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martedì 31 marzo 2020

Come funziona "il modello Calenda" per riaprire l'Italia (a tappe)

Un coordinamento con le amministrazioni locali e le opposizioni. Un cronoprogramma da sottoporre a test. L'ex ministro spiega al Foglio cosa bisognerebbe fare per uscire dall'emergenza. "Ma adesso sparare una data non ha alcun senso"
Riaprire il paese, a partire dalle fabbriche, già prima di Pasqua, per evitare che “i balconi si trasformino in forconi”. Era questa la richiesta che Matteo Renzi ha formulato un paio di giorni fa in un’intervista ad Avvenire. E che subito gli ha attirato gli strali di gran parte della comunità scientifica, a partire dal presidente del Consiglio superiore della Sanità, Franco Locatelli, secondo cui i dati del rallentamento del contagio dimostrano che “le misure di isolamento stanno funzionando” e per cui dovrebbe essere scontata la proroga per almeno altre due settimane. “Diciamo che quella sparata da Renzi è una data che non tiene conto di tutta una serie di cose che andrebbero fatte nel frattempo per garantire alle aziende di aprire in condizioni di sicurezza”, dice al Foglio Carlo Calenda, che nel pomeriggio di oggi ha proposto uno schema organizzativo che si occupi di studiare nel dettaglio un cronoprogramma di apertura a tappe del paese
 “Per prima cosa devi capire cosa ti serve per riaprire. Se fai una scelta selettiva, ad esempio favorendo il termine della quarantena per i più giovani, poi ti devi assicurare di avere un sistema che serva le persone anziane che rimangono a casa. Così come se vuoi far ripartire le fabbriche, devi avere il modo di rifornire le aziende di mascherine, di tamponi, e sapere come e quando processarli” dice Calenda. Il modello proposto dall’europarlamentare prevede l’istituzione di una cabina di regia di cui, oltre ai rappresentanti di regione e dei comuni, dovrebbero far parte anche le opposizioni, “altrimenti finirebbero per fare campagna elettorale per mesi”. Quest’organo verrebbe coinvolto in fase consultiva, il passaggio successivo sarebbe appannaggio di un coordinamento organizzativo “gestito da un manager, Giovanni Cagnoli di Bain & Company e Vittorio Colao andrebbero benissimo”, e di uno sanitario, per cui Calenda ha proposto Walter Ricciardi.

Il piano prevede che si lavori secondo scaglioni predeterminati. “Nei primi sette giorni dovrebbero essere stabiliti, tramite dei cantieri tematici, quali sono gli obiettivi per poter riaprire: costruire una filiera logistica che ti permetta di distribuire le mascherine, implementare una strategia di apertura selettiva sia territoriale che anagrafica”. A questo punto in 14 giorni la macchina dovrebbe essere in grado di allestirne le condizioni, al termine dei quali si potrebbe, dice Calenda, “partire con dei test. In questo modo avresti la possibilità, in caso di esiti positivi, di replicare il modello d’intervento su scala più ampia o in territori colpiti dal virus in modo speculare”. 
  
Secondo l’ex ministro dello Sviluppo economico così facendo la discussione diverrebbe maggiormente focalizzata su problemi che altrimenti corrono il rischio di rimanere troppo astratti. “La restrizione della privacy, l’utilizzo di applicazioni che ci permettano di tracciare i contatti delle persone, sono discorsi molto complessi. Se non li affronti da subito e non ti dai delle scadenze precise rischi che le settimane passino senza sapere come uscirne. Anche perché costringere la gente a restare a casa è facile: basta fare un decreto. E’ quando bisogna lavorare proattivamente che vengono fuori le lacune del sistema italiano: una mancanza totale di capacità gestionale”.

Lavorare per ritornare cautamente e con criterio a condizioni di semi-normalità, quindi, ma “senza imporre delle date che non hanno alcun senso. Quello che Renzi, ma anche altri, non hanno capito, è che il tempo di riapertura dipende da quello che fai. Anche perché se non sei stato in grado di rispettare gli obiettivi che ti sei dato per riaprire paese, rischi di doverlo richiudere dopo qualche settimana.


