che presenteremo al parlamento europeo", annuncia Matteo Salvini sul palco di Piazza Duomo a Milano. "Al posto del dio denaro, torniamo a parlare di Diritti, Futuro, Speranza". L'idea originaria della Carta dei diritti dei popoli europei era stata proposta da Paolo Becchi e pubblicata su Libero l'11 aprile scorso. 
Di seguito l'articolo uscito sul nostro quotidiano: 
Forti di queste premesse, e convinti della necessità di proclamare i diritti inalienabili e le libertà fondamentali di tutti i popoli europei, i sovranisti adottano la seguente dichiarazione dei diritti dei popoli europei:
ART. 1 - I popoli europei si riconoscono reciprocamente come liberi e uguali tra loro. I popoli europei sono titolari di diritti propri, e come tali autonomi e indipendenti rispetto a quelli già riconosciuti dal diritto internazionale agli Stati in cui essi vivono ed agli individui che li compongono.
Ciascuno di essi ha il diritto inalienabile a vivere secondo le proprie tradizioni e istituzioni, e a conservare la propria identità linguistica, etnica, culturale, religiosa e politica, nell’ambito dei valori comuni che riconoscono come costitutivi della loro appartenenza alla civiltà europea.
ART. 2 - I popoli europei hanno il diritto di autodeterminarsi, secondo il principio "stare con chi ci vuole e stare con
chi si vuole". Nel caso in cui popoli diversi decidano di convivere all’interno del medesimo Stato, quest’ultimo si impegna ad assicurare il rispetto e la tutela delle loro differenze e particolarità. I popoli europei hanno altresì il diritto di separarsi, con una decisione da adottarsi in piena autonomia e libertà, e con l'obbligo, da parte dello Stato rispetto cui intendono seccedere, di non ostacolare, direttamente o indirettamente, la realizzazione di tale decisione.
ART. 3 - Deve considerarsi contrario al diritto dei popoli qualunque atto che abbia lo scopo o l’effetto di privare i popoli europei della loro integrità come popoli distinti, nonché dei loro valori culturali e della loro identità linguistica. È vietato qualsiasi atto che abbia per effetto diretto o indiretto forme di assimilazione o integrazione forzata.
ART. 4 - I popoli d’Europa riconoscono la necessità di promuovere una Confederazione europea di Stati, anche limitando parzialmente, su base volontaria e a parità di condizioni, la sovranità di questi ultimi in relazione a compiti e obiettivi che essi
condivideranno e riterranno di dover perseguire nell’ambito di una politica comune.
ART. 5 - L’adozione e l’attuazione di misure legislative o amministrative, da parte dei governi nazionali, riguardanti limitazioni della sovranità degli Stati, non può avvenire se non previa consultazione referendaria e approvazione da parte dei popoli interessati.
ART. 6 - I popoli europei hanno il diritto di promuovere accordi e forme di cooperazione tra loro. In particolare, essi riconoscono la necessità di concordare politiche di sviluppo economico, di sicurezza, di tutela dei diritti e difesa comune.
ART. 7 - I popoli europei sono riconosciuti come gli esclusivi titolari del diritto di sovranità sulle proprie ricchezze e le proprie risorse naturali. I popoli europei hanno diritto di disporre liberamente di tali ricchezze e risorse, e di perseguire le politiche economiche necessarie ad assicurare il lavoro e il benessere dei propri membri.
ART. 8 - Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle proprie libertà fondamentali, ha diritto d’asilo nei paesi europei, in conformità alle leggi dei rispettivi Stati. I popoli europei hanno diritto di difendere i propri confini e di adottare sul proprio territorio tutte le misure ritenute necessarie ad assicurare la sicurezza nazionale.
ART. 9 - I popoli europei assicurano il rispetto delle religioni e tradizioni culturali diverse dalle proprie, purché il loro esercizio non sia in contrasto con le leggi del Paese di accoglienza.
ART. 10 - Gli Stati europei dovranno riconoscere gli articoli della presente dichiarazione, impegnandosi ad adottare tutte le misure necessarie per salvaguardare l’esercizio dei diritti ivi contenuti.
di Paolo Becchi

