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venerdì 29 ottobre 2021

Conto corrente da chiudere in banca, quello che non sapevate: "Sanzione fino a 60mila euro"

29 ottobre 2021a a a Chiudere un conto corrente in banca a lungo è stato considerato un incubo. In realtà la pratica è facile e anche discretamente rapida, visto che in caso di lungaggini burocratica e lo stesso istituto di credito a rimetterci soldi. Per evitare brutte sorprese, basta avere qualche accortezza preliminare. Innanzitutto, c'è una differenza tra chiudere un conto corrente e dover invece trasferire i propri risparmi da una banca all'altra. In entrambi i casi, ovviamente, non c'è vincolo di durata e siete liberi di chiudere il vecchio conto in qualsiasi momento. Per una semplice chiusura sarà l'istituto stesso a prendere in carico le operazioni, una volta inoltrata la domanda. Se si tratta invece di una chiusura con passaggio di denaro a un nuovo conto, sarà la "nuova" banca a prendersi carico delle operazioni. Unica avvertenza: prima di chiudere il conto, dovete fare attenzione a non avere operazioni in sospeso, assegni non incassati, domiciliazioni di bollette non ancora addebitate, carte di spesa "agganciate" con addebito a fine mese. Una volta terminato il percorso di chiusura, dovrete riconsegnare fisicamente in banca libretto degli assegni, bancomat, carte di credito o ricaricabili. Sempre più clienti oggi si affidano a conti correnti online, senza filiali fisiche a cui appoggiarsi. Soluzione molto "smart" che paradossalmente, all'atto della chiusura, obbliga a un iter un po' più classico e laborioso: bisogna infatti inviare una raccomandata A/R contenente la richiesta di chiusura, il numero del conto da estinguere e, nel caso di passaggio a un'altra banca, il numero del nuovo conto. L'utente è in ogni caso decisamente garantito. L'operazione di chiusura è del tutto gratuita e senza commissioni (tutto frutto del decreto Bersani 223/2006 sulla libera concorrenza). Gli unici costi che vi potrebbero far "scalare" sono quelli per la gestione del deposito, ad esempio il canone mensile, l'imposta di bollo o eventuali interessi maturati. Anche sui tempi, niente da temere: la normativa europea sulla portabilità dei conti correnti del 2015 prevede la chiusura entro 12 giorni al massimo. In caso contrario gli istituti si ritroverebbero a dover pagare sanzioni che vanno dai 5.160 ai 64.555 euro.