COVID-19

Riapertura: organizzazione e cantieri di lavoro


Presidente del

Consiglio













Riporta a








Ministero Interno, Salute, Economia, Infrastrutture e


























Trasporti, Sviluppo Economico














Steering
Segretari di partito (tutti)














Commissario straordinario














Committée
Protezione civile


























Sindacati e Associazioni di categoria e ABI
























Regioni e Anci




























































Team di coordinamento






























Al team di coordinamento




Project Management








Coordinamento Sanitario


































sarà garantito il supporto




G. Cagnoli












W. Ricciardi




del DAGL presso la PdC


















































































Cantieri di lavoro






























1• Potenziamento
2
Modalità di
3• Logistica


4
Riapertura


5• Modello
6• Tecnologia
sanitario


contenimento










- Produzione


previsionale


(respiratori, letti e


selettivo










- Terziario


contagio (tamponi,
materiale di


(territorio, età,










- Distribuzione
tracciamento e
protezione)


filiere, dati di










- Turismo


cura)






contagio)










(alberghi e


























ristoranti)


























- Movimento


























persone








Definizioni condizioni
Implementazione condizioni riapertura 15-
Test apertura
di apertura














30 gg












7 gg
7 gg




























































0
30 Marzo 2020 alle 21:29

Sfortuna, errori, frammentazione: Harvard boccia le misure italiane anti-coronavirus

L'Università americana ha pubblicato un'analisi delle misure di contrasto del coronavirus in Italia, spiegando cosa non ha funzionato

