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venerdì 17 dicembre 2021

Bonus casa, i rischi (sottovalutati) sulla cessione del credito: i condomini rischiano in proprio

LA NORMATIVA di Gino Pagliuca15 dicembre 2021 1/7 Stretta sulla cessione del credito L’attenzione dei media sui bonus edilizi è focalizzata, come è comprensibile, sulla conversione parlamentare del disegno di legge di Bilancio anche se le risorse per modifiche generose di fatto non ci sono e probabilmente ci potrà essere solo una proroga per i lavori sulle abitazioni indipendenti. In realtà il provvedimento più importante in materia di agevolazioni fiscali sugli immobili è un altro, il decreto legge 157, in vigore dal 12 novembre scorso e che andrà convertito in legge entro l’inizio di gennaio. Il decreto ha introdotto una stretta molto rigorosa sulla cessione del credito, lo strumento che di fatto rende possibile compiere lavori di per sé molto onerosi. Con il contributo di Christian Dominici, commercialista milanese titolare di uno studio specializzato nella gestione dei crediti tributari, esaminiamo alcuni aspetti del decreto, per sottolineare che esistono per chi commissiona i lavori anche alcuni rischi finora largamente sottovalutati soprattutto in condominio, perché spesso non si considera che nel caso in cui il prezzo dei lavori fosse gonfiato ad arte i singoli condomini rischiano anche in proprio, fino a trovarsi la casa ipotecata. 2/7 La comunicazione di cessione II decreto legge 157, emanato dopo che l’Agenzia delle Entrate aveva scoperto presunte frodi su cessione del credito per 950 milioni di euro, prevede che a far corso dal 12 novembre 2021 la comunicazione di cessione dei bonus edilizi attuata per interventi fatturati dopo l’11 novembre deve comprendere il visto di conformità e l’asseverazione di congruità delle spese sostenute, mentre in precedenza il visto era prescritto solo per il superbonus. Diversa la situazione per chi scegliesse di chiedere direttamente il rimborso: nessun obbligo per i bonus diversi dal 110%, obbligo (prima non previsto) per chi non trasmette la dichiarazione precompilata o non la fa trasmettere dal sostituto di imposta (tipicamente, il datore di lavoro). Il decreto prevede che l’Agenzia delle Entrate possa bloccare la cessione per cinque giorni se ravvede particolari criticità rilevabili in automatico, e per un massimo di 30 giorni. Le nuove norme l’emanazione, entro trenta giorni dalla conversione in legge e quindi presumibilmente per fine gennaio-inizio febbraio, di un prezziario delle opere valido per tutta Italia e a cui le imprese dovranno attenersi. Per le opere compiute prima della pubblicazione dei prezzi si ritiene che gli strumenti finora adottati siano considerati congrui. 3/7 La valutazione dei rischi La sottovalutazione dei rischi di cui dicevamo nasce, come spiega Dominici, dal fatto che «si tratta di controlli automatici che non esauriscono l’attività accertativa dell’Agenzia. Questa, secondo il criterio del “valore normale” degli interventi, può controllare la congruità dei costi sostenuti nelle successive cinque annualità. Il cassetto fiscale, lo strumento tramite il quale si cedono i crediti per bonus edilizi e gli altri bonus tributari, non ha alcun valore di certificazione né di certezza tributaria, per avere un credito nel cassetto fiscale basta emettere la fattura e cederla». 4/7 Le criticità emerse Il nostro interlocutore sottolinea anche alcune delle criticità finora emerse nella gestione dei bonus; le maggiori riguardano il bonus facciate, che non a caso durerà solo per il 2022 e in versione depotenziata. Il caso più frequente è quello della sovrafatturazione: «I condomini sapendo di dover pagare solo una parte dei lavori, tendono ad accettare anche preventivi palesemente gonfiati che generano crediti di imposta eccedenti rispetto ai lavori effettivamente svolti; si sono anche verificati casi di lavori affidati e conseguenti deleghe al cassetto fiscale a consorzi di imprese che poi non hanno mantenuto la parola data ed hanno comunque emesso le fatture per la generazione e cessione del credito di imposta. Infine, un problema di queste settimane. Se il condominio paga il 10% dei lavori per il bonus facciate entro il 31 dicembre prossimo e cede il credito si mantiene il diritto all’agevolazione. Il problema è che c’è il forte rischio di accettare preventivi di imprese che poi non saranno in grado di finire i lavori». 5/7 Scegliere i professionisti Da tutto questo deriva la necessità assoluta di scegliere con la massima cura chi deve fare i lavori e i professionisti che devono seguire l’iter. Le Entrate come dicevamo hanno cinque anni per effettuare i controlli e anche se vi fosse un ricorso alla giustizia tributaria possono iscrivere l’ipoteca sugli immobili, che a quel punto diventerebbero di fatto invendibili. E anche se vi fosse buona fede del committente molto probabilmente le imprese che gonfiano i preventivi nei prossimi anni avranno già cambiato ragione sociale o saranno fallite in maniera più o meno fraudolenta. Infine, va ricordato che per le agevolazioni immobiliari ai committenti si applica il criterio di cassa (le fatture nel 2021 sono detraibili nella dichiarazione che presento nel 2022 ecc.) ma che le fatture da sole non bastano, i lavori vanno comunque terminati. Altrimenti il fisco ha il diritto di recuperare gli importi già riconosciuti.

