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martedì 27 aprile 2021

“Csm organo fallito, giustizia da rifondare”, intervista a Sabino Cassese

La giustizia da rifondare Aldo Torchiaro — 27 Aprile 2021 Giustizia da riformare, necessità di rivedere il Csm, gli interventi sulla giustizia del Pnrr. Ne parliamo con Sabino Cassese, giudice emerito della Corte Costituzionale, che troviamo alle prese con le bozze di Intellettuali, un lavoro sul ruolo degli intellettuali nella società moderna che uscirà a settembre con Il Mulino, mentre è in libreria il suo Una volta il futuro era migliore, edito da Solferino. Da dove partirebbe per analizzare la crisi della giurisdizione? Dalla crescente domanda di giustizia. L’Italia repubblicana si è andata evolvendo secondo il modello statunitense, piuttosto che quello giapponese. Quali sono le differenze? Per i sociologi, questi rappresentano due tipi di sviluppo della giustizia. Quello statunitense è un modello che adotta la tecnica «third party dispute resolution». Quello giapponese è un modulo di risoluzione dei conflitti all’interno delle famiglie, delle aziende, dei gruppi, consensuale o compromissorio. Già nella grande ricerca comparata sui modelli di giustizia svolta dall’università di Stanford, nota con la sigla Slade, “Stanford law and development studies”, diretta da John Merryman e da Lawrence Friedman, alla quale partecipammo, cinquant’anni fa, per l’Italia, io e Stefano Rodotà, si evidenziava un fenomeno di crescenti richieste ai giudici da parte della società. Oggi si può dire che non c’è fenomeno sociale o politico che non finisca in una decisione giudiziale. Ma, se questa domanda non viene soddisfatta, cresce anche la critica ai giudici e c’è l’altro pericolo che l’eccesso di domanda di giustizia faccia affogare la giustizia. E i giudici riescono a tener dietro a questa crescente domanda? I tempi della giustizia dimostrano che il nostro sistema giudiziario non riesce a dare una giustizia tempestiva. La qualità della giustizia resa è buona e spesso persino ottima, ma diventa pessima a causa dei tempi dei giudizi, sopra i 7 anni per completare i tre gradi nel settore civile e sopra i 3 anni per completare i tre gradi nel settore penale. Di qui il primo paradosso: c’è una crescente domanda di giustizia, ma anche una fuga dalla giustizia. Giustamente il Piano di ripresa e resilienza appena approvato dal Governo ha messo al centro degli interventi sulla giustizia il fattore tempo. Perché il sistema giudiziario non riesce a tener dietro a questa crescente domanda di giustizia? Il corpo dei magistrati è troppo limitato. Ha fatto una politica malthusiana. Basta vedere lo sviluppo della popolazione italiana e, in rapporto ad esso, la crescita dei dipendenti pubblici degli altri settori e compararlo con la crescita del numero dei magistrati. Il numero dei magistrati italiani di oggi è di poco superiore al numero dei magistrati dell’Italia di 70 anni fa, quando l’Italia aveva circa 10 milioni di abitanti di meno e una domanda di giustizia molto inferiore. A questo si aggiunge l’organizzazione rudimentale degli organi giudicanti, l’assenza di strutture di servizio, il fatto che i giudici nella maggior parte dei casi non hanno neppure un ufficio e quindi lavorano a casa, nonché il dolce far poco. Lei ha però detto che apprezza la qualità della giustizia. Nel corpo giudiziario italiano ci sono alcuni dei migliori giuristi italiani. La qualità delle sentenze è mediamente buona o ottima. I giovani migliori sono attirati dalla