Dieci consigli per lavorare in sicurezza da casa e in ufficio

Dieci consigli per lavorare in sicurezza da casa e in ufficio Proteggere la propria rete anche oltre la sede aziendale, diffidare dai messaggi sospetti, aggiornare sempre antivirus e sistemi operativi. Ecco come tutelarsi in tempi di smart working Il cybercrime è un po’ come il doping: cerca sempre nuove strade per frodare, costringendo istituzioni, imprese e utenti ad aggiornarsi. Proprio per questa continua rincorsa tra “guardie e ladri”, serve un approccio duplice: tecnologico e culturale. Due percorsi che si integrano, dal momento che a una risposta immediata e veloce di tipo tecnico si deve affiancare un’azione educativa, che aiuti a evitare errori tanto banali quanto pesanti per la sicurezza di utenti, dispositivi privati e aziende. I consigli per gli utenti La sfida contro i cyber-rischi è complessa, ma – per cominciare – bastano alcuni semplici consigli. 1. NON FIDARSI È MEGLIO Il vecchio adagio vale anche in un contesto iper-tecnologico come quello informatico: è necessaria grande cautela perché i cyber criminali puntano proprio su contenuti personali per l’utente (come piattaforme di e-commerce, banche, indirizzi dei colleghi). Meglio non fidarsi di e-mail e link sospetti, con testi in un italiano scorretto o con offerte “imperdibili”. Attenzione, soprattutto, a diffondere con leggerezza informazioni aziendali e personali. A una risposta immediata e veloce di tipo tecnico si deve affiancare un’azione educativa 2. BANDO ALLE PASSWORD PIGRE Consiglio semplice ma mai abbastanza seguito: utilizzate sempre password complesse, cambiatele spesso e non ripetetele su siti e servizi diversi. Evitate di usare nomi, cognomi, indirizzi di residenza, sequenze di caratteri deducibili dalla tastiera (come “qwerty” o “zaq12wsx”). Includete invece lettere maiuscole e minuscole, numeri e caratteri speciali. Anche la combinazione più sicura va poi usata in modo appropriato. Un esempio tipico, specie negli uffici, è quello di password e username appuntati in un documento sul desktop o attaccati al computer con un post-it. In questo modo si espongono (letteralmente) informazioni chiave. 3. PROTEGGETE RETI E DISPOSITIVI Oggi più che mai, con lo smart working sempre più diffuso e i dispositivi privati usati anche per lavoro, è fondamentale accedere ai sistemi aziendali solo con pc e stampanti protetti. Cambiate la password di base del wi-fi. Custodite computer e telefoni, bloccateli quando non sono in uso. Fate lo stesso con alcuni file sensibili: in questo modo sarà più difficile violarli in caso di smarrimento o furto dei device. Attenzione anche agli accessori: un virus può annidarsi in una semplice Usb senza autorizzazione aziendale, anche se appena acquistata. Le applicazioni malevole si spacciano spesso per programmi legittimi, come giochi, strumenti di lavoro e persino software antivirus 4. INSTALLATE SOLO SOFTWARE AUTORIZZATI Le applicazioni malevole si spacciano spesso per programmi legittimi, come giochi, strumenti di lavoro e persino software antivirus. La tattica è proprio questa: sfruttare la presunta utilità per far abbassare la guarda degli utenti. Per questo motivo è bene evitare di installare programmi non autorizzati o provenienti da fonti non verificate. Si tratta di una condotta raccomandabile sempre, ancora di più quando il dispositivo in questione viene utilizzato per lavoro. 5. AGGIORNARSI PER PROTEGGERSI Aggiornare costantemente i sistemi operativi e gli antivirus permette di tenere il passo degli hacker, sempre alla ricerca di nuove minacce da attuare. Soluzioni evolute come HP Wolf Security permettono di difendere gli endpoint personali, come pc e stampanti, fornendo applicazioni pronte all’uso in un ambiente di lavoro ibrido, tra casa e ufficio. I consigli per le imprese Adoversi muovere in uno scenario nuovo non sono solo gli utenti ma anche le imprese. Alcune azioni sono immediate, altre richiedono più tempo. Tutte sono fondamentali. 1. ANALIZZARE RISCHI E VULNERABILITÀ 
 Come prima cosa è fondamentale svolgere un’accurata analisi dei rischi e delle vulnerabilità in termini di asset, architettura IT e logica di business. Senza un quadro chiaro, non è possibile sapere cosa proteggere e come farlo. Un’analisi corretta è anche la base per adattarsi in modo rapido alle future minacce. In altre parole: non possono esserci prevenzione e cura senza diagnosi. 2. AVERE UNA STRATEGIA Nessuno può ignorare i cyber-rischi o provare a evitarli in modo artigianale. È necessario proteggere le reti da accessi non autorizzati attraverso strumenti specifici (come i firewall o altri sistemi anti-intrusione), assicurarsi che i servizi web (social network, cloud, posta elettronica) non compromettano il sistema e adottare soluzioni per la protezione dei singoli dispositivi, come Wolf di HP. Ogni connessione alla rete e ogni strumento che utilizziamo (anche se periferico o in apparenza marginale come una stampante) sono viatico di un potenziale attacco. Ogni impresa ha caratteristiche diverse. E la protezione deve calzare come un abito sartoriale 3. MIGLIORARE SULLA CULTURA AZIENDALE L’aspetto tecnologico è intrecciato con quello culturale. Le imprese devono quindi formare il personale in modo adeguato, stilando vademecum a cui tutti, in ufficio e in smart working, devono attenersi. È altrettanto prezioso creare e aggiornare di continuo l’inventario di sistemi, dispositivi, software, servizi e applicazioni informatiche adottate, sia in presenza che da remoto. 4. DARE UNA GERARCHIA Una strategia anti-attacco deve evolversi nel tempo ed essere reattiva. Diventa importante, quindi, nominare un referente responsabile per l’attività di gestione e protezione dei sistemi informatici. Per quanto riguarda dipendenti e collaboratori, è necessario assicurarsi che ogni utente possa accedere solo alle informazioni e ai sistemi di cui necessita. Quando non più utilizzati (ad esempio se un dipendente cambia lavoro) verificare che gli account siano disattivati: i cosiddetti “utenti zombie” sono, infatti, tra gli obiettivi più utilizzati dai cybercriminali. 5. CREARE UNA PROTEZIONE SU MISURA Ogni impresa ha caratteristiche diverse. E la protezione deve calzare come un abito sartoriale. In Italia, per esempio, che è il secondo Paese manifatturiero in Europa e il settimo al mondo, è particolarmente sentito il tema delle macchine industriali “cyber safe”, cioè dotate di tecnologie di monitoraggio che impediscano la trasmissione di malware. È solo un esempio che fa ben capire quanto le soluzioni debbano essere flessibi

Dalla nascita alle nozze, 14 certificati diventano digitali.