mercoledì 15 maggio 2019

Il tuo impegno per Nasrin Ciao Ennio,

Invia la tua dedica a Nasrin
Il tuo impegno per Nasrin
Ciao Ennio,
insieme a più di 150.000 persone hai chiesto l'annullamento della condanna atroce e ingiusta per Nasrin Sotoudeh, avvocata per i diritti umani in Iran.
Con questa email volevamo dirti che il tuo gesto è stato molto importante.
Raza che, con i suoi due figli (nella foto), aspetta con ansia il ritorno a casa della moglie ci ha mandato un messaggio che volevamo condividere con te perché esprime la forza del tuo gesto: "Grazie a voi Nasrin e la sua crudele condanna sono diventati oggetto di preoccupazione internazionale. Vi ringraziamo per tutti gli sforzi e i sacrifici che state facendo e ci congratuliamo con voi e con i difensori dei diritti umani di tutto il mondo per la solidarietà in favore delle vittime di violazioni".
Il nostro impegno per Nasrin continua.
In vista del 30 maggio, giorno del compleanno di Nasrin, stiamo raccogliendo i messaggi di solidarietà di chi, come te, ha preso a cuore l'ingiustizia subita da questa donna coraggiosa.
Per metà giugno, invece, stiamo organizzando la consegna mondiale delle firme raccolte.
Grazie a questa mobilitazione mondiale contiamo che l'Iran sentirà la tua e la nostra voce.
Aiutaci ancora
Il nostro lavoro per difendere i diritti umani continua
Barometro dell'odio
In occasione delle elezioni europee, stiamo monitorando i profili social deicandidati e le reazioni ai loro post e tweet. Solo nella prima settimana sono stati analizzati più di 17mila contenuti: “rom” il tema che (al 10 maggio) ha scatenato il maggior numero di polemiche, col 76% (oltre 3 su 4) di contenuti negativi.
Summer Lab
Mancano poche settimane all'inizio deiSummer Lab, i nostri campi diattivazione per i diritti umani.
Stiamo chiudendo i programmi formativi e la lista degli interventi.
I Summer Lab sono pensati per tutte le fasce d'età, scopri quello che fa al caso tuo e iscriviti. Parteciperai a un'esperienza che
ti cambia la vita.

martedì 14 maggio 2019

Allarme Censis: Italia stritolata dal dumping europeo

Focus per i 100 anni di Confcooperative, che punta il dito contro «aliquote da paradisi fiscali» e «salari da caporalato» e lancia un appello ai futuri europarlamentari: fermate questa giostra