funzione giudiziaria per diversi motivi: retribuzioni più alte del restante pubblico impiego, una progressione economica che in altri settori non si ottiene, un lavoro svolto in maniera molto indipendente, non dover rispondere a un capoufficio, poter lavorare a casa; ma sono attirati anche da aspetti negativi come quello di non dover rispondere per la quantità e qualità del lavoro che si fa. Nel criticare la giustizia in Italia si fa spesso di tutta l’erba un fascio, sbagliando. Posso testimoniare, avendo insegnato per molti decenni diritto, che alcuni tra i migliori miei studenti sono diventati magistrati e lì stanno facendo molto bene. Aggiungo un altro aspetto positivo: l’alto tasso di femminilizzazione; più del 53% dei magistrati italiani è composto da donne e, se si vedono i risultati degli ultimi concorsi, la percentuale aumenta. Non credo che ci sia un tasso di femminilizzazione, se si esclude la scuola, così alto in altri settori in Italia. Per completare il quadro, aggiunga che molti giudici sono anche frustrati perché spesso sono chiamati a fare un lavoro minuto di risoluzione di conflitti molto modesti, che si potrebbero risolvere con la mediazione. Dall’altra parte, c’è il fatto che l’ordine giudiziario è l’unico corpo dello Stato nel quale sono stati fatti sempre con scadenze quasi regolari concorsi, e quindi non si è verificato il fenomeno di altri settori in cui si sono alternati lunghi digiuni e grosse abbuffate di personale, con risultati pessimi. Un quadro di chiaroscuri. Ma finora ha parlato delle singole persone. Poi ci sono le strutture che non funzionano. Anche qui non bisogna fare di tutta l’erba un fascio. Ci sono state esperienze molto positive: per qualche tempo il tribunale di Roma e in altre occasioni il tribunale di Torino hanno avuto presidenti che hanno fatto funzionare benissimo la macchina. C’è solo da meravigliarsi che queste «best practices» non siano state valorizzate e copiate. Fin qui ha parlato delle cose che funzionano. Parliamo ora della crisi. Di un aspetto abbiamo già parlato: giustizia ritardata non è giustizia, dicono gli inglesi. Quindi la giustizia inefficace e la fuga dalla giustizia. Ma c’è un altro indicatore pericoloso che è l’immagine pubblica del magistrato. Una volta era una figura rispettata, nella quale si aveva grande fiducia. Ora non più. Basta leggere i sondaggi. O leggere i giornali. Nella sola ultima settimana abbiamo letto di un magistrato che si è dovuto dimettere perché non rispettava le obbligazioni assunte e di un altro finito in carcere. Una questione morale, per dirla con Berlinguer, anche per le toghe? Il tema della moralità dei magistrati è stato sollevato da un autorevole osservatore, che è stato anche magistrato, Luciano Violante, in un apposito articolo di non molto tempo fa. C’è quindi una crisi morale della giustizia, un preoccupante aumento di magistrati coinvolti in indagini penali, e in qualche caso arrestati. Questo, da un lato, consola, perché vuol dire che lo stesso corpo della magistratura riesce a porre rimedio, a tenere sotto controllo le «mele marce», ma dall’altro preoccupa perché in un corpo così ristretto non dovrebbero verificarsi così gravi infrazioni sia al codice etico, sia del codice penale. Di qui la percezione dei magistrati nella società. Una volta il magistrato era la difesa dei cittadini, ora i cittadini hanno l’impressione di doversi difendere dai magistrati. Come siamo arrivati a questo punto? Per tanti motivi, dei quali ne voglio citare almeno uno: l’incapacità