Colao: «Dalla nascita alle nozze, 14 certificati diventano digitali. Per la Fibra ottica pronti 4 miliardi» di Daniele Manca29 ott 2021 Colao: «Dalla nascita alle nozze, 14 certificati diventano digitali. Per la Fibra ottica pronti 4 miliardi» «Le cose stanno accadendo». Sono le parole a cui Vittorio Colao tiene di più in queste settimane. E non solo perché si è appena concluso il Consiglio dei ministri sulla manovra che, tra le altre iniziative, stanzia 250 milioni di euro per le competenze digitali degli italiani. Ma per il metodo «Palazzo Chigi», forse a lui per nulla estraneo da manager e consigliere di grandi multinazionali, che prevede di decidere gli obiettivi ma anche di seguirne passo dietro passo, settimana dietro settimana, l’attuazione. Traspare da parte del ministro, da persona che ha vissuto molto all’estero, la volontà di far capire soprattutto agli italiani che il nostro Paese può avere l’ambizione di essere in Europa «se non il migliore, tra i migliori tecnologicamente». Sa, gli italiani si convincono facilmente. Basta che vedano fatti concreti. «Uno lo vedranno in questi giorni. Dal 15 novembre per avere un certificato anagrafico non servirà più andare allo sportello: basterà sedersi al computer e scaricarlo. Senza nemmeno pagare il bollo, che in qualche caso arriva fino a 16 euro». Ma in tutta Italia da Milano a Palermo? «In tutta Italia e per 14 tipi di certificato, dallo stato civile alla nascita, al matrimonio, ecc. Liberiamo il tempo delle persone e di chi lavora. Con la ministra dell’Interno Lamorgese diamo un segnale al Paese che non è più tempo di scetticismi, le cose si possono e si debbono fare». Roba da Mago Zurlì. Un colpo di bacchetta magica e avete messo d’accordo gli 8 mila comuni con lo Stato? «Molto più semplicemente applichiamo un metodo di lavoro congiunto, che significa mettersi attorno a un tavolo, connettere iniziative tra loro, decidere le regole e stabilire chi fa cosa, coordinando tutto grazie alla tecnologia. Abbiamo coperto il 98% dei cittadini e i pochi piccoli Comuni che mancano li stiamo aiutando a salire a bordo». Se fosse così semplice… «Certo si deve avere lo scopo condiviso di fare accadere le cose appunto. Di collaborare ognuno per la propria parte. Con la ministra Lamorgese abbiamo lavorato insieme. Ma se avessimo preteso di imporre al ministero dell’Economia di togliere i bolli dai certificati avremmo oltrepassato i nostri confini di competenza. Assieme si è deciso invece che l’idea aveva senso, e il ministero dell’Economia ha visto la perdita di gettito seppur minima come un investimento per liberare anche risorse umane per i comuni. Con il ministero dell’Interno stiamo preparando novità anche per la carta d’identità digitale». Non è che ce ne siano molte in giro di carte d’identità digitale a proposito di modernizzazione… «Al contrario, abbiamo già 24 milioni di carte d’identità elettroniche. Non le sfuggirà che ci sono anche 25 milioni di italiani che usano lo Spid, l’identità digitale. E questo grazie anche a tutti i partner». Sulla Sanità digitale però siamo ancora fermi. «Vorrei dirle che non è così. Primo perché abbiamo una situazione disomogenea: una parte del Paese è più avanti persino rispetto ad alcune nazioni europee, un’altra arranca. E il tema è fare in modo che le regioni più lente accelerino per raggiungere quelle più avanti. Per questo insieme al ministro della Salute Speranza e alle Regioni abbiamo avviato due iniziative importantissime: l’architettura per i dati sanitari digitali e le piattaforme di telemedicina. E vogliamo che tutte le Regioni ne beneficino in 2-3 anni». Sempre che la rete tenga. Stiamo parlando di futuro? «No, perché a gennaio partiranno le gare per collegare 6,2 milioni di case con la fibra. E qualche settimana dopo le gare per sostenere e accelerare il 5G. Si potrà lavorare in videoconferenza da zone remote, con il 5G dai treni ma anche digitalizzare l’agricoltura o piccoli stabilimenti e laboratori». Ma tutto questo chi lo farà? «Anche qui, pubblico e privato lavorando insieme. Una volta stabilite le regole e il metodo tutto è più semplice. Certo solo per la fibra ottica, sul quale lo Stato ha pronti 4 miliardi da investire, significherà creare 10-15 mila posti di lavoro che dovranno concretamente posare e giuntare i cavi. Si tratterà di avere personale preparato. E nei bandi vorremmo privilegiare gli operatori che si saranno portati avanti in termini di formazione». Ma ogni Regione ha le sue agenzie per l’impiego e vuole avere una sua politica del lavoro… «Ancora una volta: l’autonomia è giusta e funzionale nell’ambito di un quadro di regole. Al proposito stiamo lavorando con la sottosegretaria del Mise Ascani proprio su questo, per non trovarci impreparati all’inizio dei lavori». Ma il rischio è come al solito che il Sud resti indietro. «Il governo nel suo insieme, e le ministre competenti in particolare, hanno ben presente che il Meridione deve cogliere quest’occasione di sviluppo. Delle 6,2 milioni di case, la metà sono al Sud. E anche le gare per il 5G potranno prevedere un’attenzione verso i treni, la mobilità, le zone scarsamente popolate. Nei prossimi mesi si inizierà a vedere quello che potrà essere il volto nuovo del Paese». E con un nuovo presidente della Repubblica? «Mi sembra irrispettoso parlarne, come ha ripetuto spesso il nostro presidente del Consiglio». La cosa però influirà. «Guardi, il governo oggi si preoccupa di fare in modo che le cose accadano come le dicevo. Questo è il nostro compito. Nell’incontro che ho avuto con la Vicepresidente Vestager l’Europa ci ha detto chiaramente che i tempi del Pnrr andranno rispettati assolutamente e senza proroghe». Perché vede un rischio ritardi? «No, io ogni lunedì chiedo a tutto il mio staff un rapporto sullo stato del rispetto delle scadenze che ci siamo dati. Immagino che anche i miei colleghi facciano lo stesso. Palazzo Chigi e il suo staff chiede e incalza ognuno di noi affinché il programma sia rispettato. Ripeto: il metodo sul Pnrr è essenziale». Ho capito ma l’Europa non ha mostrato molta flessibilità. «Vedere la Ue come matrigna o come bancomat è sbagliato. Semplicemente l’Europa ci impone un metodo. Nessuno si è chiesto da dove arriva il sistema che verifica quotidianamente i milioni di green pass? È grazie allo stimolo europeo se siamo stati al passo con gli altri Paesi su quel fronte. Da quanti anni ci veniva chiesto di avere una Agenzia per la Cybersecurity? Cinque anni? Ebbene in sei mesi il governo l’ha varata. Anche sul Cloud si sono superati gli scetticismi di chi pensava che non potessimo avere uno». Ma ancora non c’è infatti. «Abbiamo già approvato l’architettura delle regole con l’Agenzia, con livelli diversi di sicurezza. Abbiamo ricevuto proposte di partenariato. Si tratta solo di effettuare le valutazioni e con la gara si partirà a inizio 2022». Si parte verso? «Verso un Paese più innovativo, non solo più moderno. Verso la possibilità di imparare, lavorare e vivere meglio, con più opportunità per tutti ovunque in Italia». VITTORIO COLAO

giovedì 28 ottobre 2021

Vaccini Lombardia, terza dose: la regola dei 180 giorni e le prenotazioni anticipate, tutte le risposte ai dubbi