ROMA
Stretta tra aliquote da paradisi fiscali (in Lussemburgo la pressione fiscale reale è addirittura negativa) e retribuzioni da caporalato (in Bulgaria il salario minimo orario non supera i 2 euro), il nostro Paese rischia di trasformarsi nella terra dei sogni traditi e delle opportunità mancate. L’Italia nei fatti è stritolata dal «dumping europeo» e quindi continua a perdere investimenti esteri e capitale umano. È quanto emerge dal Focus Censis-Confcooperative diffuso in occasione dell’assemblea celebrativa dei 100 anni dalla costituzione della principale associazione di rappresentanza del movimento cooperativo (che oggi conta 18.500 imprese associate (in particolare nei settori del food, del credito e del welfare) , 525.000 occupati, 3,2 milioni di soci e 66 miliardi di euro di fatturato), che per l’occasione lancia un appello ai prossimi europarlamentari contro questa «giostra del dumping».
Nella Ue a 28 il Belpaese – ricorda lo studio - è in coda alla classifica per capacità di attrarre investimenti esteri, peggio di noi fa solo la Grecia. Mentre svetta, occupando il terzo posto dietro solo a Romania e Polonia, nella graduatoria stilata contando chi lascia il paese di origine per cercare lavoro in un altro paese Ue28. «Questa situazione sta determinando una pressione al ribasso – sottolinea il presidente di Confcooperative, Maurizio Gardini – una condizione di sperequazione su cui si deve necessariamente intervenire, pena il rinvio sine die dell’Unione politica prima ancora che economica e fiscale. Non possiamo difenderci dalla concorrenza sleale dei paesi extra Ue, ma dobbiamo almeno regolare il cortile di casa nostra. La tolleranza fin qui ammessa, nei confronti di questo stato di cose, ha alimentato molti danni economici. Secondo il Parlamento europeo, nell’Unione a 28, si perdono ogni anno, circa 1.000 miliardi di euro, come mancato gettito a causa dell’evasione e dell’elusione fiscale».
La giungla del Fisco europeo 
Attualmente nell’Unione europea esistono, grazie anche all’obbligo dell’unanimità del voto, 28 sistemi fiscali.
 Secondo i dati della Commissione europea, quattro di questi si collocano sotto l’11% (Lussemburgo, Lituania, Irlanda, Romania), mentre altri cinque restano sotto il 15% (Polonia, Ungheria, Estonia, Lettonia e Bulgaria). Per Malta, invece, non sono disponibili i dati relativi al proprio sistema di imposizione, mentre per il Lussemburgo, il valore negativo dell’imposta si configura a tutti gli effetti come un incentivo anziché un prelievo. Un altro aspetto di indeterminatezza è dato dalla distanza fra le aliquote nominali e quelle effettive. In molti casi la distanza risulta molto ampia, pur partendo da una base tutt’altro che elevata, come mostrano i dati relativi alla Polonia, l’Ungheria, l’Estonia (intorno ai 9 punti percentuali).
L’approccio “aggressivo” di alcuni sistemi fiscali e la capacità di attrazione di attività economiche e di gettito fiscale ha chiaramente dei riflessi sugli investimenti esteri sul prodotto interno lordo. Per gli investimenti in entrata, l’ammontare in termini di consistenze risulta superiore al 100% del Pil in ben sette paesi, con quote nove volte maggiore a Cipro, quindici volte maggiore a Malta e ben sessanta volte nel Lussemburgo. Come base di confronto, possono essere presi paesi come la Germania, la Francia o l’Italia: nel primo caso la quota di investimenti in entrata sul Pil è del 24,2%, mentre per la Francia raggiunge il 31,8% e per l’Italia si ferma al 20,3%.
«Alla situazione di indeterminatezza, nei livelli istituzionali di diversi stati membri, che ha origine in comportamenti, sul piano fiscale, che la Commissione europea non ha esitato a definire “aggressivi” si aggiunge la percezione di insicurezza che crisi, salari fermi e fenomeni di delocalizzazione hanno generato negli ultimi anni in larghe fasce della popolazione e dell’occupazione», specifica il focus.
La fuga del capitale umano
Nel 2017 sono 17 milioni i cittadini dell’Unione europea che vivono in paesi diversi dalla propria origine.
 Fatto 100 il totale dei cittadini dell’Unione che lavorano o cercano lavoro in altri paesi comunitari, il 21% proviene dalla Romania e il 17% dalla Polonia. L’Italia occupa, in questa speciale classifica della mobilità, il terzo posto con una quota pari all’8%, seguita dal Portogallo (7%), dalla Bulgaria e dalla Germania (entrambe con il 5%), cui si aggiungono con il 4% la Francia e la Spagna. Queste «differenti modalità di attuare, nei confronti del lavoro, una eterogenea piattaforma di diritti e di prestazioni, in un contesto di scambi, di investimenti e, quindi, di concorrenza fra imprese – è scritto nel rapporto - porta necessariamente a una competizione sul costo del lavoro, producendo fenomeni di delocalizzazione che stressano gli equilibri occupazionali interni e producono reazioni che minano i processi di convergenza economica dell’Europa».
Le delocalizzazioni
Il fenomeno della delocalizzazione, visto nell’arco di tempo fra il 2003 e il 2016 nel settore manifatturiero, conferma infine la rilevanza della perdita di posti del lavoro nell’Europa a 15. Fatto 100 il totale dei posti di lavori perduti, l’83,9% è riconducibile all’area occidentale e il restante 16,1% all’area a 13 paesi. Negli ultimi anni (2015 e 2016), si è potuta osservare una leggera ricomposizione: la quota occidentale scende sotto l’80%, e ciò è dovuto agli effetti di reshoring, o di «rilocalizzazione» nelle aree di provenienza, che nello stesso tempo prodotto un ridimensionamento dell’occupazione nei paesi Ue 13.

domenica 12 maggio 2019

Rifiuti, superare gli inceneritori. Ecco il metodo per il riciclo totale





In un paese come l’Italia, povero di materie prime, lo sviluppo dell’economia circolare va declinato mettendo in atto soluzioni ed interventi che consentono di realizzare il pieno rispetto del principio gerarchico che regola la gestione dei rifiuti sia per ridurre il consumo di risorse che per salvare quel che rimane del nostro disastrato e bistrattato ambiente.

Chi propone ancora un “sistema integrato” per la gestione dei rifiuti con l’intento di validarlo all’interno di un modello di economia non più lineare bensì circolare, rivela di non avere colto la grande opportunità del cambio di paradigma offerto dal modello di economia circolare che deve necessariamente cominciare dalla progettazione dei beni immessi al consumo.

Nel recepimento della direttiva europea il legislatore dovrà pertanto adottare e sviluppare tutti gli strumenti economici necessari per la sua implementazione vincolando il produttore a criteri ben precisi riguardanti la riciclabilità dei prodotti immessi al consumo, considerando l’impatto generato sia nella produzione che durante tutto il ciclo di vita. Il principio della responsabilità estesa del produttore dovrà essere applicato anche a quei beni che oggi sono esclusi dalla distinzione tra imballaggi e non imballaggi in base alla quale opera Conai, distinzione frutto di una convenzione inadeguata per gestire la totalità delle merci. La conseguenza di ciò è che tanti materiali riciclabili finiscono bruciati negli inceneritori.