del corpo dei magistrati di modernizzarsi, di individuare sistemi di correzione e autocorrezione interni. I magistrati sono interessati al codice e alle leggi, non al funzionamento complessivo della giustizia. Vi dedicano un’attenzione per esigenze di corpo, di carriera e retributive. Ho letto pochi documenti con proposte interessanti sul funzionamento della giustizia, documenti che provengano dal corpo stesso della magistratura. Uno lo voglio citare ed è “Giustizia 2030. Un libro bianco per la giustizia e il suo futuro”, del febbraio 2021, opera di un cospicuo gruppo di giudici, professori e componenti della società civile. C’è poi lo spinoso problema dei rapporti tra giustizia e politica. Anche qui mi faccia allargare lo sguardo. Questa dilatazione delle funzioni della magistratura comincia altrove, con l’occupazione del Ministero della giustizia. Questo ministero, l’unico citato dalla Costituzione, si deve interessare del funzionamento della giustizia. È un apparato del potere esecutivo. I magistrati, parte essenziale del potere giudiziario, non dovrebbero farne parte. Vi entrarono in epoca giolittiana, più di un secolo fa. Allora non esisteva una garanzia dell’indipendenza della magistratura e non esisteva il Consiglio superiore della magistratura così come configurato oggi dalla Costituzione. La presenza dei magistrati nel ministero era indirettamente una forma di tutela dell’indipendenza della magistratura nei confronti della politica. Dopo la Costituzione repubblicana e il ritardato avvio del Csm, tutto questo non ha più ragion d’essere. I magistrati dovrebbero tutti uscire dal Ministero della giustizia. Professor Cassese, non ha ancora neppure sfiorato il tema delle Procure… Parliamone. Vi lavora circa un quinto dei magistrati. La funzione del procuratore è radicalmente diversa da quella del magistrato giudicante. Una volta un procuratore mi confessò di aver dimenticato il diritto. Doveva dirigere indagini di polizia e giudiziarie. La modificazione radicale avvenuta negli ultimi anni sta nel fatto che le procure non sono più in funzione dell’accusa, ma in funzione di un giudizio. Avviano l’accusa e danno il giudizio, tramite quello strumento che gli americani chiamano «naming and shaming», tenendo sotto la minaccia di indagini per anni persone, divulgando le informazioni, mantenendo stretti rapporti con i giornalisti. Di qui un distorto rapporto con la stampa, che è il contrario della trasparenza. Con la tribuna stampa che diventa quella dei tifosi… Sì, i giornali diventano i megafoni delle procure e diffondono quest’idea alla Robin Hood del magistrato-giustiziere. Ricordo ancora con tristezza la risposta che mi dette un mio bravo laureato quando gli chiesi quale professione volesse intraprendere. Mi disse: voglio fare il magistrato perché c’è tanto bisogno di fare giustizia. Ma i rapporti tra giustizia e politica non finiscono qui. E dove continuano? Con quella che in un lavoro sulla storia dello Stato italiano ho chiamato politicizzazione endogena, lo svolgimento di attività nelle procure come parte di un cursus honorum che finisce nella politica: vi sono quelli che aspirano a entrarvi e quelli che sono già arrivati nel corpo politico. Ma il Csm non dovrebbe essere il supremo regolatore, evitare i rapporti con la politica, assicurare la giustizia? Dovrebbe, ma non svolge questo compito. Ha, nello stesso tempo, ingrandito e diminuito i suoi compiti. Li ha ingranditi perché è stato inteso, da chi ne ha fatto parte, come un organo di autogoverno, mentre