SOPA IMAGES VIA GETTY IMAGES
ROME, ITALY - 2020/03/05: Prime Minister Giuseppe Conte speaks during a press conference at Palazzo Chigi after the Council of Ministers meeting. (Photo by Cosimo Martemucci/SOPA Images/LightRocket via Getty Images)
Harvard Business Review, rivista della celebre università americana, ha pubblicato un’analisi su quello che si può imparare dagli errori nel contrasto al coronavirus in Italia. Secondo gli studiosi statunitensi, “alcuni aspetti della crisi - a partire dalla tempistica - possono essere indiscutibilmente attribuiti a pura e semplice sfortuna, e che non potevano essere sotto il pieno controllo dei legislatori”. In generale, “dobbiamo accettare che una comprensione inequivocabile di quali soluzioni funzioneranno probabilmente richiederà diversi mesi, se non anni”. 
Però, “altri aspetti sono emblematici dei profondi ostacoli che i leader in Italia hanno affrontato nel riconoscere l’entità della minaccia rappresentata da Covid-19, nell’organizzare una risposta sistematica ad essa e nell’apprendere dai primi successi nell’implementazione (ndr. nelle ex rosse zone) - e, soprattutto, dai fallimenti”
Ciò che è avvenuto in Italia, secondo lo studio, è “un fallimento sistematico nell’assorbire e agire rapidamente ed efficacemente in base alle informazioni esistenti, piuttosto che una completa mancanza di conoscenza di ciò che dovrebbe essere fatto”, anche perché c’era già stato l’esempio della Cina. 
Uno dei primi fattori ad aver condizionato le scelte sarebbe un meccanismo psicologico noto come pregiudizio di conferma (confirmation bias): è il processo mentale attraverso il quale ricerchiamo delle informazioni che confermino il nostro modo di vedere le cose, scartando quelle che sono in contrasto alla nostra visione. “Le minacce come le pandemie” - si legge nello studio - “che si evolvono in modo non lineare (per esempio, iniziano in piccolo ma si intensificano in modo esponenziale), sono particolarmente difficili da affrontare a causa delle difficoltà nell’interpretare in modo rapido ciò che sta accadendo in tempo reale”.
Il momento ideale per l’azione è all’inizio, “quando la minaccia sembra essere piccola” o inesistente. “Se l’intervento funziona davvero, sembrerà a posteriori come se le azioni forti fossero una reazione eccessiva. Questo è un gioco che molti politici non vogliono giocare”. 
Nei primi momenti, in Italia, c’è stata una fase nel quale la minaccia non è stata percepita come tale: “Alla fine di febbraio, alcuni importanti politici italiani si sono impegnati in strette di mano pubbliche a Milano per sottolineare che l’economia non dovrebbe andare nel panico e fermarsi a causa del coronavirus”. Lo studio fa riferimento soprattutto alla campagna #MilanoNonSiFerma e al caso di Nicola Zingaretti, che organizzò un aperitivo nel centro di Milano per poi risultare, una decina di giorni dopo, positivo al covid-19.“L’incapacità sistematica di ascoltare gli esperti evidenzia i problemi che i leader - e le persone in generale - hanno avuto nel capire come comportarsi in situazioni terribili e altamente complesse in cui non esiste una soluzione facile”
Quindi, una prima lezione è riconoscere i propri pregiudizi di conferma. Una seconda lezione è quella di evitare provvedimenti graduali. La scelta di adottare vari decreti che hanno intensificato la rigidità delle misure in modo progrssivo non è stata efficace per due motivi: “Innanzitutto, non era coerente con la rapida diffusione esponenziale del virus. I ‘fatti sul campo’ in qualsiasi momento non erano semplicemente predittivi di quale sarebbe stata la situazione pochi giorni dopo. Di conseguenza, l’Italia ha seguito la diffusione del virus piuttosto che prevenirlo. In secondo luogo, l’approccio selettivo potrebbe aver involontariamente facilitato la diffusione del virus”, scatenando, ad esempio, la reazione smodata delle persone, come nel caso degli esodi verso il Sud Italia. Un altro problema è quello di non aver avuto strumenti efficaci di contact-tracing. 
Secondo la rivista, anche la frammentazione del nostro sistema sanitario, gestito dalle Regioni in modo diverso, ha contributo ad aggravare la situazione. Emblematici sono gli approcci diversi portati avanti da Veneto e Lombardia: “Mentre la Lombardia e il Veneto hanno applicato approcci simili al distanziamento sociale e alle chiusure al dettaglio, il Veneto ha adottato un approccio molto più proattivo al contenimento del virus. La strategia veneta era articolata su più fronti”. La meticolosità del metodo veneto - dove sono stati fatti più test, il tracciamento dei contatti è stato più rapido e preciso, gli operatori sanitari sono stati riforniti presto delle protezioni necessarie - ha portato a più risultati della strategia della Regione governata da Fontana. 
Una nota particolarmente dolente riguarda la raccolta dati, di fondamentale importanza per capire la portata dei problemi e per scegliere le misure di contrasto. All’inizio, “Il problema era la scarsità di dati. Più specificamente, è stato suggerito che la diffusione diffusa e inosservata del virus nei primi mesi del 2020 potrebbe essere stata facilitata dalla mancanza di capacità epidemiologiche e dall’incapacità di registrare sistematicamente picchi di infezione anomala in alcuni ospedali. Più recentemente, il problema sembra essere di precisione dei dati”, come sottolineato in Italia anche da vari giornalisti ed esperti.
Lo studio si conclude con le due grandi lezioni che andrebbero apprese dal caso italiano: “Innanzitutto, non c’è tempo da perdere, vista la progressione esponenziale del virus”. Le misure vanno implementate il prima possibile, ed in modo organico, senza essere graduali. La seconda lezione è che “un approccio efficace nei confronti di Covid-19 richiederà una mobilitazione simile alla guerra - sia in termini di entità delle risorse umane ed economiche che dovranno essere impiegate, nonché l’estremo coordinamento che sarà richiesto in diverse parti” della sanità, sia pubblica che privata. 
Quindi, “se i politici vogliono vincere la guerra contro Covid-19, è essenziale adottarne uno che sia sistemico, dia la priorità all’apprendimento ed è in grado di ridimensionare rapidamente gli esperimenti di successo e identificare e chiudere quelli inefficaci”

sabato 28 marzo 2020

Coronavirus, gli otto punti della Fondazione Einaudi per ripartire dopo l’emergenza Redazione — 28 Marzo 2020

Il documento

Coronavirus, gli otto punti della Fondazione Einaudi per ripartire dopo l’emergenza

Si dovrà combattere anche il virus delle nazionalizzazioni, dopo quello del Covid-19, intraprendendo delle decisioni liberali e non ideologiche. È quello che recita il documento della Fondazione Einaudi che articola in otto punti una sua proposta per la ripartenza economica del Paese dopo l’emergenza coronavirus. Una ripartenza che offrirà possibilità, scrive la Fondazione, se si saprà oggi tutelare gli imprenditori e i lavoratori italiani.