Il disaccoppiamento tra la crescita della produzione e la riduzione dei rifiuti non si realizzerà finché non ci doteremo di strumenti appropriati per governare il cambiamento e gli incentivi previsti non saranno spostati verso i livelli superiori della scala gerarchica sopprimendo le sovvenzioni in contrasto con la gerarchia dei rifiuti. Gli strumenti per chiudere il cerchio sono la tassazione delle discariche, dell’incenerimento e misure tecniche e fiscali finalizzate a sostenere lo sviluppo del mercato dei prodotti riciclati. Vogliamo cominciare ad applicare queste indicazioni?

Imitare i paesi Nord come la Germania può andare bene se li imitiamo innanzitutto nella costruzione di impianti di trattamento meccanico biologico (tmb) che da noi si limitano a praticare una selezione sommaria e grossolana funzionale all’incenerimento o alla discarica mentre da loro sono implementati per selezionare al massimo le componenti del rifiuto indifferenziato.

La soluzione dell’incenerimento proposta dalle multiutilities a chiusura del ciclo, trascura altre soluzioni più idonee al recupero di materia e più in linea con la Direttiva europea sull’economia circolare offerte proprio dai tanto bistrattati tmb.


Basterebbe aggiungere una macchina ai tradizionali impianti di trattamento meccanico biologico esistenti, che gli esperti vicini alle multiutilities hanno bollato come poco efficienti, per migliorare subito il rapporto tra l’energia consumata e la materia prodotta.

E’ sufficiente separare ulteriormente la frazione organica del sottovaglio dalla frazione secca per consentire il recupero di entrambe. L’organico è destinato alla digestione anaerobica e la frazione secca è recuperabile con le tecnologie che trattano le plastiche miste di scarto.

Perché, checché ne dicano i negazionisti sostenitori dell’incenerimento, le tecnologie per riciclare le plastiche miste di scarto ci sono ed hanno sviluppato conoscenze sufficienti per riciclare tutti i polimeri inclusi i poliaccoppiati mediante l’inserimento in specifici compound.

Va solo sviluppato il mercato. Per far decollare il settore creando un mercato diffuso gli operatori del settore esprimono le seguenti richieste: a) emanazione del Decreto attuativo sul credito di imposta del 36% per le aziende che acquistano imballaggi riciclati e riduzione dell’IVA dal 22% al 10%.

b) istituzione di un casellario delle aziende che producono manufatti in plastica riciclata al quale i comuni devono fare riferimento chiedendo i preventivi a tutte le aziende del settore. c) fare chiarezza sulla necessità o meno di imporre un ulteriore contributo sugli imballaggi riciclati immessi al consumo che in molti casi li rende meno competitivi. Il contributo Conai non dovrebbe essere una tassa finalizzata innanzitutto a responsabilizzare il produttore circa la riciclabilità a fine vita del prodotto immesso sul mercato?

Certamente la Germania va imitata quando sovvenziona il riciclo delle plastiche miste postconsumo ed una grande multinazionale di origine tedesca come la Hahn, dalla quale parecchie ditte italiane acquistano i materiali estrusi, ha potuto trarne beneficio imponendo i suoi prodotti anche da noi.

Chi evidenzia la necessità di dover gestire l’intero ciclo dei rifiuti che comprende non solo gli urbani e gli assimilati ma anche i rifiuti pericolosi non sa (o non vuol sapere?) che per trattare questa tipologia di rifiuti esistono tecnologie maggiormente efficienti che generano energia sotto forma di idrogeno ma senza produrre emissioni. “Ah, ma i termovalorizzatori non sono semplici inceneritori perché producono energia” si obietta, senza considerare che l’energia prodotta con l’incenerimento ha un costo equivalente all’energia necessaria per riprodurre con materie prime i materiali in plastica bruciati.

Inoltre le emissioni di CO2 prodotte dall’incenerimento sono superiori a quelle derivanti dal riciclo dei vari materiali. Per quanto riguarda la plastica, i processi di rigenerazione consentono un’immissione nell’ambiente di circa un decimo di CO2 rispetto ai processi complessivi di produzione dei polimeri vergini.