nella Costituzione è semplicemente concepito come uno scudo per assicurare l’indipendenza della magistratura. In secondo luogo, proprio perché concepito come organo di autogoverno, è diventato la brutta copia del Parlamento. Infine, è stato incapace di individuare i criteri di scelta dei magistrati, specialmente dei titolari degli organi direttivi e quindi non ha svolto la funzione positiva che doveva svolgere. Che sia un organo fallito mi pare a questo punto sotto gli occhi di tutti. Ma la magistratura non ha operato in un vuoto. La società italiana, il corpo politico? Anch’essi hanno la loro responsabilità, hanno collaborato al degrado. Il corpo politico per assenza di seria politica, sostituita dalla morale ha preteso di avere il controllo della virtù, che è stato rapidamente trasferito a un organo professionale, proprio i magistrati. È proprio il corpo politico che ha moltiplicato le figure di reato. Esso non si è reso conto degli effetti sul sistema della forza dell’imitazione: altri corpi dello Stato scimmiottano le procure parlando in nome del popolo, dichiarando che rispondono al popolo. E questo non è indifferente per il funzionamento della nostra democrazia. Sì, incide fortemente sul funzionamento della democrazia. Il corpo politico si potrebbe difendere, ma, da un lato, ha rinunciato alle immunità che la Costituzione aveva introdotto; dall’altro, non riesce a farlo perché il corpo giudiziario fa ormai parte della politica e la condiziona dall’interno. Insomma, l’ordine giudiziario oggi non corrisponde al modello del “potere limitato” di Montesquieu. E veniamo al tema sollevato dalla proposta della commissione di inchiesta: è veramente utile o è un modo per mettere sotto processo la magistratura? Commissione di inchiesta, non vuol dire commissione di accusa. Vi sono state numerose commissioni di inchiesta che avevano uno scopo conoscitivo. Più di 50 anni fa ho fatto parte della segreteria tecnica della commissione di inchiesta sui limiti alla concorrenza presieduta da Roberto Tremelloni, che dette un contributo importante alla conoscenza del tema dei monopoli e della concorrenza e che ha posto le premesse per la disciplina intervenuta alla fine degli anni 80. Altre commissioni hanno prodotto risultati notevoli, sull’esempio delle «Royal Commissions» inglesi, che in molti casi sono stati i punti di svolta nella riforma dello Stato britannico. Ma quale consenso c’è intorno ai problemi e ai bisogni di riforma della giustizia oggi in Italia? Se non legge le dichiarazioni improvvisate, emotive e spesso umorali di molti politici, ma raccoglie le voci autorevoli di quelli che conoscono davvero il funzionamento della giustizia, si rende conto che c’è una complessiva valutazione di fondo che potrebbe costituire la base per una rinascita della giustizia in Italia. Per far nomi, Giovanni Fiandaca, Giuseppe Pignatone, Luciano Violante, Gaetano Insolera, Giovanni Maria Flick, Carlo Nordio, Guido Neppi Modona, Tullio Padovani, Glauco Giostra, Franco Coppi, Giovanni Canzio. Tutti questi si sono espressi, anche con punti di vista diversi, negli ultimi anni, sui temi della giustizia. Sono persone che hanno una conoscenza dall’interno del sistema, come studiosi, come ex magistrati, come avvocati, come osservatori. Partiamo dalle loro diagnosi per cercare di capire che cosa si può fare. È urgente. Aldo Torchiaro Romano e romanista, sociolinguista, ricercatore, è giornalista dal 2005 e collabora con il Riformista per la politica, la giustizia, le interviste e le inchieste.