“Molte attività produttive hanno già chiuso – si legge nella nota – si pensi alla filiera del turismo e della ristorazione, altre restano aperte riducendo drasticamente o azzerando il fatturato. Nel primo caso i costi fissi continuano a correre, nel secondo a quei costi si sommano anche quelli di gestione, ivi compreso il pagamento dei collaboratori. Senza un immediato intervento – continua il comunicato – tutte queste attività finiranno con il non riaprire o per chiudere. Ciò provocherà il non pagamento dei fornitori, avviando così una catena di fallimenti. Quando questa emergenza finirà, pertanto, non solo non è scontato che tutti riaprano, ma è sicuro che molti produttori si troveranno già fuori dal mercato”.

Quali sono questi rimedi, “possibili e convenienti” che propone la Fondazione? Il primo: “Prevedere un ben più ampio ed esteso rinvio dei pagamenti all’erario e alla previdenza .Valga per tutti, come per tutti valgono le restrizioni”. Un rinvio che non sarà una cancellazione, “mentre la pretesa a fronte di una impossibilità farebbe divenire inesigibili le somme, cancellandole”. Il terzo: “Occorre intercettare l’enorme liquidità creata dalle decisioni della Banca centrale europea (a parte gli 870 miliardi per acquisto titoli ve ne sono 3mila messi a disposizione delle banche, a tasso negativo)”.

“Il rischio – si legge ancora nel comunicato – è che quella liquidità scorra potente nei tubi, ma non siano in funzione i rubinetti per portarla ai soggetti produttivi. Il che indebolirebbe l’intero sistema Paese”. Il Paese dovrà offrire dunque direttamente garanzia per i prestiti bancari necessari a coprire i costi di gestione e le obbligazione verso i fornitori “così come esistenti già nei primi due mesi dell’anno, o maturati a fronte di contratti o costi successivi. Almeno fino a giugno. Meglio se per l’intero 2020”.

Le garanzie – e questo è il sesto punto – dovrebbero poi “consentire l’attivazione di finanziamenti a lunga scadenza. Toccherà a ciascun operatore economico onorare quei debiti. La garanzia non è un costo immediato e facilita l’apertura dei rubinetti. Anche per i casi che, nel tempo, evidenzieranno incapacità di onorare gli impegni presi il costo per la collettività sarebbe imparagonabilmente minore di quello che altrimenti nascerebbe dalle chiusure che certamente ci sarebbero, perché non solo farebbero venire meno la produzione di ricchezza, ma azzererebbero (non solo rinvierebbero) il gettito fiscale”.

L’approccio proposto dalla Fondazione è teso dunque a cancellare l’ipotesi delle nazionalizzazioni, “che oltre a lacerare l’intero tessuto connettivo della libera impresa porterebbe a sommare i costi di acquisizioni a quelli delle croniche perdite di gestione”. Come esempio negativo, in questo senso, il comunicato cita l’esempio di Alitalia.