Concludendo: in una prospettiva di sviluppo di una economia circolare gli inceneritori con recupero energetico non costituiscono in nessun modo la chiusura del ciclo ma piuttosto l’interruzione della circolarità del processo di recupero di materia che dovrebbe imitare i processi di circolarità della natura sia attraverso il riciclo dei materiali ma anche attraverso la simbiosi industriale dove lo scarto diventa input per un nuovo processo produttivo.

Tra l’altro nel paese del sole la produzione di energia bruciando risorse non rinnovabili è una diseconomia evidente, dal momento che le tecnologie del solare offrono la possibilità di una produzione decentrata (e per di più democratica) dell’energia e risparmi evidenti per la nostra bilancia dei pagamenti. Le nuove tecnologie TMB esistenti oggi sul mercato sono in grado di gestire i rifiuti indifferenziati evitando l’incenerimento ed inviando in discarica circa il 10% degli scarti. Non sarebbe il caso di togliere gli incentivi a una tecnologia industriale ormai superata per lasciare spazio ad altre tecnologie maggiormente performanti sotto tutti i punti di vista?
*Autrice proposta gestione rifiuti
RICICLO TOTALE

venerdì 10 maggio 2019

Lettera a un terrapiattista (di L. Maiani)


Lettera a un terrapiattista (di L. Maiani)



TRIFONOV_EVGENIY VIA GETTY IMAGES

(A cura di Luciano Maiani, ex direttore del Cern a Ginevra e del Cnr a Roma, professore di Fisica Teorica alla Sapienza di Roma, socio linceo)

ho letto una sua recente intervista su HuffPost a proposito delle ragioni che la spingono a sostenere che la Terra è piatta, una teoria molto in voga nelle civiltà antiche. In particolare mi hanno colpito alcune affermazioni a favore del terrapiattismo. Cito le principali.
Sono salito fino a 400 m di altezza e l’orizzonte non è cambiato; il viaggio di Magellano non prova nulla; non ci sono prove che si possa trasvolare l’Antartide, come capita per l’Artide; per convincermi che è rotonda, Guidoni (l’astronauta) mi dovrebbe portare sulla piattaforma spaziale e farmi vedere la Terra da lì.
Se capisco bene, nella visione terrapiattista, la Terra sarebbe un disco piatto con l’Artide al centro e le terre emerse tutte intorno, fino ad arrivare alla periferia del disco su cui si troverebbe l’Antartide. In questa visione, Magellano si sarebbe limitato a percorrere un cerchio intorno al Polo, tornando al punto di partenza senza provare che la Terra sia tonda. Devo dire però che la richiesta di essere portato sulla piattaforma spaziale per credere alla rotondità del nostro pianeta mi sembra francamente eccessiva.

Le scrivo questa lettera per sostenere come ci siano, di fatto da più di duemila anni, indicazioni decisive che la Terra sia con buona approssimazione una sfera. Indicazioni che si possono ottenere oggi senza l’uso di strumenti sofisticati, cosa che, secondo alcuni, potrebbe addirittura farci sospettare degli inganni contro di noi (come ad esempio le foto della Nasa dalla piattaforma spaziale che troviamo in rete).

Una delle prove elementari che ci hanno insegnato a scuola è il fatto che guardando un veliero che si approssima alla riva, si vedano le velature prima del corpo della nave il quale, quando la nave è lontana, è nascosto dalla curvatura
terrestre. Le do ragione quando sostiene che questa sia una prova difficile da verificare ai giorni nostri. Chi si metterebbe mai in riva al mare ad aspettare un veliero abbastanza alto da produrre il fenomeno? Vorremmo delle prove che siano, nel mondo di oggi, a portata di mano anche di un bambino che va, diciamo, alle scuole medie.

Ma partiamo dall’inizio. Bisogna subito ammettere che ”nel piccolo”, se ci limitiamo a muoverci su piccole distanze o a salire dal livello del mare per piccole altezze, le differenze tra una terra piatta e una terra sferica sono impercettibili. Le carte stradali riportano, in scala, i punti della terra su un foglio piatto. Un teorema di matematica ci assicura che le differenze tra le distanze sulle carte e le distanze sul terreno sono piccolissime anche se consideriamo la carta autostradale tra Roma e Milano. Lo stesso vale se ci arrampichiamo, per dire, sui Colli Euganei, ovvero per 400 m. Per delle formiche che si muovono intorno al loro nido non c’è materia del contendere: terrapiattismo e terrarotondismo sono due ottime approssimazioni della realtà. Per capire la differenza dobbiamo muoverci su distanze maggiori, nella direzione sud. Per un’esperienza diretta,
basta prendere un jet e andare in Brasile, un bel risparmio rispetto a un’escursione sulla piattaforma spaziale. 
La chiave sta nel modo in cui i raggi del sole illuminano la Terra. In una stanza con le finestre chiuse su cui batte il sole, vediamo i raggi del sole filtrare nella stanza dalle piccole fenditure delle persiane. I raggi (resi evidenti dal pulviscolo da essi illuminato) formano linee tra loro parallele, a differenza di quanto capita se le finestre sono illuminate da una sorgente di luce vicina, ad esempio da un lampione della strada. Il motivo sta nel fatto che il Sole, la sorgente fisica della luce del giorno, è molto, molto lontano dalla Terra. Questo fa sì che i raggi solari che arrivano sulla Terra, che sarebbero divergenti tra loro nel caso di una sorgente vicina, siano tra loro paralleli. 