lunedì 26 aprile 2021

Ristoranti in zona gialla: le regole del nuovo decreto Draghi e fino a che ora è consentito rimanere al tavolo

di MONICA GUERZONI E FIORENZA SARZANINI Ecco le regole che entrano in vigore fino al 31 luglio per mangiare al bar e al ristorante. Dal primo giugno si potrà mangiare anche al chiuso, dalle 5 alle 18 Da oggi in zona gialla riaprono i bar e i ristoranti a pranzo e a cena, ma soltanto negli spazi all’aperto. Dal 1° giugno, sempre in zona gialla, bar e ristoranti potranno aprire anche negli spazi al chiuso, ma solo dalle 5 alle 18. Ecco tutte le regole che dovranno essere rispettate sulla base del decreto in vigore fino al 31 luglio, della circolare del Viminale e dei protocolli messi a punto dalla Fipe, la Federazione pubblici esercizi. Le sanzioni previste per chi non rispetta le norme vanno da 400 a 1.000 euro, ridotte se il pagamento avviene entro 5 giorni. 1. Visto che il coprifuoco scatta alle 22, fino a che ora posso rimanere all’interno del locale? Alle 22 scatta il divieto di spostamento (tranne che per motivi di lavoro, urgenza e salute), quindi dipende dal tempo che occorre per il rientro nella propria abitazione. 2. Esiste un margine di tolleranza? La circolare del Viminale ha richiamato prefetti e questori al rispetto della norma, esiste un margine in caso di imprevisto giustificato. 3. Gestori e camerieri dei locali pubblici hanno l’obbligo di rientro alle 22? No, possono rimanere all’interno e poi spostarsi per motivi di lavoro. 4. All’aperto si possono consumare cibo e bevande in piedi? No, è obbligatorio il servizio al tavolo. 5. Quante persone possono stare allo stesso tavolo? Massimo 4 persone, a meno che non si tratti di conviventi. 6. È stata stabilita una distanza tra i tavoli? Sì, deve essere di almeno un metro. 7. I locali che non hanno spazi all’aperto possono utilizzare i marciapiedi e i parcheggi su strada? Sì, dopo aver ottenuto l’autorizzazione. La Fipe e l’Anci (l’associazione dei Comuni) stanno lavorando a un protocollo condiviso per lo snellimento delle procedure. 8. Si deve pagare la tassa per l’occupazione di suolo pubblico? È sospesa fino a giugno, ma è stata già manifestata l’intenzione di concedere una proroga. 9. È consentito sostare all’interno del ristorante? No, si può stare solo all’aperto. 10. È consentito consumare al bancone del bar? No, all’interno dei bar è consentita soltanto la vendita di cibo e bevande da asporto. 11. Si possono utilizzare i bagni interni ai locali? Sì, ma solo per le persone che usufruiscono del servizio al tavolo. 12. Se ci si alza dal tavolo bisogna indossare la mascherina? Sì, perché è ancora in vigore l’obbligo di mascherina all’aperto e al chiuso. 13. In caso di pioggia ci si può trasferire all’interno del locale? No, fino al 1° giugno non è consentito il servizio al tavolo all’interno. 14. Si può entrare per pagare il conto? I protocolli raccomandano il servizio Pos anche all’esterno, quando non è possibile il gestore potrà consentirlo facendo rispettare il distanziamento di almeno 1 metro. 15. Si può stare nei ristoranti al chiuso degli alberghi? Sì, il servizio è sempre consentito a pranzo e a cena, ma soltanto per i clienti che alloggiano nella struttura. 16. Si possono prendere cibo e bevande da asporto? Per i bar il servizio da asporto è consentito fino alle 18. Per ristoranti, enoteche e vinerie è consentito fino alle 22. 17. Si può chiedere la consegna a domicilio? Sì, è sempre consentita. 18. Dal 1° giugno si potrà pranzare all’interno di bar e ristoranti? Sì, è consentito dalle 5 alle 18. desc img Bar, ristoranti, cinema, stabilimenti balneari. Quelli che riaprono 19. Da quando si potrà cenare al chiuso? Al momento non è stata stabilita una data per la riapertura dei locali al chiuso per la cena. 20. Si può organizzare una festa in un locale pubblico? Le feste sono vietate. È possibile prenotare tavoli per i propri ospiti sempre nel rispetto di 4 persone al massimo per ogni tavolo e dei protocolli. 21. Si può mangiare a buffet? Soltanto se il servizio è affidato al personale oppure se vengono offerte ai clienti le monoporzioni. In ogni caso bisogna rispettare il distanziamento e alzarsi con la mascherina. 22. È obbligatoria la prenotazione? No, ma il locale dovrà comunque conservare per 14 giorni i dati dei clienti. IL NUOVO DECRETO: REGOLE E APPROFONDIMENTI Spostamenti, ristoranti, cinema: come cambiano le regole da lunedì 26 aprile Le regioni verso la zona gialla e i nuovi colori dal 26 aprile: le ipotesi in base agli ultimi dati disponibili Decreto riaperture approvato: il coprifuoco resta alle 22 Tutti a casa alle 22, ma serve a ridurre i contagi? Ecco cosa dice la scienza Il «pass»: cosa sappiamo del certificato verde per spostarsi fra regioni Tutti i bollettini sulla situazione dei contagi in Italia nel 2021 23. In zona arancione e rossa si può mangiare nei locali all’aperto? No, al momento i locali pubblici sono aperti soltanto per l’asporto e la consegna a domicilio. 24. In zona arancione e rossa dal 1° giugno si potrà mangiare all’interno dei locali? Il decreto in vigore fino al 31 luglio fissa soltanto le riaperture in zona gialla. 25. È stata stabilita una data per le riaperture in zona arancione e rossa? Al momento no. 26 aprile 2021 (modifica il 26 aprile 2021 | 09:37)