LA LOTTA AL COVID Vaccini Lombardia, terza dose: la regola dei 180 giorni e le prenotazioni anticipate, tutte le risposte ai dubbi Vaccini Covid, partite le prenotazioni per over 60 e pazienti fragili: 27 mila adesioni nel giorno di debutto. Profilassi antinfluenzale, il calendario delle registrazioni e un portale internet dedicato a partire dal 28 ottobre di Sara Bettoni Vaccini Lombardia, terza dose: la regola dei 180 giorni e le prenotazioni anticipate, tutte le risposte ai dubbishadow Partenza senza strappi per le prenotazioni delle terze dosi anti-Covid riservate gli over 60 e ai pazienti con elevata fragilità. Nella giornata di debutto, mercoledì 27 ottobre, 24.085 cittadini con più di 60 anni si sono registrati sul sito dedicato. A questi si aggiungono i clic di altri 3.483 lombardi fragili o anziani over 80, per cui le prenotazioni sono state già aperte nelle scorse settimane. In totale dall’inizio della terza fase a oggi circa 225 mila persone hanno richiesto tramite il sito l’iniezione «booster», che serve a rafforzare la risposta del sistema immunitario contro il virus. Non rientra in questi numeri la maggior parte delle somministrazioni sugli operatori sanitari e sui pazienti con basse difese immunitarie, che possono ricevere la puntura direttamente in ospedale senza registrazione. Escluse anche quelle agli ospiti in Rsa, fatte in struttura. A differenza della prima fase della campagna, ora le richieste viaggiano a un ritmo più contenuto, anche per il vincolo dell’intervallo di tempo. Medici, infermieri, fragili e over 60 devono attendere almeno 180 giorni dall’ultima somministrazione per ricevere la terza dose, mentre gli immunodepressi possono richiedere l’iniezione «addizionale», a completamento del ciclo vaccinale, già dopo 28 giorni dalla seconda puntura. Tenendo conto di questi paletti, la platea che può accedere alla terza dose al momento conta 545 mila persone over 60, che diventeranno un milione e mezzo il 30 novembre. Tra i cittadini c’è anche chi è frenato da alcuni dubbi. Ecco alcune risposte ai quesiti più diffusi. Quale vaccino anti-Covid si usa per la terza dose? Indipendentemente dal vaccino utilizzato per il primo ciclo vaccinale (Astrazeneca, Moderna, Pfizer, Janssen) si utilizza come dose «booster» esclusivamente vaccino a m-Rna. Al momento l’unico autorizzato è Pfizer. Il vaccino Moderna come dose «booster» è in via di approvazione. Quando va fatta la terza dose? A parte la terza dose «addizionale» per gli immunocompromessi, per tutte le altre categorie vige il periodo di 180 giorni dal completamento del primo ciclo vaccinale. Quindi non ci si può vaccinare prima che siano passati 180 giorni. Ci si può prenotare anche se non sono passati i 180 giorni? Sì, ma con questa avvertenza: il sistema accetta le prenotazioni solo di chi ha completato il ciclo vaccinale entro il 31 maggio. Le agende dei centri vaccinali sono infatti state aperte fino alla fine di novembre. Sono un over 60 che ha completato il ciclo vaccinale il 10 giugno, mi posso prenotare? Non ancora. Sono un over 60 che ha completato il ciclo vaccinale il 12 maggio, mi posso prenotare? Sì, ma il sistema mi offrirà una data successiva all’8 novembre (12 maggio più 180 giorni). La vaccinazione antinfluenzale Parallelamente alla campagna anti-Covid è già cominciata anche la profilassi antinfluenzale. Alcune categorie di cittadini hanno diritto all’iniezione antinfluenzale gratuita (over 65, fragili, donne incinte, bambini dai 6 mesi ai 6 anni). Se sono già coinvolti nella fase 3 della campagna anti-Covid, possono ricevere contemporaneamente entrambe le punture negli hub. Si può richiedere la profilassi di stagione anche al proprio medico di famiglia, se aderisce alla campagna. Già dal 15 ottobre i dottori hanno cominciato le somministrazioni, seppur continuino ad avere problemi con il portale gestionale. Come ulteriore possibilità dal 28 ottobre a mezzogiorno sarà possibile fissare un appuntamento solo per l’antinfluenzale tramite il sito dedicato (www.vaccinazioneantinfluenzale.regione.lombardia.it ). Non tutte le categorie a cui è garantita la puntura gratuita si potranno registrare subito. Ecco il calendario: - 28 ottobre cittadini a partire dai 65 anni di età -4 novembre soggetti ad alto rischio per patologia di tutte le età e donne in stato di gravidanza -9 novembre bambini dai 6 mesi ai 6 anni -15 novembre altre categorie previste dalla circolare ministeriale Gli altri cittadini potranno acquistare la dose in farmacia o richiederla in via privata. Se vuoi restare aggiornato sulle notizie di Milano e della Lombardia iscriviti gratis alla newsletter di Corriere Milano. Arriva ogni sabato nella tua casella di posta alle 7 del mattino. Basta cliccare qui.