I raggi del Sole che passano attraverso i varchi nelle nubi formano dei fasci paralleli.

Per cominciare, mettiamoci a Roma, in un giorno di primavera, alle dodici del mattino, cioè a mezzogiorno. Basta una bussola (anche quella dello smartphone)  er mostrarci che il Sole risplende da sud. Adesso spostiamoci a San Paolo del Brasile (ci sono stato qualche giorno fa) e ripetiamo l’osservazione alla stessa ora. Vedremo che il Sole sta a nord! Le assicuro che fa un certo effetto. La prima volta che mi è capitato è stato sempre in Brasile, in auto lungo la costa viaggiando verso sud. Avevo a sinistra l’Oceano (quindi l’est) e mi fece molta impressione notare che il Sole era alle mie spalle (a nord), invece che davanti a me (a sud) come succede in Italia viaggiando verso sud sulla costa dell’Adriatico. Naturalmente, se la Terra fosse piatta, i raggi del Sole, in un dato giorno dell’anno, illuminerebbero i punti della Terra provenendo tutti dalla stessa direzione. In un certo senso, questa è la definizione stessa di un oggetto piatto: in tutti i suoi punti deve vedere un fascio di raggi paralleli provenire dallo stesso angolo.

Il primo a fare una considerazione di questo genere (senza andare in Brasile) è stato Eratostene, direttore della biblioteca di Alessandria d’Egitto intorno al 200 a.C.. A Eratostene era stato riferito che nella città di Siene (oggi Assuan) a sud di Alessandria di circa 800 km, a mezzogiorno del solstizio d’estate il Sole era esattamente allo zenit. Questo perché, in quel giorno, il Sole arrivava a illuminare l’acqua nel fondo di un pozzo. Eratostene misurò che, nello stesso giorno e alla stessa ora, il Sole si trovava a circa 7 gradi verso sud, rispetto allo zenit di Alessandria. Quindi, le verticali di Alessandria e di Siene hanno tra loro un angolo di 7 gradi. 


Il calcolo di Eratostene della circonferenza della Terra

Questa differenza è la prova inequivocabile che la Terra non è piatta. La scoperta di Eratostene, assumendo che la Terra sia sferica, ci permette di calcolarne la circonferenza massima. Se la Terra è una sfera e i raggi del Sole sono paralleli tra loro, questo angolo è uguale all’angolo che fanno le rette che passano per Alessandria e per Siene partendo dal centro della Terra e la distanza tra Alessandria a Siene è un arco di circa 7 gradi della circonferenza della Terra. Eratostene fece misurare con cura la distanza tra Alessandria e
Siene e calcolò la circonferenza della Terra moltiplicando questa distanza per 360/7, che è il rapporto tra l’angolo giro (angolo di 360 gradi) e l’angolo tra le verticali delle due città, trovando una circonferenza di circa 40,000 km, molto
prossima alla circonferenza che siamo in grado di misurare oggi, con strumenti ben più sofisticati.

Al tempo della Rivoluzione Francese, l’argomento di Eratostene è stato applicato all’arco che va da Dunkerque a Barcellona dai geografi Mèchain e Delambre. Da allora, definiamo il metro come 1/40,000,000 volte la circonferenza della Terra.