domenica 5 dicembre 2021

Super green pass: come cambiano le regole da lunedì 6 dicembre

di Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini Con il certificato «super» si entra in ristoranti, cinema e teatri. È necessario anche per le discoteche e per le piste da sci. Quello «base» permette di lavorare e salire su bus, treni e aerei Il green pass base Che cosa cambia con il nuovo decreto? Il decreto che sarà in vigore dal 6 dicembre al 15 gennaio prevede due green pass, base e rafforzato. Cos’è e come si ottiene il green pass «base»? È il vecchio green pass, che viene rilasciato anche con il tampone, antigenico o molecolare, oltre che con vaccino e guarigione dal Covid. Come si scarica? Si ottiene gratuitamente andando sul sito del governo (dgc.gov.it) con tessera sanitaria o identità digitale (Spid/Cie). Si può ottenere anche scaricando l’app Immuni o andando sul sito del Fascicolo Sanitario Elettronico Regionale. Come viene controllato il green pass? Con la nuova versione dell’app del ministero della Salute. Verifica C19 riconosce se il green pass è base o rafforzato. Con il green pass base si può andare al lavoro? Sì, il green pass che si ottiene anche con il tampone resta valido per tutti i lavoratori che non hanno l’obbligo vaccinale. Per andare al ristorante basta il certificato base? Dal 6 dicembre per entrare in un ristorante al chiuso serve il green pass rafforzato. Con il «base» si può andare al cinema, a teatro, allo stadio, o in discoteca? No, dal 6 dicembre serve il green pass rafforzato. In zona arancione bar e ristoranti restano aperti? Sì, ma chi ha solo il green pass base non può entrare nei locali pubblici al chiuso. In zona gialla c’è ancora il limite di quattro persone al tavolo nei ristoranti? No, dal 6 dicembre non c’è più il limite di persone al tavolo, perché possono sedersi solo vaccinati e guariti. In zona gialla le discoteche saranno aperte? Sì, ma il green pass base non vale. Chi è positivo al Covid può muoversi liberamente con il green pass base? Assolutamente no, alle persone positive il green pass viene sospeso. Sul bus e sulla metro si sale con il green pass? Sì. Da lunedì 6 dicembre su bus, metropolitane e treni locali si sale solo se in possesso di green pass, rafforzato o base: quindi va bene anche un tampone negativo. Quanto durano i tamponi per il green pass? La validità per il molecolare resta sempre fissata a 72 ore e per l’antigenico a 48 ore. Chi controlla la validità del green pass sui bus? I controlli saranno fatti a campione dalle forze dell’ordine. Anche il personale delle aziende di trasporto pubblico locale è autorizzato a verificare se il passeggero è in regola. Per aerei e treni ad alta velocità basta il tampone? Sì, va bene il pass base. I ragazzi sopra i 12 anni per salire sull’autobus o sulla metropolitana devono avere il green pass? Sì, dal 6 dicembre è obbligatorio. Il governo sta lavorando per ridurre il costo dei tamponi a carico delle famiglie. I test potrebbero diventare gratuiti per gli studenti. Chi non ha ancora 12 anni può avere il green pass? I ragazzi che compiono 12 anni a dicembre rischiano di passare il Natale senza green pass, perché in attesa del vaccino per la fascia 5/11 (e del giorno del loro compleanno) non hanno ancora potuto fare l’iniezione. Per avere il certificato devono passare 15 giorni dalla prima dose, il che è un problema sia per gli studenti che devono prendere il bus, sia per le famiglie in vista delle vacanze natalizie. Quali sono le regole per visitare mostre e musei? Per entrare nei musei basta il green pass base. Quali sono le regole per i matrimoni? Per partecipare a nozze, battesimi, comunioni e altre cerimonie civili o religiose è sufficiente il base. L’ingresso in palestra e in piscina è libero per tutti? No, per frequentare palestre e piscine serve il green pass base. La nuova regola vale anche per gli spogliatoi. Per soggiornare in albergo serve il certificato verde? Sì, per entrare in hotel e per frequentare ristorante, piscina, palestra, centro benessere e spogliatoio è richiesto il green pass base. Si può andare a sciare? Sì, gli impianti restano aperti. In zona bianca e gialla si può sciare con il base, in zona arancione entrano solo vaccinati e guariti. In zona rossa non si scia. Per le fiere quale green pass serve? Basta il base in tutte le zone di rischio. Il green pass rafforzato Quando entra in vigore il green pass rafforzato? Il green pass rafforzato o super green pass scatta domani, 6 dicembre. Chi può ottenerlo? Si ottiene solo con la seconda dose di vaccino o con la guarigione dal Covid. Chi è guarito o si è sottoposto a due dosi meno di nove mesi fa non deve chiederne uno nuovo, vale quello ottenuto a suo tempo. Come si fa a scaricarlo, visualizzarlo o stamparlo? Si ottiene gratuitamente andando sul sito del governo (dgc.gov.it) con tessera sanitaria o identità digitale (Spid/Cie). Si può anche scaricare l’app Immuni o andare sul sito del Fascicolo sanitario elettronico regionale. Per andare al lavoro serve il «super» pass? Per lavorare basta quello base. Qual è la regola per le mense? A mensa a partire dal 6 dicembre si entra sia con il green pass rafforzato che con il base. Quanto dura il green pass rafforzato? Nove mesi dopo la seconda dose di vaccino o dopo la guarigione. Se alla scadenza del periodo non si fa la terza dose, il green pass rafforzato non è più valido. Come viene controllato il certificato? Con l’app Verifica C19. Con la nuova versione, selezionando «verifica rafforzata», il sistema leggerà solo i Qr Code di vaccinati e guariti. Per andare al ristorante serve il «rafforzato»? Sì. Dal 6 dicembre in zona bianca, gialla e arancione per entrare in un ristorante al chiuso serve il green pass rafforzato. E per cinema, teatri, stadi e discoteche? Da domani 6 dicembre serve il green pass rafforzato anche in zona bianca per cinema, teatri, stadi, discoteche, feste e cerimonie pubbliche. In zona gialla e arancione cosa resta aperto? Con il nuovo decreto le restrizioni in zona gialla e arancione valgono solo per le persone che non sono vaccinate o non sono guarite dal Covid. Negozi e ristoranti restano aperti, ma si può entrare solo con il green pass rafforzato. In zona gialla c’è ancora il limite di 4 persone al tavolo nei ristoranti al chiuso? Dal 6 dicembre non c’è più il limite di persone al tavolo, perché possono sedersi solo i clienti vaccinati o guariti. Anche in «gialla» le discoteche sono aperte? Sì, ma il decreto permette di entrare solo a vaccinati o guariti. Chi è positivo al Covid può muoversi liberamente con il green pass rafforzato? No, ai positivi il green pass viene sospeso, anche se ottenuto con la vaccinazione. In zona rossa chi ha il «rafforzato» può fare tutto? No, in zona rossa restrizioni, chiusure e divieti di spostamento valgono per tutti. Al momento in Italia non ci sono zone rosse, né arancioni. Sul bus e sulla metropolitana si sale con il green pass rafforzato? Da lunedì 6 dicembre su bus, metropolitane e treni locali si può salire sia con il green pass rafforzato che con quello base, quindi va bene anche un tampone negativo. La durata dei tamponi per il green pass è cambiata con il nuovo decreto? No, la validità per il molecolare resta di 72 ore, per l’antigenico è di 48 ore. Su aerei e treni ad alta velocità si può salire con il green pass rafforzato? Sì certo, ma basta anche quello base. I ragazzi sopra i 12 anni per salire sul bus o sulla metropolitana devono avere il green pass rafforzato? Basta quello base, obbligatorio dal 6 dicembre. Quali sono le regole per visitare mostre e musei? Vanno bene sia il «rafforzato» che il «base». Per andare a sciare serve il green pass rafforzato? Gli impianti restano aperti. In zona bianca e gialla si può sciare con il green pass base, in zona arancione entrano solo vaccinati e guariti: quindi serve il green pass rafforzato. In zona rossa non si scia. Per le feste di nozze serve il «super» green pass? Per partecipare a nozze, battesimi, comunioni e altre cerimonie civili o religiose basta il green pass base, ma si può ovviamente entrare anche con quello rafforzato. Quando scatta l’obbligo vaccinale per docenti, militari e personale della scuola e della sanità? Dal 15 dicembre il personale amministrativo della sanità, i docenti e il personale amministrativo della scuola, le forze di polizia, i militari e il personale del soccorso pubblico dovranno vaccinarsi.

martedì 16 novembre 2021

L’inutile rebus degli acronimi che rende l’italiano indecifrabile

https://www.corriere.it/cronache/21_novembre_15/inutile-rebus-acronimi-che-rende-l-italiano-indecifrabile-6c0a8678-4651-11ec-9a24-28e7c2e627b2.shtml Gian Antonio Stella L’appello del Presidente Sergio Mattarella contro «l’uso smisurato» delle sigle. Il dibattito tra i linguisti «Amnnpp»: Anche Mattarella Non Ne Può Più. Così sarà ricordato, forse, il discorso del presidente della Repubblica all’inaugurazione dell’anno accademico a Siena. Per carità, l’ha detto con garbo istituzionale: «Non so se siano stati fatti in qualche Ateneo, ma se così non fosse sarebbe utile, studi per approfondire le conseguenze dell’uso smisurato degli acronimi sul linguaggio e sulla facilità di comunicazione». L’ha detto, però: c’è un drammatico problema d’incapacità dello Stato in tutte le sue incarnazioni politiche e burocratiche di farsi capire dai cittadini. Erano anni che lo dicevano i linguisti, lo sottolineavano gli osservatori più attenti, lo riconoscevano perfino pezzi della burocrazia e della magistratura. Lo dice un parere del 2014 del Consiglio di Stato sulla «Definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera» proposta dal ministero della Salute: «Va rilevato come l’intero provvedimento (...) si caratterizzi per una scrittura assai lontana dai buoni canoni di un periodare piano, comprensibile a prima lettura ed elegante e per un uso assai frequente di acronimi e di espressioni in lingua straniera, il cui ricorrere — secondo le regole della redazione dei testi legislativi — andrebbe vietato». Rileggiamo: «vietato». Magari!

domenica 7 novembre 2021

Nuovo codice della strada 2021, le 10 novità: parcheggi, monopattini e smartphone