domenica 24 ottobre 2021

Il governo (difficile) delle città

Ernesto Galli della Loggia Il potere effettivo di incidere che ha chi viene eletto per amministrare una città è sempre minore e chi vuol fare qualcosa si trova davanti un muro. Così i cittadini cominciano ad accorgersi che il loro voto è inutile Non è solo dei partiti la colpa della massiccia astensione registrata alle elezioni amministrative di qualche giorno fa. In misura maggiore la colpa va attribuita, a mio avviso, al perverso combinato disposto giuridico-burocratico italiano che domina ogni attività di governo. Che condiziona e immobilizza in una rete paralizzante qualunque potere nato dalle urne, a cominciare da quello degli amministratori locali. Condannando quindi tale potere a essere poco o nulla incisivo. Sicché le città che per antica tradizione godono di un buon governo continuano a farlo, le altre continuano con i loro problemi di sempre quasi sempre aggravati, e chi sia a governarle non fa all’incirca alcuna differenza. Certo, la crisi dei partiti esiste. Esiste la crisi della partecipazione che essi riescono (o meglio non riescono) a promuovere. Così com’è dei partiti la responsabilità per la scelta dei candidati. È evidente, ad esempio, che a Milano o a Roma non potevano essere certo in molti a sentirsi spinti ad andare alle urne per sostenere dei perfetti sconosciuti come i due aspiranti sindaci per il centrodestra, Luca Bernardo ed Enrico Michetti, che già dalla loro prima apparizione si portavano cucito addosso il triste abito dei perdenti. Sull’altro versante, quello dell’elettorato di sinistra, perché mai questo avrebbe dovuto accorrere in massa a sostenere il candidato della propria parte, vincitore arcisicuro contro le nullità di cui sopra? Giorgia Meloni e Matteo Salvini, non hanno perciò alcuna ragione di deprecare oggi la scarsa affluenza alle urne. Come si può pretendere, infatti, che i cittadini accorrano a partecipare con il voto a una gara nella quale manca qualunque competizione? Questa però è solo una parte della verità. La parte minore. Quella maggiore, come dicevo all’inizio, sta nel sempre minore potere effettivo di incidere che ha chi viene eletto per governare una città. Sta nella possibilità sempre minore di imprimere una svolta, di cambiare le cose che contano. C’è qualcuno davvero convinto, ad esempio, che il neo sindaco di Roma Roberto Gualtieri possa far funzionare la raccolta dei rifiuti della capitale, risolvere il problema drammatico del trasporto urbano e quindi del traffico, risanare le condizioni precarie di tanti edifici scolastici, dare un volto umano alle periferie abbandonate, preda del degrado e dello spaccio, far ripulire strade e tombini, liberare la città dagli stormi di gabbiani che se ne sono impadroniti, restaurare i parchi della città ridotti da anni ad una giungla? Sarebbe bello crederlo. Ma per farlo bisognerebbe prima rispondere a una domanda: tutti quelli appena elencati sono problemi che si trascinano da decenni; come mai ciò nonostante non solo non sono mai stati risolti, ma anzi sono andati sempre aggravandosi, nonostante che al Campidoglio si siano succeduti sindaci dal colore politico più diverso, da Rutelli ad Alemanno, da Veltroni a Virginia Raggi? Tutti incapaci? Tutti inadatti, tutti senza idee e voglia di fare? No di certo. Piuttosto, essendo tutti nell’impossibilità pratica di cambiare davvero (la costruzione di un auditorium è stato il massimo obiettivo raggiunto), quelli più scaltri hanno capito che allora conveniva dedicarsi solo ad operazione di pura facciata ma di immagine (tipo l’«estate romana»), mentre gli altri non hanno fatto neppure questo sprofondando sempre di più nelle sabbie mobili dell’impotenza e del discredito. D’altra parte, che gli stessi candidati sappiano benissimo, o intuiscano che una volta eletto nessuno di loro sarebbe in grado neppure lontanamente di guarire qualcuno degli storici mali della città, è testimoniato dal fatto che a proposito di tali mali nessuno di loro si sia azzardato a fare la minima proposta concreta. La loro campagna elettorale si è risolta in un mare di genericità, inevitabilmente anche abbastanza simili, in un elenco di problemi privi di qualunque indicazione precisa circa i modi e i mezzi per risolverli. In quante altre città d’Italia, mi chiedo, accade da molti anni la stessa cosa? Del resto la campagna elettorale prefigura la realtà. Nella realtà, infatti, il sindaco di una città come Roma (così come di tantissime altre) se vuol fare qualcosa si trova davanti un muro. Egli non ha la possibilità di tassare incisivamente niente e nessuno, non può licenziare nessuno degli addetti a macchine municipali che spesso sono rifugio di una miriade di mangiapane a tradimento, non può assumere al suo servizio nessuna competenza significativa e metterla in condizioni di operare; qualunque cosa si metta in testa di fare è ingabbiato in una selva di leggi e disposizioni di ogni genere che allungano a dismisura tutti i tempi di decisione e di esecuzione; quasi sempre non dispone neppure di servizi tecnici adeguati, e per finire deve convivere con una miriade di sigle sindacali quasi tutte fasulle (vedi a Roma la situazione dell’azienda per la raccolta dei rifiuti) che però gli rompono quotidianamente le scatole. Come ci si può scandalizzare, allora, se nella campagna elettorale i candidati si guardano bene dall’affrontare la complessità dei problemi, dal parlare di cose precise, e invece s’impegnano all’incirca tutti per gli stessi vaghissimi (e perlopiù improbabilissimi) traguardi? Ma precisamente questa è una delle malattie mortali della democrazia. Che insorge quando i cittadini cominciano ad accorgersi che il loro voto è inutile perché per mille motivi coloro che essi eleggono in realtà non riescono né a cambiare né a far nascere nulla; quando si accorgono che in realtà l’unico strumento di cui essi dispongono per migliorare la propria vita, e cioè la politica, non serve a questo ma solo ad assicurare il potere di chi la esercita. Forse l’antipolitica è quasi sempre solo la richiesta, in forme sbagliate, di una politica diversa. CORRIERE DELLA SERA TI PROPONE

sabato 23 ottobre 2021

ADDIO ALLO SPORTELLO - IL COLOSSO BANCARIO SPAGNOLO BBVA ARRIVA IN ITALIA MA SOLO IN VERSIONE DIGITALE: PROPORRÀ CONTI CORRENTI, CARTE E FINANZIAMENTI ONLINE, MA NIENTE FILIALI FISICHE