domenica 25 aprile 2021

Tumori: il colon salvato dall'intelligenza artificiale

di Irma D’Aria Grazie a una ricerca italiana, approvato negli Usa il primo strumento per fare la colonscopia che aiuta il medico a rilevare lesioni sospette durante la colonscopia. E scopre il 17% di polipi in più dell'uomo 25 APRILE 2021 Un algoritmo dell’intelligenza artificiale che aiuta i medici a rilevare lesioni sospette per il cancro al colon in tempo reale durante una colonscopia. E’ possibile grazie ad un dispositivo medico che utilizza quest o algoritmo che è stato appena approvato dall’americana Food and Drug Administration (Fda) con dati tutti italiani. L’algoritmo, infatti, è stato validato nell’AI Center di Humanitas con uno studio che ha visto la partecipazione anche degli ospedali Regina Margherita di Roma e Valduce di Como. L’IA svela il 13% di polipi in più La colonscopia rappresenta lo ‘strumento’ migliore per la prevenzione e la conferma diagnostica di questo tipo di cancro. L’esame prevede l’introduzione di un tubicino flessibile all’interno dell’organismo, che permette di individuare i polipi del colon, ovvero piccole alterazioni della mucosa che potrebbero evolvere in tumore. Alcuni polipi, tuttavia, ‘sfuggono’ alla diagnosi o non sono correttamente classificabili con la sola colonscopia. Il dispositivo endoscopico ad intelligenza artificiale, che si chiama GI Genius, aiuta a rilevare il 13% in più di adenomi (polipi) o lesioni tumorali del colon generando marcatori e suoni a basso volume che segnalano al medico dove è necessaria una valutazione visiva più approfondita. “Il dispositivo, applicato alla colonscopia tradizionale, suggerisce al medico aree del colon che potrebbe non aver notato riducendo il rischio umano di non vedere lesioni sospette e aumentando la precisione diagnostica per il tumore del colon retto”, spiega Alessandro Repici, direttore del Dipartimento di Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva di Humanitas e docente di Humanitas University. Il dispositivo, però, non si sostituisce allo specialista, né agli esami di laboratorio e non suggerisce come gestire i polipi sospetti. “Spetta al medico - chiarisce Repici - decidere se la lesione sia sospetta, e come procedere secondo la pratica clinica standard e le linee guida”. Lo studio italiano L’FDA ha valutato la sicurezza e l'efficacia di GI Genius con uno studio multicentrico tutto italiano, condotto su 700 pazienti, di cui il 35% in Humanitas, di età compresa tra 40 e 80 anni che si sottoponevano a una colonscopia per lo screening o alla sorveglianza del cancro colon-rettale, a seguito di sangue nelle feci o sintomi gastrointestinali. I partecipanti allo studio hanno effettuato colonscopia standard con il dispositivo AI o solamente colonscopia standard. “L’utilizzo dell’intelligenza artificiale applicata alla colonscopia tradizionale è stata in grado di identificare adenomi o carcinomi confermati dagli esami di laboratorio con una precisione diagnostica aumentata del 13%”, sottolinea Repici. Il lavoro sta proseguendo con ulteriori studi di approfondimento in questo ambito. Dopo l'approvazione della FDA quando arriverà anche quella europea e poi quella italiana? “In realtà - spiega il gastroenterologo - il sistema è stato approvato con marchio CE per l’utilizzo in Europa circa un anno fa e questa approvazione vale anche per l’Italia”. L’altra buona notizia è che si tratta di un sistema che sarà possibile utilizzare su vasta scala negli ospedali italiani: “Può essere applicato a qualsiasi tipo di colonscopia ed a qualsiasi marca di endoscopio per cui è praticamente universale”, conferma Repici. Il cancro al colon Il cancro colon-rettale è il secondo tumore più frequente in Italia. In genere inizia da adenomi (polipi intestinali) che si formano sulla parete del colon o da altre lesioni precancerose nel retto o nel colon (intestino crasso). La colonscopia endoscopica, esame che fa parte dello screening del cancro colon-rettale e del piano di sorveglianza, viene eseguita da medici endoscopisti per rilevare alterazioni o anomalie nel rivestimento del colon e del retto. La colonscopia comporta il passaggio di un endoscopio, ovvero un tubo sottile e flessibile con una telecamera all'estremità, attraverso il retto e per tutta la lunghezza del colon, che permette al medico esperto di visualizzare eventuali segni di cancro o lesioni precancerose.

sabato 24 aprile 2021

Niente lockdown, 11 morti: il segreto di Taiwan

 Niente lockdown, 11 morti: il segreto di Taiwan

di RedazioneRedazione

23 Aprile 2021, 13:55

di Carlo Toto

Mentre in Italia continua la strategia e la glorificazione delle restrizioni, Taiwan sconfigge il Covid-19 senza nessun lockdown. Dall’inizio della pandemia, a Taiwan sono morte di Covid-19 appena 11 persone, risultato impressionante per una nazione che non ha mai adottato il lockdown.