di Emiliano Ragoni Tante le novità per gli automobilisti introdotte dal DL Infrastrutture. Tutto quello che bisogna sapere sul nuovo codice della strada 2021, che entrerà in vigore il prossimo 10 novembre Il nuovo Decreto Legge infrastrutturee trasporti è realtà e porta con se tante modifiche al codice della strada. Dopo essere stato approvato dal Senato, nei prossimi giorni verrà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Tante le novità introdotte nel codice della strada, molte di esse anticipate negli scorsi giorni. Tuttavia è opportuno cercare di fare chiarezza riassumendo le principali novità contenute nel DL infrastrutture. 1) I monopattini Finiti nell’occhio del ciclone per i problemi relativi agli incidenti, alcuni di essi mortali, il Governo cerca di disciplinare l’utilizzo dei monopattini introducendo alcune novità. Tra di esse c’è la riduzione della velocità da 25 a 20 km/h fuori dalle aree perdonali. Su queste ultime la velocità massima consentita è sempre di 6 km/h. Viene inoltre resa obbligatoria, a partire dal 1° luglio 2022, la presenza di indicatori di direzione e di stop. I nuovi monopattini commercializzati dopo quella data dovranno esserne provvisti, tutti gli altri hanno tempo fino al 1° gennaio 2024 per adeguarsi. Al fine di evitare la «sosta selvaggia» viene introdotta l’obbligatorietà di fotografare il monopattino al termine del noleggio. Monopattini che non potranno circolare sui marciapiedi ma solo su strade e ciclabili. Non è stata introdotta l’obbligatorietà dell’assicurazione; devono esserne provviste solo le società di noleggio. 2) I parcheggi Il Governo rende gratuita per le persone con disabilità, dal 1° gennaio 2022, la sosta sui parcheggi contrassegnati dalle strisce blu (in ogni caso questi parcheggi dovranno essere utilizzati solo in caso in cui fossero occupate le specifiche aree di sosta). I mezzi in sosta dovranno ovviamente essere provvisti di apposito contrassegno. Viene fatto un passo avanti anche sui parcheggi cosiddetti rosa, che sono riservati alle donne in gravidanza e ai genitori con figli fino a due anni. Anche in questo caso dovrà essere esposto un apposito contrassegno. Tutti coloro che dovessero occupare queste zone di sosta senza permesso incorreranno in sanzione. 3) Le sanzioni per l’utilizzo dei dispositivi elettronici Il Governo cerca di dare una «stretta» all’utilizzo degli smartphone e dei diversi dispositivi elettronici mentre si guida, inasprendo le sanzioni. Verranno comminate sanzioni anche per chi getta rifiuti mentre il veicolo è in movimento. 4) Multe per chi commette infrazioni alla guida di auto a noleggio Il DL Infrastrutture fa chiarezza sulle infrazione commesse mentre si è alla guida di un’auto a noleggio. Nello specifico, la modifica all’articolo 196 del Codice della strada prevede che sia il cliente della società di noleggio a pagare le infrazioni commesse mentre è alla guida. Le imprese di noleggio collaboreranno nel fornire agli uffici le generalità del sottoscrittore del contratto di locazione, come da previsto dal Codice, affinché sia a quest’ultimo notificato il verbale. Questo chiarimento è divenuto necessario perché negli ultimi 20 mesi di pandemia molte Amministrazioni locali, per motivi legati a una propria inefficienza burocratica, hanno notificato direttamente alle aziende di noleggio multe e azioni esecutive massive, alcune riguardanti gli ultimi 5 anni, senza chiedere preventivamente di conoscere i dati dell’effettivo trasgressore. 5) No alla pubblicità offensiva o discriminatoria Viene previsto il divieto di qualsiasi forma di pubblicità, su strade e veicoli, avente contenuto sessista, violento, offensivo o comunque lesivo dei diritti civili, del credo religioso e dell’appartenenza etnica ovvero discriminatorio. La violazione del divieto comporta la revoca della relativa autorizzazione nonché l’immediata rimozione del mezzo pubblicitario. 6) Il foglio rosa durerà un anno e l’esame di teoria potrà essere ripetuto fino a 3 volte Viene prolungata la validità del foglio rosa fino a un anno. Ci saranno delle agevolazioni anche per tutti coloro che dovranno fare l’esame di guida valida per il conseguimento della patente B, poiché l’esame potrà essere ripetuto tre volte. I neopatentati potranno inoltre guidare un mezzo fino a 95 Cv di potenza a patto che sia presente al loro fianco una persona di età non superiore a 65 anni con una patente conseguita da almeno 10 anni. Previsto l’inasprimento delle sanzioni amministrative nei confronti di coloro che si esercitano senza istruttore: da un minimo di 430 euro a un massimo di 1.731 euro e la sanzione accessoria del fermo amministrativo del veicolo per 3 mesi. Viene introdotta la responsabilità del conducente del ciclomotore o del motoveicolo per il mancato utilizzo del casco da parte di chi viene trasportato indipendentemente dall’età e non soltanto per i minorenni. 7) Stop al furbetti della sosta sugli stalli riservati alle elettriche Il DL chiarisce quello che dovrebbe già essere palese per tutti i possessori delle auto elettriche: che gli stalli preposti alla sosta di un veicolo in ricarica dovranno essere occupati solo nell’arco di tempo necessario per «fare il pieno» all’accumulatore. Trascorsa un’ora sarà quindi vietato sostare ulteriormente. Questo divieto non si applica tra le 23 e le 7 del mattino, ad eccezione degli spazi riservati alle fast e alle super fast, che dovranno essere liberati non appena terminata l’operazione di ricarica. 8) Comportamento in corrispondenza di strisce pedonali Vengono introdotti nuovi obblighi di comportamento in corrispondenza degli attraversamenti pedonali: i conducenti dei veicoli devono dare la precedenza non solo ai pedoni che hanno iniziato l'attraversamento, ma anche a quelli che si stanno accingendo a effettuare l’attraversamento. 9) Stop ai mezzi di trasporto pubblico inquinanti Per ridurre le emissioni di CO2 e l’inquinamento nei centri urbani è prevista una graduale limitazione alla circolazione dei vecchi mezzi più inquinanti adibiti al trasporto pubblico locale e alimentati a benzina e gasolio. Nello specifico, a decorrere dal 30 giugno 2022 è vietata la circolazione dei veicoli di categoria M2 e M3 con caratteristiche Euro 1, a decorrere dal primo gennaio 2023 è vietata la circolazione alle stesse categorie di mezzi con caratteristiche Euro 2, mentre dal primo gennaio 2024 il divieto riguarderà i mezzi Euro 3. Per contribuire al rinnovo dei veicoli adibiti al trasporto pubblico locale sono previsti 5 milioni di euro per il 2022 e 7 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2023 al 2035. 10) Passaggi a livello I gestori dell’infrastruttura ferroviaria dovranno installare apposite telecamere in grado di rilevare il rispetto del divieto di attraversamento nei pressi dei passaggi a livello.

venerdì 5 novembre 2021

Spesso paghiamo quel che non avremo Compriamo connessioni Internet sempre più veloci: ma sono soldi ben spesi?

NOVEMBRE 4, 2021 | SOCIETÀ CLAUDIO CARNEVALE La velocità della connessione è un valore che viene sbandierato da tutti i fornitori di accesso alla rete Internet nell’offerta retail per navigare. Quello che acquistiamo a un costo maggiore è ciò che ci serve oppure si tratta dello stesso prodotto di prima? Faccio un esempio: se ognuno di noi vuole sottoscrivere un contratto di fornitura idrica deve fare prima un’analisi preventiva del probabile consumo di acqua. Se si calcola che una famiglia di quattro persone genera un consumo medio di circa 900 litri al giorno, chiudere un contratto per mille litri al giorno come fornitura media farebbe stare abbastanza tranquilli. Purtroppo non è così. Se la mattina alle sette ci si appresta a fare la doccia, nonostante i mille litri disponibili potremmo anche non avere acqua a sufficienza in quel preciso momento. Con una portata di 0,7 litri al minuto il fornitore assicurerebbe come da contratto una capacità giornaliera di mille litri, ma la doccia con quel tipo di flusso non sarebbe sicuramente piacevole. Questo per spiegare che nell’offerta, oltre a quello quantitativo del volume giornaliero, manca un parametro vitale: la portata minima istantanea assicurata. Quando chiudiamo un contratto con un fornitore di accesso a Internet è necessario fare queste due analisi, altrimenti si valuta in maniera non coerente l’offerta. Nel caso di utilizzo della rete Ip è facile stabilire che usare un sito web con una connessione stabile a 10 Mbs sia più che sufficiente, mentre per un film o una partita su un display da 50 pollici occorrano 100Mbs. Questo significa che con una velocità di 200Mbs una famiglia di quattro persone potrebbe lavorare e divertirsi senza problemi. È chiaro che parliamo di connessioni stabili, costanti, con una banda minima garantita elevata e simmetrica, e non come invece vengono intese nella proposizione commerciale attuale. Già, perché il problema da analizzare nelle proposte commerciali non è soltanto la velocità ma la portata minima dei dati: è quella che ci impedisce di vedere eventi simultanei, come le partite di calcio nel caso di Internet. Firmare un contratto che assicura una connessione da 1Gbs, rispetto a una da 100Mbs, non è sufficiente a garantirci che in quel momento possiamo contare su una connessione dieci volte superiore, perché la velocità è statisticamente vera ma non costante. Per avere questa garanzia il contratto deve prevedere una clausola precisa riservata alla banda minima garantita. Ad esempio, un contratto simmetrico da 400 Mbs con banda minima garantita di 100 Mbs potrebbe costare molto di più di un normale contratto retail da 1 Gbs in quanto assicura una maggiore affidabilità di connessione, anche se questo dato non è comprensibile a chi si limita a leggere soltanto quello della velocità massima. Inizialmente, le connessioni erano più asimmetriche: alta velocità in ingresso e bassa velocità in uscita. Questo concetto non si adatta più al mondo attuale, dove lavorare su una applicazione di conferenza fra più persone implica anche una banda elevata in uscita. Parimenti la stessa esigenza si manifesta durante i giochi online, dove lo scambio dati in uscita – dovuto alla grafica – è elevato e veloce. È quindi facile pubblicizzare velocità da 1Gbs o addirittura da 10 Gbs se non si fa riferimento a questo parametro essenziale. Rifacendomi all’esempio iniziale, la portata teorica dell’acquedotto del nostro rione è mille litri di acqua al minuto? A prima vista sembrano tanti, ma se mille persone fanno la doccia alle 7 di mattina la portata sarà di un solo litro al minuto… Chi gestisce l’acquedotto può senz’altro dichiarare la sua portata di mille litri ma occorre sapere che questa è teorica e non garantita quando ci serve. Anche l’autorità è intervenuta sul punto, obbligando i service provider a evidenziare questo parametro per non dar vita a offerte non veritiere. Resta però il problema della mancata cultura degli utenti. Per ordine dell’autorità, tutte le società che vendono accesso alla Rete devono comunicare con chiarezza questo dato fondamentale, che in certe condizioni è il più importante. Ma anche in questo caso il cliente finale legge raramente questa clausola e spesso ne ignora il significato. Rimediando fregature. di Claudio Carnevale

venerdì 29 ottobre 2021

Conto corrente da chiudere in banca, quello che non sapevate: "Sanzione fino a 60mila euro"