https://www.dagospia.com/rubrica-4/business/addio-sportello-colosso-bancario-spagnolo-bbva-arriva-italia-ma-287077.htm 22 OTT 2021 17:13 ADDIO ALLO SPORTELLO - IL COLOSSO BANCARIO SPAGNOLO BBVA ARRIVA IN ITALIA MA SOLO IN VERSIONE DIGITALE: PROPORRÀ CONTI CORRENTI, CARTE E FINANZIAMENTI ONLINE, MA NIENTE FILIALI FISICHE - SOLO IL 39% DEGLI ITALIANI USA INTERNET PER I SERVIZI BANCARI. C’È UN MERCATO ENORME DA RIEMPIRE O SIAMO RESTII A CAMBIARE LE NOSTRE ABITUDINI “ANALOGICHE”? - Carlotta Scozzari per “La Stampa” Filiali fisiche e sportelli bancari? «No, grazie» risponde il colosso spagnolo Bbva. Che, con una mossa che segna una distanza siderale dal Risiko bancario degli anni 2005-2006, sbarca in Italia proponendo servizi di conto corrente, carte e finanziamenti completamente digitali per i privati. «Possiamo offrire un'interfaccia con le persone 24 ore al giorno e sette giorni su sette, non serve una presenza fisica» ha spiegato Onur Genç, presidente e ad di Bbva, motivando così la scelta del nostro Paese: «L'Italia è un grande mercato, nel pieno di una profonda trasformazione digitale. L'ecommerce, il mobile banking e i pagamenti con carta hanno avuto tassi di crescita a doppia cifra negli ultimi anni, offrendo grandi prospettive di sviluppo per il futuro». A giudicare dai numeri, gli spazi per gli operatori digitali non sembrano mancare: secondo Eurostat, nel 2020, appena il 39% degli italiani ha utilizzato internet per servizi bancari, rispetto al 65% della Germania e al 62% della Spagna. «Il contesto bancario italiano - osserva Manuel Pincetti, senior partner Monitor Deloitte - ha da sempre evidenziato un ritardo rispetto agli altri Paesi europei nei comportamenti digitali. La pandemia ha accelerato il ricorso a canali online anche per soddisfare i bisogni bancari, spingendo la crescita di operatori puramente digitali. Il nostro osservatorio stima che a oggi in Italia ci siano 6,5 milioni di clienti di banche digitali, di cui circa un milione riconducibili a player internazionali "challenger" (che sfidano i grandi gruppi, ndr) recentemente entrati nel mercato». In effetti, sono numerosi gli operatori digitali italiani ed esteri, spesso definiti "fintech", che, grazie a strutture snelle con meno dipendenti e immobili di proprietà o in affitto rispetto alle banche tradizionali, si sono affacciati sul nostro mercato. Tra i principali c'è Hype, che rappresenta un mix tra un'app, un conto e uno strumento di pagamento, e che, forte di 1,5 milioni di clienti tutti in Italia, punta a raggiungere un valore delle transazioni di 5 miliardi di euro a fine anno. Poco più di un anno fa, Hype è diventata una joint venture tra Fabrick, piattaforma di "open banking" (basata cioè sulla condivisione di dati tra i vari attori del sistema bancario) del Gruppo Sella, e Illimity. E quest' ultima è la banca «ad alto tasso tecnologico», come si definisce, fondata dall'ex ad di Intesa nonché ex ministro dello Sviluppo Corrado Passera, che non soltanto commercia crediti deteriorati ma propone altresì finanziamenti e servizi di conto corrente e carte. Anche l'ex manager di Unicredit, Roberto Nicastro, ha di recente cofondato una fintech: Aidexa, che offre credito istantaneo e conti correnti alle piccole imprese, oltre che depositi a pmi e privati. Mentre, tra le grandi banche digitali estere attive da noi con servizi di conto e carte, ci sono la tedesca N26 e la britannica Revolut. In questo contesto, poi, molto gruppi tradizionali stanno "spingendo" sulla parte online, anche con marchi separati, come nel caso di Mps e Widiba. Insomma, un quadro in evoluzione che lascia pensare che, dopo Bbva, nuovi soggetti possano movimentare il panorama bancario digitale italiano. Nel frattempo, gli spagnoli escludono qualsiasi mossa sullo scacchiere delle fusioni e acquisizioni nostrane: sono lontani anni luce i tempi in cui si contendevano le filiali della Bnl con Unipol, per poi lasciare il campo libero a Bnp Paribas

venerdì 22 ottobre 2021

L’immunologo Signorelli: «Tornare a stringerci la mano? Troppo presto, cautela nei saluti»