Per tornare ad Eratostene, se da Siene continuiamo verso sud, in direzione opposta ad Alessandria, la direzione da cui provengono i raggi del Sole si sposta verso nord. Arrivando alla latitudine di San Paolo, poco sopra il Tropico del
Capricorno, basta una bussola per osservare che il Sole ci illumina dal nord.
Muovendoci in direzione est-ovest, le diverse inclinazioni dei raggi solari rispetto alla verticale nei diversi punti della Terra danno luogo ai fusi orari. Qui, basta un colpo di telefono a un vostro corrispondente in Messico o in Cina per scoprire che le deviazioni dal mezzogiorno in quei luoghi rispetto al mezzogiorno di Roma sono eclatanti. Lo stesso fenomeno lo vediamo ogni fine d’anno, quando la TV ci mostra in diretta le immagini della mezzanotte a Sidney, mentre da noi siamo ancora in pieno 31 Dicembre. Un viaggio transatlantico in jet, ci dà una visione globale dei fusi orari. Gli schermi della TV di bordo mostrano la situazione di illuminazione dei punti del globo, riportati su un piano. Se la Terra fosse piatta, l’ora solare, collegata all’angolo che fa il Sole con la verticale in quel luogo e in quel momento, sarebbe la stessa in tutte le località. Al contrario, la zona notte è una macchia regolare, che sale e scende andando da est verso ovest, in corrispondenza ai punti in cui il Sole è nascosto dalla curvatura terrestre, proprio come voleva Eratostene.



Distribuzione delle ore alla posizione dell’aereo indicata sullo schermo, ore 23:45 del 5/04/2019.

Incidentalmente, quando da noi è estate, la macchia della notte copre le zone antartiche e lascia illuminate le zone artiche, mentre fa il contrario durante il nostro inverno (come riferiscono i ricercatori italiani che lavorano nelle due basi del Cnr alle Svalbard e in Antartide). C’è una perfetta simmetria tra Polo Nord e Polo Sud e non ci sono ostacoli a trasvolare l’Antartide, come assicurano ricercatori, anche italiani, che lavorano nella base scientifica piazzata proprio al Polo Sud, cui si arriva volando sia da Punta Arenas che dall’Australia.
Ma quanto sono paralleli i raggi del Sole che arrivano sulla Terra? La questione è stata considerata da un altro scienziato greco, Aristarco di Samo, nel terzo secolo a.C..



Nella quadratura tra Terra, Luna e Sole, misuriamo l’angolo tra le direzioni Terra-Luna e Terra-Sole (87 gradi nella figura) eotteniamo la divergenza angolare tra i raggi che arrivano alla Terra e alla Luna nonch´e il rapporto tra le distanze Terra-Sole e Terra-Luna.

Aristarco notò che, quando siamo nella fase di mezzaluna, la Luna è illuminata dal Sole esattamente a 90 gradi rispetto alla congiungente Terra-Luna. Terra-Luna-Sole sono, come si dice, in quadratura e formano i vertici di un triangolo rettangolo, con l’angolo retto sulla Luna. Alla quadratura, possiamo misurare l’angolo tra le direzioni Terra-Sole e Terra-Luna. La deviazione da 90 gradi ci dà due informazioni: l’angolo tra i raggi che vanno dal Sole alla Luna e dal Sole alla Terra e, con il teorema di Pitagora, il rapporto tra le distanze Terra-Sole e Terra-Luna. La misura è difficile perché i raggi che ci arrivano dal Sole sono un poco distorti dal passaggio nell’atmosfera. Aristarco trovò un valore tra 18 e 20 per il rapporto tra le distanze Terra-Sole e Terra-Luna, che suggerisce un sistema eliocentrico (1800 anni prima di Copernico). Le misure moderne danno un rapporto di circa 400 e una divergenza tra i raggi dal Sole alla Luna e alla Terra di circa 0.14 gradi. L’angolo tra i raggi che arrivano dal Sole in punti diversi della Terra si ottiene moltiplicando 0.14 gradi per il rapporto tra la distanza tra loro dei due punti, diciamo qualche migliaio di chilometri, e la distanza Terra-Luna, che è certamente molto più grande. Quindi, confermando quello che mostra la
Fig. 1, l’angolo tra i raggi del Sole sulla Terra è molto inferiore a 0.1 grado e non può spiegare in alcun modo l’effetto scoperto da Eratostene, che quindi deve provenire, come abbiamo detto, da una reale differenza tra le direzioni in cui
puntano le verticali di Alessandria e di Siene.
In conclusione, caro Terrapiattista,
sarei molto contento se le considerazioni che ho esposto le facessero cambiare
idea. Ma non me ne voglia se le dico che non ci conto troppo. Non c’è cosa più resistente dei pregiudizi, soprattutto quando sono basati sul nulla. Spero invece che queste considerazioni possano essere riprese da qualche maestro di scuola che insegni ai suoi allievi come pensare con la propria testa ma anche come far tesoro delle osservazioni che ci informano sul mondo esterno e come accostarsi criticamente alle notizie spesso contraddittorie che ci arrivano dalla rete, come la sua intervista. Se questo avverrà, il fatto che ci siano persone che guardano al mondo come se fossero delle formiche che non si sono mai allontanate dal loro nido non farà troppi danni.