29 ottobre 2021a a a Chiudere un conto corrente in banca a lungo è stato considerato un incubo. In realtà la pratica è facile e anche discretamente rapida, visto che in caso di lungaggini burocratica e lo stesso istituto di credito a rimetterci soldi. Per evitare brutte sorprese, basta avere qualche accortezza preliminare. Innanzitutto, c'è una differenza tra chiudere un conto corrente e dover invece trasferire i propri risparmi da una banca all'altra. In entrambi i casi, ovviamente, non c'è vincolo di durata e siete liberi di chiudere il vecchio conto in qualsiasi momento. Per una semplice chiusura sarà l'istituto stesso a prendere in carico le operazioni, una volta inoltrata la domanda. Se si tratta invece di una chiusura con passaggio di denaro a un nuovo conto, sarà la "nuova" banca a prendersi carico delle operazioni. Unica avvertenza: prima di chiudere il conto, dovete fare attenzione a non avere operazioni in sospeso, assegni non incassati, domiciliazioni di bollette non ancora addebitate, carte di spesa "agganciate" con addebito a fine mese. Una volta terminato il percorso di chiusura, dovrete riconsegnare fisicamente in banca libretto degli assegni, bancomat, carte di credito o ricaricabili. Sempre più clienti oggi si affidano a conti correnti online, senza filiali fisiche a cui appoggiarsi. Soluzione molto "smart" che paradossalmente, all'atto della chiusura, obbliga a un iter un po' più classico e laborioso: bisogna infatti inviare una raccomandata A/R contenente la richiesta di chiusura, il numero del conto da estinguere e, nel caso di passaggio a un'altra banca, il numero del nuovo conto. L'utente è in ogni caso decisamente garantito. L'operazione di chiusura è del tutto gratuita e senza commissioni (tutto frutto del decreto Bersani 223/2006 sulla libera concorrenza). Gli unici costi che vi potrebbero far "scalare" sono quelli per la gestione del deposito, ad esempio il canone mensile, l'imposta di bollo o eventuali interessi maturati. Anche sui tempi, niente da temere: la normativa europea sulla portabilità dei conti correnti del 2015 prevede la chiusura entro 12 giorni al massimo. In caso contrario gli istituti si ritroverebbero a dover pagare sanzioni che vanno dai 5.160 ai 64.555 euro.

Dieci consigli per lavorare in sicurezza da casa e in ufficio

Dieci consigli per lavorare in sicurezza da casa e in ufficio Proteggere la propria rete anche oltre la sede aziendale, diffidare dai messaggi sospetti, aggiornare sempre antivirus e sistemi operativi. Ecco come tutelarsi in tempi di smart working Il cybercrime è un po’ come il doping: cerca sempre nuove strade per frodare, costringendo istituzioni, imprese e utenti ad aggiornarsi. Proprio per questa continua rincorsa tra “guardie e ladri”, serve un approccio duplice: tecnologico e culturale. Due percorsi che si integrano, dal momento che a una risposta immediata e veloce di tipo tecnico si deve affiancare un’azione educativa, che aiuti a evitare errori tanto banali quanto pesanti per la sicurezza di utenti, dispositivi privati e aziende. I consigli per gli utenti La sfida contro i cyber-rischi è complessa, ma – per cominciare – bastano alcuni semplici consigli. 1. NON FIDARSI È MEGLIO Il vecchio adagio vale anche in un contesto iper-tecnologico come quello informatico: è necessaria grande cautela perché i cyber criminali puntano proprio su contenuti personali per l’utente (come piattaforme di e-commerce, banche, indirizzi dei colleghi). Meglio non fidarsi di e-mail e link sospetti, con testi in un italiano scorretto o con offerte “imperdibili”. Attenzione, soprattutto, a diffondere con leggerezza informazioni aziendali e personali. A una risposta immediata e veloce di tipo tecnico si deve affiancare un’azione educativa 2. BANDO ALLE PASSWORD PIGRE Consiglio semplice ma mai abbastanza seguito: utilizzate sempre password complesse, cambiatele spesso e non ripetetele su siti e servizi diversi. Evitate di usare nomi, cognomi, indirizzi di residenza, sequenze di caratteri deducibili dalla tastiera (come “qwerty” o “zaq12wsx”). Includete invece lettere maiuscole e minuscole, numeri e caratteri speciali. Anche la combinazione più sicura va poi usata in modo appropriato. Un esempio tipico, specie negli uffici, è quello di password e username appuntati in un documento sul desktop o attaccati al computer con un post-it. In questo modo si espongono (letteralmente) informazioni chiave. 3. PROTEGGETE RETI E DISPOSITIVI Oggi più che mai, con lo smart working sempre più diffuso e i dispositivi privati usati anche per lavoro, è fondamentale accedere ai sistemi aziendali solo con pc e stampanti protetti. Cambiate la password di base del wi-fi. Custodite computer e telefoni, bloccateli quando non sono in uso. Fate lo stesso con alcuni file sensibili: in questo modo sarà più difficile violarli in caso di smarrimento o furto dei device. Attenzione anche agli accessori: un virus può annidarsi in una semplice Usb senza autorizzazione aziendale, anche se appena acquistata. Le applicazioni malevole si spacciano spesso per programmi legittimi, come giochi, strumenti di lavoro e persino software antivirus 4. INSTALLATE SOLO SOFTWARE AUTORIZZATI Le applicazioni malevole si spacciano spesso per programmi legittimi, come giochi, strumenti di lavoro e persino software antivirus. La tattica è proprio questa: sfruttare la presunta utilità per far abbassare la guarda degli utenti. Per questo motivo è bene evitare di installare programmi non autorizzati o provenienti da fonti non verificate. Si tratta di una condotta raccomandabile sempre, ancora di più quando il dispositivo in questione viene utilizzato per lavoro. 5. AGGIORNARSI PER PROTEGGERSI Aggiornare costantemente i sistemi operativi e gli antivirus permette di tenere il passo degli hacker, sempre alla ricerca di nuove minacce da attuare. Soluzioni evolute come HP Wolf Security permettono di difendere gli endpoint personali, come pc e stampanti, fornendo applicazioni pronte all’uso in un ambiente di lavoro ibrido, tra casa e ufficio. I consigli per le imprese Adoversi muovere in uno scenario nuovo non sono solo gli utenti ma anche le imprese. Alcune azioni sono immediate, altre richiedono più tempo. Tutte sono fondamentali. 1. ANALIZZARE RISCHI E VULNERABILITÀ 
 Come prima cosa è fondamentale svolgere un’accurata analisi dei rischi e delle vulnerabilità in termini di asset, architettura IT e logica di business. Senza un quadro chiaro, non è possibile sapere cosa proteggere e come farlo. Un’analisi corretta è anche la base per adattarsi in modo rapido alle future minacce. In altre parole: non possono esserci prevenzione e cura senza diagnosi. 2. AVERE UNA STRATEGIA Nessuno può ignorare i cyber-rischi o provare a evitarli in modo artigianale. È necessario proteggere le reti da accessi non autorizzati attraverso strumenti specifici (come i firewall o altri sistemi anti-intrusione), assicurarsi che i servizi web (social network, cloud, posta elettronica) non compromettano il sistema e adottare soluzioni per la protezione dei singoli dispositivi, come Wolf di HP. Ogni connessione alla rete e ogni strumento che utilizziamo (anche se periferico o in apparenza marginale come una stampante) sono viatico di un potenziale attacco. Ogni impresa ha caratteristiche diverse. E la protezione deve calzare come un abito sartoriale 3. MIGLIORARE SULLA CULTURA AZIENDALE L’aspetto tecnologico è intrecciato con quello culturale. Le imprese devono quindi formare il personale in modo adeguato, stilando vademecum a cui tutti, in ufficio e in smart working, devono attenersi. È altrettanto prezioso creare e aggiornare di continuo l’inventario di sistemi, dispositivi, software, servizi e applicazioni informatiche adottate, sia in presenza che da remoto. 4. DARE UNA GERARCHIA Una strategia anti-attacco deve evolversi nel tempo ed essere reattiva. Diventa importante, quindi, nominare un referente responsabile per l’attività di gestione e protezione dei sistemi informatici. Per quanto riguarda dipendenti e collaboratori, è necessario assicurarsi che ogni utente possa accedere solo alle informazioni e ai sistemi di cui necessita. Quando non più utilizzati (ad esempio se un dipendente cambia lavoro) verificare che gli account siano disattivati: i cosiddetti “utenti zombie” sono, infatti, tra gli obiettivi più utilizzati dai cybercriminali. 5. CREARE UNA PROTEZIONE SU MISURA Ogni impresa ha caratteristiche diverse. E la protezione deve calzare come un abito sartoriale. In Italia, per esempio, che è il secondo Paese manifatturiero in Europa e il settimo al mondo, è particolarmente sentito il tema delle macchine industriali “cyber safe”, cioè dotate di tecnologie di monitoraggio che impediscano la trasmissione di malware. È solo un esempio che fa ben capire quanto le soluzioni debbano essere flessibi

Dalla nascita alle nozze, 14 certificati diventano digitali.