L’immunologo Signorelli: «Tornare a stringerci la mano? Troppo presto, cautela nei saluti» di Margherita De Bac L’immunologo di Milano: «Serve prudenza, con baci e abbracci il virus contagia più facilmente». Immunità di gregge? «Siamo molto lontani» Troppo presto per ripristinare i saluti dei tempi normali? «Sì, non è ancora arrivato il momento, dobbiamo continuare a fare così». Carlo Signorelli, ordinario di igiene all’università Vita e Salute-San Raffaele, mostra i due gesti che ormai sono entrati nel nostro repertorio: il pugno chiuso con le nocche rivolte verso l’esterno, pronte a dare un lieve tocco. Il gomito alzato per sfiorare quello dell’altro. È d’accordo col presidente dell’Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro: non dimenticare il codice di comportamento stile pandemia? «Non si può fare altrimenti. In Italia la curva è in declino ma in Gran Bretagna, paese col quale abbiamo scambi intensi di persone, il numero dei contagi è preoccupante, circa 50 mila al giorno. In Russia la situazione è ancora peggiore, oltre 1000 morti in 24 ore, ma ne abbiamo poche notizie. In Belgio il ministro della sanità ha annunciato il pericolo della quarta ondata. Israele teme la quinta». Perché nel Regno Unito sta accadendo questo? «Gli inglesi sono stati i primi a vaccinarsi in Europa, prevalentemente nelle fasi iniziali col vaccino di AstraZeneca che ha una copertura inferiore a quella dei vaccini a mRNA, Pfizer e Moderna. Inoltre le misure di contenimento sono state revocate dalla scorsa estate». Noi invece possiamo evitare un nuovo rialzo di contagi in autunno-inverno, le stagioni dove si passa molto tempo al chiuso? «Certamente, abbiamo imboccato la strada giusta. Ora bisogna continuare a proteggere gli anziani, coinvolgendo quei pochi che non hanno ricevuto le due dosi e offrendo la terza dose a quanti fra hanno completato il primo ciclo e sono state indicate come categorie prioritarie per il rafforzo. Ma fondamentali restano i comportamenti individuali. Rispettarli non costa nulla e non compromette la normalità della vita sociale». Non cedere alla tentazione di stringere la mano? «Di per se il contatto tra le mani non è veicolo di trasmissione del virus. Il problema è che durante la giornata ci portiamo più volte le dita sul viso, negli occhi o vicino alla bocca. Se il virus ci fosse stato passato attraverso la stretta, potremmo contagiarci per via indiretta. Il rischio teorico c’é. Dopo ogni stretta di mano bisogna igienizzarle ambedue o lavarle con acqua e sapone per evitare sorprese». Baci sulla guancia e abbracci da rimandare? «Il rischio è maggiore rispetto a quello della stretta di mano in quanto in questo caso può avvenire un contagio diretto favorito dal passaggio di goccioline del respiro. Può esserci una trasmissione diretta». Baciarsi e abbracciarsi mantenendo la mascherina indossata? «No, è ugualmente lo stesso. La tendenza nella pratica è di togliersi la mascherina». Però una volta rientrati a casa le barriere cadono. «Ci sono ancora molti focolai domestici, contagi tra persone che abitano nella stessa casa. Dispiace dirlo ma dovremmo prestare attenzione anche in famiglia. Non l’abbiamo ancora scampata. Ci vuole cautela. Il virus circola e la quota dei non vaccinati lo portano in giro». Che cos’è l’immunità di gregge? «La definizione scientifica classica è la seguente: immunizzando una certa percentuale di popolazione, variabile da malattia a malattia, la circolazione del microrganismo viene annullata e quindi proteggiamo i non vaccinati». E la definizione applicata al Covid? «Nel Covid l’immunità oggi non si riesce a raggiungere per due motivi. Il primo: oggi non ci sono vaccini pediatrici autorizzati per under 12, quindi c’è una quota di popolazione che resta fuori. Secondo: i vaccini proteggono al 90% quindi anche tra gli immunizzati c’è chi prende l’infezione. I due elementi rendono immunità di gregge molto lontana ed è stato coniato il termine non scientifico di immunità di comunità: quando una larga fascia di popolazione è protetta, la ridotta circolazione virale evita le forme gravi a chi si ammala». CORRIERE DELLA SERA