L’ultimo punto ragiona sulla ripartenza e sulle sue opportunità: “Sarà una stagione di crescita, se si sarà capaci ora, subito, di non perdere il patrimonio di imprenditori e lavoratori, mai come oggi non solo sulla stessa barca, ma anche sulla sola che possa portare l’Italia a navigare con forza nel futuro”.


venerdì 27 marzo 2020

5 trucchi per le videochiamate con Skype

Con Skype è possibile fare videochiamate e videoconferenze di lavoro. Ecco alcuni trucchi e consigli per utilizzare al meglio la pittaforma


I programmi per le videoconferenze sono fondamentali quando si lavora a casa in modalità smart working. Tra i tanti servizi per fare le riunioni di lavoro da casa c’è Skype, programma che non ha bisogno di molte presentazioni. Uno dei primi a offrire un servizio di videochiamate, Skype è diventato con il tempo il principale tool per le videoconferenze di lavoro.
Oltre alle videochiamate, Skype consente di inviare allegati, chattare, effettuare telefonate verso numeri mobili e fissi e si trasforma anche in uno spazio di lavoro condiviso per i team aziendali. È una soluzione gratuita e molto facile da utilizzare, per tale motivo è diffuso sia all’interno delle aziende, sia tra utenti comuni. La maggior parte conosce e sfrutta solo le funzioni principali del programma, proprio come succede con altre soluzioni come Zoom, Telegram o WhatsApp. In realtà, Skype offre una marea di opzioni tutte da scoprire. Ecco quali sono quelle più utili da provare subito.

Come nascondere lo sfondo di Skype

Quante volte, prima di una videoconferenza via Skype, hai cercato l’angolo della casa più presentabile? Un muro bianco, una libreria, una tenda: hai girovagato per le stanze col portatile in mano alla ricerca del background perfetto. Probabilmente non conoscevi la funzione del software che ti permette di sfocare lo sfondo.
Vuoi attivarla? Prima della videochiamata, tocca l’icona della fotocamera che è presente nella parte inferiore dello schermo e clicca su “Esegui sfocatura dello sfondo”. Se vuoi avviarla durante una videochiamata, passa col mouse sul menu “Altro” (simbolo del tre puntini orizzontali) e anche questa volta seleziona la voce “Esegui sfocatura dello sfondo”.

Inviare un videomessaggio

Questa funzionalità è utile quando vorresti parlare con una persona in diretta via Skype ma i vostri orari non coincidono. Puoi comunque inviare un videomessaggio in modo che il destinatario lo guardi quando si connette.
Per farlo, accedi a Skype da desktop e clicca sul contatto a cui vuoi trasmettere il messaggio. All’interno della chat, accedi al menu e poi a “messaggio” (icona della fotocamera dentro la vignetta), registra il videomessaggio e poi premi invia. Accertati di avere la webcam attiva. È possibile inviare messaggi di tre minuti massimo.

Usare il traduttore di Skype

Vuoi dialogare con un collega o cliente straniero? Desideri presentare la tua dolce metà ai parenti che vivono all’estero? Skype ti permette di tradurre i messaggi in tempo reale per permettere al tuo interlocutore di comprendere ciò che dici. Il traduttore di testo è disponibile per oltre 60 lingue, quello vocale per 10 lingue, tra cui inglese, spagnolo, tedesco, francese, cinese mandarino, arabo, russo, portoghese e anche italiano. Per abilitare la funzione segui il percorso Strumenti > Opzioni > Generale > Traduttore Skype.

Emoticon nascoste

Le emoticon sono ormai entrate da tempo nei dialoghi di Skype: ci aiutano ad esprimere le emozioni e trasmettere concetti anche senza usare le parole. Insomma, sono le supplenti delle espressioni del nostro viso.
Probabilmente già le invii frequentemente su Skype, ma probabilmente non sai che esiste un’ampia quantità di emoticon nascoste. Per accedere a tutto l’elenco di emoticon puoi cliccare sullo smile presente nella finestra della chat o usando le scelte rapide della tastiera: un insieme di caratteri o parola specifica scritta tra parentesi quadre. Facendo scorrere il mouse su un emoticon presente nell’interfaccia, è possibile vedere la relativa combinazione di tasti.
Inoltre, le emoticon che presentano dei puntini grigi si possono personalizzare prima dell’invio. Su sito ufficiale è presente la lista completa degli shortcut per richiamare tutte le emoticon disponibili nel programma, anche quelle nascoste (vai alla voce “Hidden”).