Colao: «Dalla nascita alle nozze, 14 certificati diventano digitali. Per la Fibra ottica pronti 4 miliardi» di Daniele Manca29 ott 2021 Colao: «Dalla nascita alle nozze, 14 certificati diventano digitali. Per la Fibra ottica pronti 4 miliardi» «Le cose stanno accadendo». Sono le parole a cui Vittorio Colao tiene di più in queste settimane. E non solo perché si è appena concluso il Consiglio dei ministri sulla manovra che, tra le altre iniziative, stanzia 250 milioni di euro per le competenze digitali degli italiani. Ma per il metodo «Palazzo Chigi», forse a lui per nulla estraneo da manager e consigliere di grandi multinazionali, che prevede di decidere gli obiettivi ma anche di seguirne passo dietro passo, settimana dietro settimana, l’attuazione. Traspare da parte del ministro, da persona che ha vissuto molto all’estero, la volontà di far capire soprattutto agli italiani che il nostro Paese può avere l’ambizione di essere in Europa «se non il migliore, tra i migliori tecnologicamente». Sa, gli italiani si convincono facilmente. Basta che vedano fatti concreti. «Uno lo vedranno in questi giorni. Dal 15 novembre per avere un certificato anagrafico non servirà più andare allo sportello: basterà sedersi al computer e scaricarlo. Senza nemmeno pagare il bollo, che in qualche caso arriva fino a 16 euro». Ma in tutta Italia da Milano a Palermo? «In tutta Italia e per 14 tipi di certificato, dallo stato civile alla nascita, al matrimonio, ecc. Liberiamo il tempo delle persone e di chi lavora. Con la ministra dell’Interno Lamorgese diamo un segnale al Paese che non è più tempo di scetticismi, le cose si possono e si debbono fare». Roba da Mago Zurlì. Un colpo di bacchetta magica e avete messo d’accordo gli 8 mila comuni con lo Stato? «Molto più semplicemente applichiamo un metodo di lavoro congiunto, che significa mettersi attorno a un tavolo, connettere iniziative tra loro, decidere le regole e stabilire chi fa cosa, coordinando tutto grazie alla tecnologia. Abbiamo coperto il 98% dei cittadini e i pochi piccoli Comuni che mancano li stiamo aiutando a salire a bordo». Se fosse così semplice… «Certo si deve avere lo scopo condiviso di fare accadere le cose appunto. Di collaborare ognuno per la propria parte. Con la ministra Lamorgese abbiamo lavorato insieme. Ma se avessimo preteso di imporre al ministero dell’Economia di togliere i bolli dai certificati avremmo oltrepassato i nostri confini di competenza. Assieme si è deciso invece che l’idea aveva senso, e il ministero dell’Economia ha visto la perdita di gettito seppur minima come un investimento per liberare anche risorse umane per i comuni. Con il ministero dell’Interno stiamo preparando novità anche per la carta d’identità digitale». Non è che ce ne siano molte in giro di carte d’identità digitale a proposito di modernizzazione… «Al contrario, abbiamo già 24 milioni di carte d’identità elettroniche. Non le sfuggirà che ci sono anche 25 milioni di italiani che usano lo Spid, l’identità digitale. E questo grazie anche a tutti i partner». Sulla Sanità digitale però siamo ancora fermi. «Vorrei dirle che non è così. Primo perché abbiamo una situazione disomogenea: una parte del Paese è più avanti persino rispetto ad alcune nazioni europee, un’altra arranca. E il tema è fare in modo che le regioni più lente accelerino per raggiungere quelle più avanti. Per questo insieme al ministro della Salute Speranza e alle Regioni abbiamo avviato due iniziative importantissime: l’architettura per i dati sanitari digitali e le piattaforme di telemedicina. E vogliamo che tutte le Regioni ne beneficino in 2-3 anni». Sempre che la rete tenga. Stiamo parlando di futuro? «No, perché a gennaio partiranno le gare per collegare 6,2 milioni di case con la fibra. E qualche settimana dopo le gare per sostenere e accelerare il 5G. Si potrà lavorare in videoconferenza da zone remote, con il 5G dai treni ma anche digitalizzare l’agricoltura o piccoli stabilimenti e laboratori». Ma tutto questo chi lo farà? «Anche qui, pubblico e privato lavorando insieme. Una volta stabilite le regole e il metodo tutto è più semplice. Certo solo per la fibra ottica, sul quale lo Stato ha pronti 4 miliardi da investire, significherà creare 10-15 mila posti di lavoro che dovranno concretamente posare e giuntare i cavi. Si tratterà di avere personale preparato. E nei bandi vorremmo privilegiare gli operatori che si saranno portati avanti in termini di formazione». Ma ogni Regione ha le sue agenzie per l’impiego e vuole avere una sua politica del lavoro… «Ancora una volta: l’autonomia è giusta e funzionale nell’ambito di un quadro di regole. Al proposito stiamo lavorando con la sottosegretaria del Mise Ascani proprio su questo, per non trovarci impreparati all’inizio dei lavori». Ma il rischio è come al solito che il Sud resti indietro. «Il governo nel suo insieme, e le ministre competenti in particolare, hanno ben presente che il Meridione deve cogliere quest’occasione di sviluppo. Delle 6,2 milioni di case, la metà sono al Sud. E anche le gare per il 5G potranno prevedere un’attenzione verso i treni, la mobilità, le zone scarsamente popolate. Nei prossimi mesi si inizierà a vedere quello che potrà essere il volto nuovo del Paese». E con un nuovo presidente della Repubblica? «Mi sembra irrispettoso parlarne, come ha ripetuto spesso il nostro presidente del Consiglio». La cosa però influirà. «Guardi, il governo oggi si preoccupa di fare in modo che le cose accadano come le dicevo. Questo è il nostro compito. Nell’incontro che ho avuto con la Vicepresidente Vestager l’Europa ci ha detto chiaramente che i tempi del Pnrr andranno rispettati assolutamente e senza proroghe». Perché vede un rischio ritardi? «No, io ogni lunedì chiedo a tutto il mio staff un rapporto sullo stato del rispetto delle scadenze che ci siamo dati. Immagino che anche i miei colleghi facciano lo stesso. Palazzo Chigi e il suo staff chiede e incalza ognuno di noi affinché il programma sia rispettato. Ripeto: il metodo sul Pnrr è essenziale». Ho capito ma l’Europa non ha mostrato molta flessibilità. «Vedere la Ue come matrigna o come bancomat è sbagliato. Semplicemente l’Europa ci impone un metodo. Nessuno si è chiesto da dove arriva il sistema che verifica quotidianamente i milioni di green pass? È grazie allo stimolo europeo se siamo stati al passo con gli altri Paesi su quel fronte. Da quanti anni ci veniva chiesto di avere una Agenzia per la Cybersecurity? Cinque anni? Ebbene in sei mesi il governo l’ha varata. Anche sul Cloud si sono superati gli scetticismi di chi pensava che non potessimo avere uno». Ma ancora non c’è infatti. «Abbiamo già approvato l’architettura delle regole con l’Agenzia, con livelli diversi di sicurezza. Abbiamo ricevuto proposte di partenariato. Si tratta solo di effettuare le valutazioni e con la gara si partirà a inizio 2022». Si parte verso? «Verso un Paese più innovativo, non solo più moderno. Verso la possibilità di imparare, lavorare e vivere meglio, con più opportunità per tutti ovunque in Italia». VITTORIO COLAO

giovedì 28 ottobre 2021

Vaccini Lombardia, terza dose: la regola dei 180 giorni e le prenotazioni anticipate, tutte le risposte ai dubbi