domenica 17 ottobre 2021

La rivoluzione parte dalla blockchain. Ecco cos'è e come funziona

Dalle criptovalute al fantacalcio: una tecnologia che verrà sempre più usata e diventerà presto pop By Daniele Marazzina Blockchain Related Doodle Illustration. Modern Design Vector Illustration for Web Banner, Website Header CNYTHZL VIA GETTY IMAGES Blockchain Related Doodle Illustration. Modern Design Vector Illustration for Web Banner, Website Header etc. Il termine blockchain sta diventando sempre più popolare, sia per il suo accostamento al bitcoin, sia per l’impiego di questa tecnologia in campi sempre diversi, dalla tracciabilità della filiera alimentare ai giochi, come il fantacalcio. È notizia recente che la Bundesliga ha firmato un contratto per portare il suo fantacalcio su blockchain. In un fantacalcio digitale ogni utente può formare una propria squadra di giocatori, registrandoli su blockchain, e schierare la propria formazione, ottenendo punteggi basati sul rendimento reale degli atleti. Grazie alla blockchain, uno stesso giocatore non può essere usato da più di un utente, e questo porta ad un vero e proprio calciomercato digitale fra utenti: basti pensare che il “cartellino digitale” di Cristiano Ronaldo ha raggiunto la cifra di oltre 200 mila euro, cifra (reale) spesa da un utente per schierare il giocatore nella sua squadra (virtuale). Ma cos’è la blockchain? Iniziamo col dire che è un registro di operazioni finanziarie (in particolare di criptovalute), che presenta caratteristiche peculiari. Nel mondo odierno, come posso provare di aver inviato 100 euro ad un’altra persona attraverso, ad esempio, bonifico bancario? La risposta è semplice: con il numero identificativo del bonifico rilasciato dalla mia banca. Allo stesso modo, come posso essere sicuro di aver ricevuto 100 euro? Semplicemente vedendoli contabilizzati sul mio conto corrente. Fidandomi quindi di quanto riportato dalla mia banca. Il sistema bancario è un sistema centralizzato (le informazioni sono in possesso alla mia banca), basato sulla fiducia da parte dei cittadini nei confronti delle banche, con eventuali dispute risolte da terze parti (come i tribunali). È anche un sistema dove le informazioni sono “private”: le informazioni del mio conto corrente sono solo a disposizione mia e della banca. La blockchain è un registro di transazioni rivoluzionario: è un sistema decentralizzato, cioè non esiste una singola entità che possiede l’informazione delle transazioni, ma tale informazione è pubblica ed è posseduta da tutti; è un sistema che non richiede la presenza di una terza parte per risolvere eventuali dispute, dato che la blockchain è un software che contiene al suo interno un algoritmo che preserva le informazioni del registro – si parla di immutabilità della blockchain - e regola eventuali “dispute”, ovvero transazioni errate o tentativi di modificare vecchie operazioni vengono automaticamente bloccati; è un sistema dove l’informazione è pubblica, ma protetta da crittografia, tramite la quale io posso provare di essere l’autore o il destinatario di una transazione, ma nessuno può risalire alla mia reale identità. Ogni utilizzatore è infatti noto pubblicamente tramite uno o più pseudonimi, ed è impossibile risalirne alla reale identità. Questo preserva la privacy degli utilizzatori ma è anche il motivo per cui le criptovalute su blockchain sono usate anche per operazioni illegali, quali la richiesta di riscatti in seguito a furti o criptazione di dati. La prima blockchain è stata ideata e poi implementata da Satoshi Nakamoto (uno pseudonimo) nel 2009. Si tratta della blockchain del bitcoin, la più famosa criptovaluta, ma anche la prima criptovaluta basata sulla tecnologia blockchain. Ma cos’è il bitcoin? È una “moneta” digitale, la cui esistenza è legata all’affidabilità della tecnologia sottostante, che è appunto la blockchain. Infatti, il bitcoin (o meglio il satoshi, in quanto ogni bitcoin è suddiviso in 100 000 000 satoshi), in quanto digitale, non è altro che una sequenza di bit, un pezzo di codice, che non avrebbe alcun valore se non fosse possibile identificarne il possessore, o se fosse “semplice” per un hacker rubarne il possesso. Qui entra in gioco la blockchain: il possessore di un satoshi è l’utente il cui pseudonimo compare come destinatario nell’ultima transazione in cui quel satoshi ha cambiato proprietario. A questo punto, apparirà chiaro che la sicurezza del registro delle transazioni, che altro non è che la blockchain, è il punto chiave. E qui entra in gioco l’idea di Satoshi Nakamoto. Per prima cosa la blockchain è un software: chiunque può scaricarlo dalla rete ed installarlo sul proprio pc, diventando un nodo della blockchain (l’unico avvertimento è che al momento servono più di 300GB di spazio disponibile). Le informazioni sulle transazioni sono registrate in alcuni blocchi della blockchain (oltre 700 000), ordinati in maniera cronologica, e non è possibile “staccarli” o cambiarne l’ordine. Ecco il perché del nome blockchain, ovvero catena di blocchi, e perché si parla di immutabilità della blockchain. Ogni nodo della blockchain memorizza tutti i blocchi: ad oggi si stima che siano almeno 10 000 i pc che hanno in memoria la blockchain di bitcoin, tenendola aggiornata, cioè memorizzando continuamente i blocchi contenenti le nuove transazioni, che si legano ai precedenti. Per queste ragioni si parla di database distribuito. Senza entrare nei dettagli, Satoshi Nakamoto ha ideato la costruzione di un database distribuito tale che: la costruzione dei nuovi blocchi viene fatta dai “miner”, i minatori che costruiscono i blocchi collezionando le nuove transazioni. Lo fanno risolvendo un problema computazionalmente complesso (proof of work), spendendo risorse in hardware ed energia, ma ricevendo in cambio una ricompensa in bitcoin; una volta che un blocco viene creato, viene inviato a tutti i nodi della blockchain. Può succedere che due miner creino blocchi nuovi contemporaneamente. Questo produce una “fork” (biforcazione) della catena di blocchi, in quanto alcuni nodi ricevono il blocco del primo miner prima di quello del secondo, altri invece il viceversa. Siccome la blockchain deve essere unica, il software gestisce automaticamente queste situazioni, considerando solo la versione della blockchain memorizzata nel 50% più uno dei nodi o quella più lunga, cioè con più blocchi, e quindi eliminando automaticamente la vecchia. E la remunerazione viene data solo al miner che ha creato il blocco mantenuto. La remunerazione dei minatori è il motivo principale per cui la blockchain di bitcoin è considerata immutabile, e quindi sicura: il minatore che crea un blocco oggi ottiene oltre 6 bitcoin, oggi pari a 250 000 dollari. Potete immaginare quanto questa remunerazione produca una “gara” fra i minatori nel riuscire a creare un blocco valido, e propagarlo all’intera rete prima di tutti gli altri competitor. Se un miner malevolo volesse, ad esempio, cancellare una vecchia transazione, contenuta in un vecchio blocco, dovrebbe “convincere” almeno il 50% più uno dei nodi che la sua versione della blockchain è quella giusta, scontrandosi con quella su cui molti miner stanno lavorando per aggiungervi nuovi blocchi… cosa possibile solo se costui è in possesso di una capacità hardware notevolmente superiore ai miner competitor. L’elevata remunerazione assicura quindi che ci sia un numero elevato di miner interessati a competere per creare un blocco, scoraggiandone altri ad agire disonestamente: se infatti un miner malevolo fosse in grado di “battere” gli altri miner, invece di cercare di corrompere la blockchain, potrebbe usare la sua tecnologia per creare blocchi validi, guadagnando, in modo onesto, l’elevata remunerazione. Ma per quali applicazioni si può usare la blockchain al di fuori del “semplice” registro di transazioni? Un primo esempio è quello della “notarizzazione”. Ipotizziamo di voler prevedere il risultato di una partita di calcio, e di voler provare a chiunque che la previsione è stata fatta prima della partita: potrei scrivere sulla blockchain una transazione da me a me, anche di 0 bitcoin, scrivendo in un campo di testo libero (come se fosse lo spazio della causale di un bonifico) il risultato della partita. A questo punto posso provare i) di aver scritto la transazione – tramite prova crittografica, ii) che è stata scritta prima della partita, in quanto le transazioni sono tutte accompagnate da un timestamp, cioè da informazioni sull’esatto momento in cui la transazione viene effettuata. E l’immutabilità della blockchain garantisce la correttezza dell’informazione. Come il bitcoin non è l’unica “moneta” digitale, così la sua blockchain non è l’unico tipo di blockchain: ne esistono molte altre, alcune simili a quella di bitcoin, altre con importanti differenze. Esempi sono ethereum e algorand, blockchain che permettono “smart contract”, cioè contratti intelligenti che permettono scambi di criptovalute in maniera automatica. Pensiamo ad uno smart contract di tipo assicurativo, ad esempio sui ritardi degli aerei, in grado di inviare il pagamento automaticamente nel caso in cui il nostro volo sia in ritardo: nessun reclamo da fare, nessun assicuratore da contattare, tutto fatto da un codice “smart”. La blockchain non ha ancora mostrato tutte le sue potenzialità, ha ancora molte sfide da affrontare (sostenibilità, interoperabilità con altri sistemi, scalabilità a molte operazioni) per dimostrare di essere quella tecnologia “disruptive” in cui molto credono. VISITA IL SITO DEL QFINLAB