Condividere lo schermo con Skype


Durante una videochiamata, una lezione online, un meeting da remoto col gruppo di lavoro è possibile che ti serva condividere lo schermoSkype dispone di questa funzione e attivarla è molto facile. Durante la chiamata, occorre cliccare sul simbolo del più (+) e poi su Condividi Schermo. Prima di attivarla, il programma mostra un’anteprima, per mostrarla ai contatti basterà cliccare su Inizia.

Coronavirus, gli aiuti da Cuba a Mosca. A cosa puntano gli «strani» amici che Roma elogia


Tensione sull’iter diplomatico per avviare le missioni. L’idea che le super potenze del blocco orientale stiano usando l’occasione per sminuire il ruolo Usa

Coronavirus, gli aiuti da Cuba a Mosca. A cosa puntano gli «strani» amici che Roma elogia
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I medici russi si sono sistemati a Bergamo. Medici militari con tanto di generale che comanda un presidio sanitario di più di cento persone. Altro personale e altro materiale sanitario arriverà da Mosca nei prossimi giorni. La stessa cosa vale per la Cina, che è già al terzo ponte aereo con l’Italia e altri ne farà, consegnando milioni di mascherine, esperti sanitari, altre centinaia di ventilatori. La chiamano «diplomazia delle mascherine». Josep Borrell, rappresentante per la politica estera della Ue, l’ha definita «diplomazia aggressiva della generosità». Fra Palazzo Chigi e la Farnesina, anche se nessuno lo confessa apertamente, la cosa ha alimentato squarci di incomprensione: Conte ha gestito la cosa direttamente con Putin, Luigi Di Maio con il suo omologo cinese, ma anche in questo caso non tutto è filato liscio. In entrambi i casi c’è stato un cortocircuito di informazioni, con strascico di accuse reciproche.
Collocazioni geopolitiche
Lo spazio lasciato incontrollato da Washington, occupato da Paesi bramosi di alimentare divisioni, di insinuarsi nella crisi delle relazioni transatlantiche, ha finito per provocare un caso silenzioso nella politica interna: abbiamo lasciato troppo spazio all’operazione di Putin, che l’ha definita «from Russia with love», facendo atterrare a Pratica di Mare decine di aerei cargo militari con più di cento medici militari e tonnellate di materiale sanitario, operazione da alimentare sui social russi per rimarcare l’assenza di aiuti americani al Vecchio Continente? E che dire della stessa operazione della croce rossa cinese, che non fa politica, ma che i due ministri degli Esteri dei rispettivi Paesi hanno rivendicato come massiccia operazione che rinsalda le relazioni fra i due Paesi, e che permette alla Cina prima di regalare, poi di ricominciare a vendere materiale sanitario essenziale per la sua economia ai Paesi in crisi da coronavirus della Ue? Conte dice che nulla metterà «in crisi la nostra collocazione geopolitica», che però appare già in crisi almeno verso Bruxelles, a giudicare dalle parole dello stesso premier: «Do dieci giorni alla Ue per reagire in modo coordinato, se no faremo da soli».
Massiccia azione diplomatica
Intanto da soli non stiamo facendo, dalla Toscana alla Lombardia centinaia di ventilatori e di medici di provenienza russa, cinese e cubana stanno già dando un aiuto non indifferente. Indubbiamente la Cina sta provando a far dimenticare il fatto di essere stato il Paese dove l’emergenza ha avuto origine. Una strategia di immagine ma soprattutto di affermazione di «soft power». «Cina ed in un modo minore la Russia, sono scese in campo per aiutare le nazioni colpite — scrive il Washington Post—. Un ruolo svolto dagli Usa sin dai tempi della Seconda guerra mondiale», cui ora la Casa Bianca ha abdicato. Il Post cita «gli aerei cinesi carichi di equipaggiamento medico che stanno atterrando in Spagna, Olanda, Polonia, Belgio». Insomma una massiccia azione diplomatica e sanitaria al contempo che ha spiazzato un po’ tutti, mentre un centinaio di medici militari russi vengono in queste ore impiegati negli ospedali di Bergamo e mentre migliaia di tute biologiche in Toscana e in Lombardia vengono distribuite su regalo made in China.