LA LOTTA AL COVID Vaccini Lombardia, terza dose: la regola dei 180 giorni e le prenotazioni anticipate, tutte le risposte ai dubbi Vaccini Covid, partite le prenotazioni per over 60 e pazienti fragili: 27 mila adesioni nel giorno di debutto. Profilassi antinfluenzale, il calendario delle registrazioni e un portale internet dedicato a partire dal 28 ottobre di Sara Bettoni Vaccini Lombardia, terza dose: la regola dei 180 giorni e le prenotazioni anticipate, tutte le risposte ai dubbishadow Partenza senza strappi per le prenotazioni delle terze dosi anti-Covid riservate gli over 60 e ai pazienti con elevata fragilità. Nella giornata di debutto, mercoledì 27 ottobre, 24.085 cittadini con più di 60 anni si sono registrati sul sito dedicato. A questi si aggiungono i clic di altri 3.483 lombardi fragili o anziani over 80, per cui le prenotazioni sono state già aperte nelle scorse settimane. In totale dall’inizio della terza fase a oggi circa 225 mila persone hanno richiesto tramite il sito l’iniezione «booster», che serve a rafforzare la risposta del sistema immunitario contro il virus. Non rientra in questi numeri la maggior parte delle somministrazioni sugli operatori sanitari e sui pazienti con basse difese immunitarie, che possono ricevere la puntura direttamente in ospedale senza registrazione. Escluse anche quelle agli ospiti in Rsa, fatte in struttura. A differenza della prima fase della campagna, ora le richieste viaggiano a un ritmo più contenuto, anche per il vincolo dell’intervallo di tempo. Medici, infermieri, fragili e over 60 devono attendere almeno 180 giorni dall’ultima somministrazione per ricevere la terza dose, mentre gli immunodepressi possono richiedere l’iniezione «addizionale», a completamento del ciclo vaccinale, già dopo 28 giorni dalla seconda puntura. Tenendo conto di questi paletti, la platea che può accedere alla terza dose al momento conta 545 mila persone over 60, che diventeranno un milione e mezzo il 30 novembre. Tra i cittadini c’è anche chi è frenato da alcuni dubbi. Ecco alcune risposte ai quesiti più diffusi. Quale vaccino anti-Covid si usa per la terza dose? Indipendentemente dal vaccino utilizzato per il primo ciclo vaccinale (Astrazeneca, Moderna, Pfizer, Janssen) si utilizza come dose «booster» esclusivamente vaccino a m-Rna. Al momento l’unico autorizzato è Pfizer. Il vaccino Moderna come dose «booster» è in via di approvazione. Quando va fatta la terza dose? A parte la terza dose «addizionale» per gli immunocompromessi, per tutte le altre categorie vige il periodo di 180 giorni dal completamento del primo ciclo vaccinale. Quindi non ci si può vaccinare prima che siano passati 180 giorni. Ci si può prenotare anche se non sono passati i 180 giorni? Sì, ma con questa avvertenza: il sistema accetta le prenotazioni solo di chi ha completato il ciclo vaccinale entro il 31 maggio. Le agende dei centri vaccinali sono infatti state aperte fino alla fine di novembre. Sono un over 60 che ha completato il ciclo vaccinale il 10 giugno, mi posso prenotare? Non ancora. Sono un over 60 che ha completato il ciclo vaccinale il 12 maggio, mi posso prenotare? Sì, ma il sistema mi offrirà una data successiva all’8 novembre (12 maggio più 180 giorni). La vaccinazione antinfluenzale Parallelamente alla campagna anti-Covid è già cominciata anche la profilassi antinfluenzale. Alcune categorie di cittadini hanno diritto all’iniezione antinfluenzale gratuita (over 65, fragili, donne incinte, bambini dai 6 mesi ai 6 anni). Se sono già coinvolti nella fase 3 della campagna anti-Covid, possono ricevere contemporaneamente entrambe le punture negli hub. Si può richiedere la profilassi di stagione anche al proprio medico di famiglia, se aderisce alla campagna. Già dal 15 ottobre i dottori hanno cominciato le somministrazioni, seppur continuino ad avere problemi con il portale gestionale. Come ulteriore possibilità dal 28 ottobre a mezzogiorno sarà possibile fissare un appuntamento solo per l’antinfluenzale tramite il sito dedicato (www.vaccinazioneantinfluenzale.regione.lombardia.it ). Non tutte le categorie a cui è garantita la puntura gratuita si potranno registrare subito. Ecco il calendario: - 28 ottobre cittadini a partire dai 65 anni di età -4 novembre soggetti ad alto rischio per patologia di tutte le età e donne in stato di gravidanza -9 novembre bambini dai 6 mesi ai 6 anni -15 novembre altre categorie previste dalla circolare ministeriale Gli altri cittadini potranno acquistare la dose in farmacia o richiederla in via privata. Se vuoi restare aggiornato sulle notizie di Milano e della Lombardia iscriviti gratis alla newsletter di Corriere Milano. Arriva ogni sabato nella tua casella di posta alle 7 del mattino. Basta cliccare qui.

domenica 24 ottobre 2021

Il governo (difficile) delle città

Ernesto Galli della Loggia Il potere effettivo di incidere che ha chi viene eletto per amministrare una città è sempre minore e chi vuol fare qualcosa si trova davanti un muro. Così i cittadini cominciano ad accorgersi che il loro voto è inutile Non è solo dei partiti la colpa della massiccia astensione registrata alle elezioni amministrative di qualche giorno fa. In misura maggiore la colpa va attribuita, a mio avviso, al perverso combinato disposto giuridico-burocratico italiano che domina ogni attività di governo. Che condiziona e immobilizza in una rete paralizzante qualunque potere nato dalle urne, a cominciare da quello degli amministratori locali. Condannando quindi tale potere a essere poco o nulla incisivo. Sicché le città che per antica tradizione godono di un buon governo continuano a farlo, le altre continuano con i loro problemi di sempre quasi sempre aggravati, e chi sia a governarle non fa all’incirca alcuna differenza. Certo, la crisi dei partiti esiste. Esiste la crisi della partecipazione che essi riescono (o meglio non riescono) a promuovere. Così com’è dei partiti la responsabilità per la scelta dei candidati. È evidente, ad esempio, che a Milano o a Roma non potevano essere certo in molti a sentirsi spinti ad andare alle urne per sostenere dei perfetti sconosciuti come i due aspiranti sindaci per il centrodestra, Luca Bernardo ed Enrico Michetti, che già dalla loro prima apparizione si portavano cucito addosso il triste abito dei perdenti. Sull’altro versante, quello dell’elettorato di sinistra, perché mai questo avrebbe dovuto accorrere in massa a sostenere il candidato della propria parte, vincitore arcisicuro contro le nullità di cui sopra? Giorgia Meloni e Matteo Salvini, non hanno perciò alcuna ragione di deprecare oggi la scarsa affluenza alle urne. Come si può pretendere, infatti, che i cittadini accorrano a partecipare con il voto a una gara nella quale manca qualunque competizione? Questa però è solo una parte della verità. La parte minore. Quella maggiore, come dicevo all’inizio, sta nel sempre minore potere effettivo di incidere che ha chi viene eletto per governare una città. Sta nella possibilità sempre minore di imprimere una svolta, di cambiare le cose che contano. C’è qualcuno davvero convinto, ad esempio, che il neo sindaco di Roma Roberto Gualtieri possa far funzionare la raccolta dei rifiuti della capitale, risolvere il problema drammatico del trasporto urbano e quindi del traffico, risanare le condizioni precarie di tanti edifici scolastici, dare un volto umano alle periferie abbandonate, preda del degrado e dello spaccio, far ripulire strade e tombini, liberare la città dagli stormi di gabbiani che se ne sono impadroniti, restaurare i parchi della città ridotti da anni ad una giungla? Sarebbe bello crederlo. Ma per farlo bisognerebbe prima rispondere a una domanda: tutti quelli appena elencati sono problemi che si trascinano da decenni; come mai ciò nonostante non solo non sono mai stati risolti, ma anzi sono andati sempre aggravandosi, nonostante che al Campidoglio si siano succeduti sindaci dal colore politico più diverso, da Rutelli ad Alemanno, da Veltroni a Virginia Raggi? Tutti incapaci? Tutti inadatti, tutti senza idee e voglia di fare? No di certo. Piuttosto, essendo tutti nell’impossibilità pratica di cambiare davvero (la costruzione di un auditorium è stato il massimo obiettivo raggiunto), quelli più scaltri hanno capito che allora conveniva dedicarsi solo ad operazione di pura facciata ma di immagine (tipo l’«estate romana»), mentre gli altri non hanno fatto neppure questo sprofondando sempre di più nelle sabbie mobili dell’impotenza e del discredito. D’altra parte, che gli stessi candidati sappiano benissimo, o intuiscano che una volta eletto nessuno di loro sarebbe in grado neppure lontanamente di guarire qualcuno degli storici mali della città, è testimoniato dal fatto che a proposito di tali mali nessuno di loro si sia azzardato a fare la minima proposta concreta. La loro campagna elettorale si è risolta in un mare di genericità, inevitabilmente anche abbastanza simili, in un elenco di problemi privi di qualunque indicazione precisa circa i modi e i mezzi per risolverli. In quante altre città d’Italia, mi chiedo, accade da molti anni la stessa cosa? Del resto la campagna elettorale prefigura la realtà. Nella realtà, infatti, il sindaco di una città come Roma (così come di tantissime altre) se vuol fare qualcosa si trova davanti un muro. Egli non ha la possibilità di tassare incisivamente niente e nessuno, non può licenziare nessuno degli addetti a macchine municipali che spesso sono rifugio di una miriade di mangiapane a tradimento, non può assumere al suo servizio nessuna competenza significativa e metterla in condizioni di operare; qualunque cosa si metta in testa di fare è ingabbiato in una selva di leggi e disposizioni di ogni genere che allungano a dismisura tutti i tempi di decisione e di esecuzione; quasi sempre non dispone neppure di servizi tecnici adeguati, e per finire deve convivere con una miriade di sigle sindacali quasi tutte fasulle (vedi a Roma la situazione dell’azienda per la raccolta dei rifiuti) che però gli rompono quotidianamente le scatole. Come ci si può scandalizzare, allora, se nella campagna elettorale i candidati si guardano bene dall’affrontare la complessità dei problemi, dal parlare di cose precise, e invece s’impegnano all’incirca tutti per gli stessi vaghissimi (e perlopiù improbabilissimi) traguardi? Ma precisamente questa è una delle malattie mortali della democrazia. Che insorge quando i cittadini cominciano ad accorgersi che il loro voto è inutile perché per mille motivi coloro che essi eleggono in realtà non riescono né a cambiare né a far nascere nulla; quando si accorgono che in realtà l’unico strumento di cui essi dispongono per migliorare la propria vita, e cioè la politica, non serve a questo ma solo ad assicurare il potere di chi la esercita. Forse l’antipolitica è quasi sempre solo la richiesta, in forme sbagliate, di una politica diversa. CORRIERE DELLA SERA TI PROPONE