Un nuovo studio pubblicato nel Journal of the American Medical Association ha esaminato più a fondo proprio i motivi della riuscita di Taiwan nello sconfiggere il Covid-19. Gli autori, che provengono da vari istituti sanitari e ospedalieri di Taiwan e degli Usa, hanno messo a confronto e stimato l’efficacia di due tipi di politiche anti Covid adottate nei mesi iniziali della pandemia: misure basate sui casi e sulla popolazione. Le misure basate sui casi comprendono rilevamento tramite test delle persone contagiate, isolamento dei casi positivi, contact tracing e quarantena di 14 giorni. Le misure basate sulla popolazione includono politiche di adozione delle mascherine, dell’igiene personale e del distanziamento sociale.

Gli effetti di queste politiche sono stai quantificati stimando il numero di riproduzione effettivo (R). Il numero R è uno strumento di valutazione della capacità di diffusione di una malattia infettiva e rappresenta il numero medio di persone a cui una persona infetta trasmetterà un virus. R maggiore di 1 significa che il virus continuerà a diffondersi e che le epidemie proseguiranno. R minore di 1 vuol dire che la quantità di casi inizierà a diminuire. Mentre studi precedenti in altre nazioni hanno simulato scenari ipotetici, questo studio mette insieme la modellazione della trasmissione con dati reali dettagliati per stimare l’efficacia. Gli autori hanno raccolto dati forniti dai Centers for Disease Control taiwanesi riguardanti 158 casi verificatisi tra il 10 gennaio e il 1° giugno 2020, e tutti i casi sono stati confermati dai test molecolari.

I dati riguardavano casi acquisiti localmente, cluster confermati e casi importati di persone arrivate a Taiwan prima del 21 marzo 2020. Hanno quindi paragonato i risultati ottenuti a Taiwan con un R stimato di 2,5, che si basava sul numero equivalente stimato nella vicina Cina all’inizio della sua epidemia di Covid-19. Lo studio ha scoperto che le sole politiche basate sui casi, come contact tracing e quarantena, potevano ridurre R da 2,5 a 1,53, con un contributo maggiore da parte della quarantena. Sostanzialmente, gli interventi basati sui casi non potevano impedire la trasmissione da una persona all’altra, ma potevano ridurre l’ulteriore trasmissione dai casi secondari a una terza e quarta persona, a condizione che i contatti restassero in quarantena. Le politiche basate sulla popolazione, come distanziamento sociale e mascherine, invece, riducevano R da 2,5 a 1,3.

Lockdown inefficace

Gli autori concludevano che è stata la combinazione di politiche basate sui casi e quelle basate sulla popolazione, insieme a un’adesione diffusa, a portare al successo di Taiwan nel contenere il Covid. L’unione dei due approcci ha portato a un R stimato, usando i due metodi diversi, a 0,82 e di appena 0,62. Questo studio oltre a spiegare le dinamiche strategiche per il contenimento dei contagi, rafforza l’idea che il lockdown resta un metodo poco efficace, estremo e dannoso per l’economia interna e le libertà personali. In Italia la linea del massimo rigore ha stancato molte persone, in particolare i lavoratori ed i liberi pensatori.

Le “riaperture” previste per il 26 aprile in realtà presentano nuove restrizioni sotto altre forme, come ad esempio l’introduzione del “pass sanitario” o “carta verde”, inoltre, resta il coprifuoco che penalizza le attività di bar, ristorazione e piacere personale di vivere un po’ di movida. Dopo un anno attendiamo una risposta alla solita domanda: quando si tornerà alla normalità?

Secondo noi, solo quando si accetterà con buon senso la logica nozione che ad ogni nascita subentra una morte. L’umanità ha sempre ottenuto grandi risultati camminando insieme e non distanziata e nonostante le numerose difficoltà, le malattie e la morte, nel corso della storia ha sempre scelto di vivere la vita in libertà con tutti i rischi del caso.