Un’appendice: Tolomeo, Cristoforo Colombo e Amerigo Vespucci.
Da Eratostene in poi, l’idea che la Terra sia sferica non è stata più messa in discussione nel mondo occidentale, soprattutto nel mondo dei geografi e degli scienziati. Intorno al 150 d.C., Claudio Tolomeo, in Alessandria d’Egitto, scrive un  rattato sulla geografia del mondo abitato, che chiama Oekoumene, riportando le diverse località in una ”carta del mondo”.




Il libro e la carta, diffusi in Europa nel XV secolo, hanno avuto un’influenza cruciale sulle scoperte geografiche. La Figura non deve trarre in inganno. Tolomeo sapeva che la Terra è sferica, la carta è, grosso modo, la proiezione
del globo su una carta che si avvolge intorno all’equatore. Per individuare le posizioni dei punti sul globo, Tolomeo introduce la latitudine (distanza angolare a partire dall’equatore, come facciamo ancora oggi) e la longitudine (distanza angolare da un meridiano centrale che Tolomeo rappresenta con il segmento verticale al centro della figura). I meridiani sono rappresentati con archi di cerchio distanzianti di 5 gradi e l’Oekoumene si estende da ovest ad est per 180 gradi, da Ultima Thule nell’Atlantico, forse le isole Azzorre, alla Cina orientale.
A partire dalla lunghezza dell’arco di circonferenza, Tolomeo è in grado di calcolare di quanto si estende il parallelo che congiunge Ultima Thule con la Cina, passando per la parte del globo non rappresentata nella carta. Tuttavia,
Tolomeo non usa la determinazione di Eratostene, ma una stima più tardiva, dovuta a Marino di Tiro, che dà una circonferenza inferiore di circa il 30%. La distanza da percorrere nell’Atlantico per arrivare alle Indie o alla Cina
risulta considerevolmente abbreviata.
Cristoforo Colombo, nel suo progetto di raggiungere le Indie viaggiando verso ovest, ovvero di ”buscare il levante per il ponente”, utilizza la stima di Tolomeo ed inoltre, sulla base del libro di Marco Polo, estende considerevolmente la Cina verso oriente, ottenendo la distanza da percorrere per raggiungere le Indie con le sue caravelle. La commissione di saggi cui la regina Isabella sottopose il progetto per un giudizio, dette opinione negativa non perché ritenesse che la Terra fosse piatta, ma perché considerò, giustamente, che la stima di Colombo fosse sbagliata per difetto e il progetto destinato a sicuro fallimento per l’impossibilità di superare, senza scali intermedi, un tratto di oceano così lungo come si poteva prevedere dalla circonferenza di Eratostene (più lungo che Atlantico e Pacifico messi insieme). Sappiamo come andò a finire. Colombo convinse la Regina Isabella a concedergli comunque tre caravelle, e approdò
in effetti ad una nuova terra al di là dell’Atlantico. Non è chiaro quanto Colombo fosse convinto delle stime teoriche da lui presentate ai saggi, o se le avesse adattate per tener conto degli indizi raccolti nella sua lunga esperienza di
navigazione nell’oceano, indizi sufficienti a supporre l’esistenza di una nuova terra ad ovest, raggiungibile con i mezzi a sua disposizione. Sta di fatto che al termine della traversata dell’Atlantico, nel 1492, Colombo era davvero convinto di essere arrivato alle Indie e indicò i nativi col nome di ”indiani”, un nome esteso più tardi, nella letteratura popolare, ai nativi del continente americano vero e proprio. Nei viaggi successivi alla scoperta, Colombo cercò senza successo un passaggio che dalle isole lo portasse al continente indiano vero e proprio. Negli anni successivi, Amerigo Vespucci, navigatore e geografo fiorentino compì quattro viaggi a sud della zona esplorata da Colombo e si rese conto di essere sulle coste di un un vero e proprio continente, un Nuovo Mondo tutto esplorare.
Nel 1507, il geografo Martin Waldseemueller su incarico del Duca di Lorena produsse una carta geografica del Nuovo Mondo in cui compariva, per la prima volta, il nome America, dato al nuovo continente per ricordare le osservazioni di Amerigo Vespucci. La mappa originale di Waldseemueller, ritrovata nel 1901 in Germania e acquistata nel 2001 dal governo degli Stati Uniti, è custodita nella Biblioteca del Congresso a Washington DC. Nel 2005 è stata dichiarata Memoria del mondo dall’Unesco


La carta creata dal geografo Martin Waldseem¨uller nel 1507 in cui compare per la prima volta il nome America