sabato 23 ottobre 2021

ADDIO ALLO SPORTELLO - IL COLOSSO BANCARIO SPAGNOLO BBVA ARRIVA IN ITALIA MA SOLO IN VERSIONE DIGITALE: PROPORRÀ CONTI CORRENTI, CARTE E FINANZIAMENTI ONLINE, MA NIENTE FILIALI FISICHE

https://www.dagospia.com/rubrica-4/business/addio-sportello-colosso-bancario-spagnolo-bbva-arriva-italia-ma-287077.htm 22 OTT 2021 17:13 ADDIO ALLO SPORTELLO - IL COLOSSO BANCARIO SPAGNOLO BBVA ARRIVA IN ITALIA MA SOLO IN VERSIONE DIGITALE: PROPORRÀ CONTI CORRENTI, CARTE E FINANZIAMENTI ONLINE, MA NIENTE FILIALI FISICHE - SOLO IL 39% DEGLI ITALIANI USA INTERNET PER I SERVIZI BANCARI. C’È UN MERCATO ENORME DA RIEMPIRE O SIAMO RESTII A CAMBIARE LE NOSTRE ABITUDINI “ANALOGICHE”? - Carlotta Scozzari per “La Stampa” Filiali fisiche e sportelli bancari? «No, grazie» risponde il colosso spagnolo Bbva. Che, con una mossa che segna una distanza siderale dal Risiko bancario degli anni 2005-2006, sbarca in Italia proponendo servizi di conto corrente, carte e finanziamenti completamente digitali per i privati. «Possiamo offrire un'interfaccia con le persone 24 ore al giorno e sette giorni su sette, non serve una presenza fisica» ha spiegato Onur Genç, presidente e ad di Bbva, motivando così la scelta del nostro Paese: «L'Italia è un grande mercato, nel pieno di una profonda trasformazione digitale. L'ecommerce, il mobile banking e i pagamenti con carta hanno avuto tassi di crescita a doppia cifra negli ultimi anni, offrendo grandi prospettive di sviluppo per il futuro». A giudicare dai numeri, gli spazi per gli operatori digitali non sembrano mancare: secondo Eurostat, nel 2020, appena il 39% degli italiani ha utilizzato internet per servizi bancari, rispetto al 65% della Germania e al 62% della Spagna. «Il contesto bancario italiano - osserva Manuel Pincetti, senior partner Monitor Deloitte - ha da sempre evidenziato un ritardo rispetto agli altri Paesi europei nei comportamenti digitali. La pandemia ha accelerato il ricorso a canali online anche per soddisfare i bisogni bancari, spingendo la crescita di operatori puramente digitali. Il nostro osservatorio stima che a oggi in Italia ci siano 6,5 milioni di clienti di banche digitali, di cui circa un milione riconducibili a player internazionali "challenger" (che sfidano i grandi gruppi, ndr) recentemente entrati nel mercato». In effetti, sono numerosi gli operatori digitali italiani ed esteri, spesso definiti "fintech", che, grazie a strutture snelle con meno dipendenti e immobili di proprietà o in affitto rispetto alle banche tradizionali, si sono affacciati sul nostro mercato. Tra i principali c'è Hype, che rappresenta un mix tra un'app, un conto e uno strumento di pagamento, e che, forte di 1,5 milioni di clienti tutti in Italia, punta a raggiungere un valore delle transazioni di 5 miliardi di euro a fine anno. Poco più di un anno fa, Hype è diventata una joint venture tra Fabrick, piattaforma di "open banking" (basata cioè sulla condivisione di dati tra i vari attori del sistema bancario) del Gruppo Sella, e Illimity. E quest' ultima è la banca «ad alto tasso tecnologico», come si definisce, fondata dall'ex ad di Intesa nonché ex ministro dello Sviluppo Corrado Passera, che non soltanto commercia crediti deteriorati ma propone altresì finanziamenti e servizi di conto corrente e carte. Anche l'ex manager di Unicredit, Roberto Nicastro, ha di recente cofondato una fintech: Aidexa, che offre credito istantaneo e conti correnti alle piccole imprese, oltre che depositi a pmi e privati. Mentre, tra le grandi banche digitali estere attive da noi con servizi di conto e carte, ci sono la tedesca N26 e la britannica Revolut. In questo contesto, poi, molto gruppi tradizionali stanno "spingendo" sulla parte online, anche con marchi separati, come nel caso di Mps e Widiba. Insomma, un quadro in evoluzione che lascia pensare che, dopo Bbva, nuovi soggetti possano movimentare il panorama bancario digitale italiano. Nel frattempo, gli spagnoli escludono qualsiasi mossa sullo scacchiere delle fusioni e acquisizioni nostrane: sono lontani anni luce i tempi in cui si contendevano le filiali della Bnl con Unipol, per poi lasciare il campo libero a Bnp Paribas

venerdì 22 ottobre 2021

L’immunologo Signorelli: «Tornare a stringerci la mano? Troppo presto, cautela nei saluti»

L’immunologo Signorelli: «Tornare a stringerci la mano? Troppo presto, cautela nei saluti» di Margherita De Bac L’immunologo di Milano: «Serve prudenza, con baci e abbracci il virus contagia più facilmente». Immunità di gregge? «Siamo molto lontani» Troppo presto per ripristinare i saluti dei tempi normali? «Sì, non è ancora arrivato il momento, dobbiamo continuare a fare così». Carlo Signorelli, ordinario di igiene all’università Vita e Salute-San Raffaele, mostra i due gesti che ormai sono entrati nel nostro repertorio: il pugno chiuso con le nocche rivolte verso l’esterno, pronte a dare un lieve tocco. Il gomito alzato per sfiorare quello dell’altro. È d’accordo col presidente dell’Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro: non dimenticare il codice di comportamento stile pandemia? «Non si può fare altrimenti. In Italia la curva è in declino ma in Gran Bretagna, paese col quale abbiamo scambi intensi di persone, il numero dei contagi è preoccupante, circa 50 mila al giorno. In Russia la situazione è ancora peggiore, oltre 1000 morti in 24 ore, ma ne abbiamo poche notizie. In Belgio il ministro della sanità ha annunciato il pericolo della quarta ondata. Israele teme la quinta». Perché nel Regno Unito sta accadendo questo? «Gli inglesi sono stati i primi a vaccinarsi in Europa, prevalentemente nelle fasi iniziali col vaccino di AstraZeneca che ha una copertura inferiore a quella dei vaccini a mRNA, Pfizer e Moderna. Inoltre le misure di contenimento sono state revocate dalla scorsa estate». Noi invece possiamo evitare un nuovo rialzo di contagi in autunno-inverno, le stagioni dove si passa molto tempo al chiuso? «Certamente, abbiamo imboccato la strada giusta. Ora bisogna continuare a proteggere gli anziani, coinvolgendo quei pochi che non hanno ricevuto le due dosi e offrendo la terza dose a quanti fra hanno completato il primo ciclo e sono state indicate come categorie prioritarie per il rafforzo. Ma fondamentali restano i comportamenti individuali. Rispettarli non costa nulla e non compromette la normalità della vita sociale». Non cedere alla tentazione di stringere la mano? «Di per se il contatto tra le mani non è veicolo di trasmissione del virus. Il problema è che durante la giornata ci portiamo più volte le dita sul viso, negli occhi o vicino alla bocca. Se il virus ci fosse stato passato attraverso la stretta, potremmo contagiarci per via indiretta. Il rischio teorico c’é. Dopo ogni stretta di mano bisogna igienizzarle ambedue o lavarle con acqua e sapone per evitare sorprese». Baci sulla guancia e abbracci da rimandare? «Il rischio è maggiore rispetto a quello della stretta di mano in quanto in questo caso può avvenire un contagio diretto favorito dal passaggio di goccioline del respiro. Può esserci una trasmissione diretta». Baciarsi e abbracciarsi mantenendo la mascherina indossata? «No, è ugualmente lo stesso. La tendenza nella pratica è di togliersi la mascherina». Però una volta rientrati a casa le barriere cadono. «Ci sono ancora molti focolai domestici, contagi tra persone che abitano nella stessa casa. Dispiace dirlo ma dovremmo prestare attenzione anche in famiglia. Non l’abbiamo ancora scampata. Ci vuole cautela. Il virus circola e la quota dei non vaccinati lo portano in giro». Che cos’è l’immunità di gregge? «La definizione scientifica classica è la seguente: immunizzando una certa percentuale di popolazione, variabile da malattia a malattia, la circolazione del microrganismo viene annullata e quindi proteggiamo i non vaccinati». E la definizione applicata al Covid? «Nel Covid l’immunità oggi non si riesce a raggiungere per due motivi. Il primo: oggi non ci sono vaccini pediatrici autorizzati per under 12, quindi c’è una quota di popolazione che resta fuori. Secondo: i vaccini proteggono al 90% quindi anche tra gli immunizzati c’è chi prende l’infezione. I due elementi rendono immunità di gregge molto lontana ed è stato coniato il termine non scientifico di immunità di comunità: quando una larga fascia di popolazione è protetta, la ridotta circolazione virale evita le forme gravi a chi si ammala». CORRIERE DELLA SERA

domenica 17 ottobre 2021

La rivoluzione parte dalla blockchain. Ecco cos'è e come funziona

Dalle criptovalute al fantacalcio: una tecnologia che verrà sempre più usata e diventerà presto pop By Daniele Marazzina Blockchain Related Doodle Illustration. Modern Design Vector Illustration for Web Banner, Website Header CNYTHZL VIA GETTY IMAGES Blockchain Related Doodle Illustration. Modern Design Vector Illustration for Web Banner, Website Header etc. Il termine blockchain sta diventando sempre più popolare, sia per il suo accostamento al bitcoin, sia per l’impiego di questa tecnologia in campi sempre diversi, dalla tracciabilità della filiera alimentare ai giochi, come il fantacalcio. È notizia recente che la Bundesliga ha firmato un contratto per portare il suo fantacalcio su blockchain. In un fantacalcio digitale ogni utente può formare una propria squadra di giocatori, registrandoli su blockchain, e schierare la propria formazione, ottenendo punteggi basati sul rendimento reale degli atleti. Grazie alla blockchain, uno stesso giocatore non può essere usato da più di un utente, e questo porta ad un vero e proprio calciomercato digitale fra utenti: basti pensare che il “cartellino digitale” di Cristiano Ronaldo ha raggiunto la cifra di oltre 200 mila euro, cifra (reale) spesa da un utente per schierare il giocatore nella sua squadra (virtuale). Ma cos’è la blockchain? Iniziamo col dire che è un registro di operazioni finanziarie (in particolare di criptovalute), che presenta caratteristiche peculiari. Nel mondo odierno, come posso provare di aver inviato 100 euro ad un’altra persona attraverso, ad esempio, bonifico bancario? La risposta è semplice: con il numero identificativo del bonifico rilasciato dalla mia banca. Allo stesso modo, come posso essere sicuro di aver ricevuto 100 euro? Semplicemente vedendoli contabilizzati sul mio conto corrente. Fidandomi quindi di quanto riportato dalla mia banca. Il sistema bancario è un sistema centralizzato (le informazioni sono in possesso alla mia banca), basato sulla fiducia da parte dei cittadini nei confronti delle banche, con eventuali dispute risolte da terze parti (come i tribunali). È anche un sistema dove le informazioni sono “private”: le informazioni del mio conto corrente sono solo a disposizione mia e della banca. La blockchain è un registro di transazioni rivoluzionario: è un sistema decentralizzato, cioè non esiste una singola entità che possiede l’informazione delle transazioni, ma tale informazione è pubblica ed è posseduta da tutti; è un sistema che non richiede la presenza di una terza parte per risolvere eventuali dispute, dato che la blockchain è un software che contiene al suo interno un algoritmo che preserva le informazioni del registro – si parla di immutabilità della blockchain - e regola eventuali “dispute”, ovvero transazioni errate o tentativi di modificare vecchie operazioni vengono automaticamente bloccati; è un sistema dove l’informazione è pubblica, ma protetta da crittografia, tramite la quale io posso provare di essere l’autore o il destinatario di una transazione, ma nessuno può risalire alla mia reale identità. Ogni utilizzatore è infatti noto pubblicamente tramite uno o più pseudonimi, ed è impossibile risalirne alla reale identità. Questo preserva la privacy degli utilizzatori ma è anche il motivo per cui le criptovalute su blockchain sono usate anche per operazioni illegali, quali la richiesta di riscatti in seguito a furti o criptazione di dati. La prima blockchain è stata ideata e poi implementata da Satoshi Nakamoto (uno pseudonimo) nel 2009. Si tratta della blockchain del bitcoin, la più famosa criptovaluta, ma anche la prima criptovaluta basata sulla tecnologia blockchain. Ma cos’è il bitcoin? È una “moneta” digitale, la cui esistenza è legata all’affidabilità della tecnologia sottostante, che è appunto la blockchain. Infatti, il bitcoin (o meglio il satoshi, in quanto ogni bitcoin è suddiviso in 100 000 000 satoshi), in quanto digitale, non è altro che una sequenza di bit, un pezzo di codice, che non avrebbe alcun valore se non fosse possibile identificarne il possessore, o se fosse “semplice” per un hacker rubarne il possesso. Qui entra in gioco la blockchain: il possessore di un satoshi è l’utente il cui pseudonimo compare come destinatario nell’ultima transazione in cui quel satoshi ha cambiato proprietario. A questo punto, apparirà chiaro che la sicurezza del registro delle transazioni, che altro non è che la blockchain, è il punto chiave. E qui entra in gioco l’idea di Satoshi Nakamoto. Per prima cosa la blockchain è un software: chiunque può scaricarlo dalla rete ed installarlo sul proprio pc, diventando un nodo della blockchain (l’unico avvertimento è che al momento servono più di 300GB di spazio disponibile). Le informazioni sulle transazioni sono registrate in alcuni blocchi della blockchain (oltre 700 000), ordinati in maniera cronologica, e non è possibile “staccarli” o cambiarne l’ordine. Ecco il perché del nome blockchain, ovvero catena di blocchi, e perché si parla di immutabilità della blockchain. Ogni nodo della blockchain memorizza tutti i blocchi: ad oggi si stima che siano almeno 10 000 i pc che hanno in memoria la blockchain di bitcoin, tenendola aggiornata, cioè memorizzando continuamente i blocchi contenenti le nuove transazioni, che si legano ai precedenti. Per queste ragioni si parla di database distribuito. Senza entrare nei dettagli, Satoshi Nakamoto ha ideato la costruzione di un database distribuito tale che: la costruzione dei nuovi blocchi viene fatta dai “miner”, i minatori che costruiscono i blocchi collezionando le nuove transazioni. Lo fanno risolvendo un problema computazionalmente complesso (proof of work), spendendo risorse in hardware ed energia, ma ricevendo in cambio una ricompensa in bitcoin; una volta che un blocco viene creato, viene inviato a tutti i nodi della blockchain. Può succedere che due miner creino blocchi nuovi contemporaneamente. Questo produce una “fork” (biforcazione) della catena di blocchi, in quanto alcuni nodi ricevono il blocco del primo miner prima di quello del secondo, altri invece il viceversa. Siccome la blockchain deve essere unica, il software gestisce automaticamente queste situazioni, considerando solo la versione della blockchain memorizzata nel 50% più uno dei nodi o quella più lunga, cioè con più blocchi, e quindi eliminando automaticamente la vecchia. E la remunerazione viene data solo al miner che ha creato il blocco mantenuto. La remunerazione dei minatori è il motivo principale per cui la blockchain di bitcoin è considerata immutabile, e quindi sicura: il minatore che crea un blocco oggi ottiene oltre 6 bitcoin, oggi pari a 250 000 dollari. Potete immaginare quanto questa remunerazione produca una “gara” fra i minatori nel riuscire a creare un blocco valido, e propagarlo all’intera rete prima di tutti gli altri competitor. Se un miner malevolo volesse, ad esempio, cancellare una vecchia transazione, contenuta in un vecchio blocco, dovrebbe “convincere” almeno il 50% più uno dei nodi che la sua versione della blockchain è quella giusta, scontrandosi con quella su cui molti miner stanno lavorando per aggiungervi nuovi blocchi… cosa possibile solo se costui è in possesso di una capacità hardware notevolmente superiore ai miner competitor. L’elevata remunerazione assicura quindi che ci sia un numero elevato di miner interessati a competere per creare un blocco, scoraggiandone altri ad agire disonestamente: se infatti un miner malevolo fosse in grado di “battere” gli altri miner, invece di cercare di corrompere la blockchain, potrebbe usare la sua tecnologia per creare blocchi validi, guadagnando, in modo onesto, l’elevata remunerazione. Ma per quali applicazioni si può usare la blockchain al di fuori del “semplice” registro di transazioni? Un primo esempio è quello della “notarizzazione”. Ipotizziamo di voler prevedere il risultato di una partita di calcio, e di voler provare a chiunque che la previsione è stata fatta prima della partita: potrei scrivere sulla blockchain una transazione da me a me, anche di 0 bitcoin, scrivendo in un campo di testo libero (come se fosse lo spazio della causale di un bonifico) il risultato della partita. A questo punto posso provare i) di aver scritto la transazione – tramite prova crittografica, ii) che è stata scritta prima della partita, in quanto le transazioni sono tutte accompagnate da un timestamp, cioè da informazioni sull’esatto momento in cui la transazione viene effettuata. E l’immutabilità della blockchain garantisce la correttezza dell’informazione. Come il bitcoin non è l’unica “moneta” digitale, così la sua blockchain non è l’unico tipo di blockchain: ne esistono molte altre, alcune simili a quella di bitcoin, altre con importanti differenze. Esempi sono ethereum e algorand, blockchain che permettono “smart contract”, cioè contratti intelligenti che permettono scambi di criptovalute in maniera automatica. Pensiamo ad uno smart contract di tipo assicurativo, ad esempio sui ritardi degli aerei, in grado di inviare il pagamento automaticamente nel caso in cui il nostro volo sia in ritardo: nessun reclamo da fare, nessun assicuratore da contattare, tutto fatto da un codice “smart”. La blockchain non ha ancora mostrato tutte le sue potenzialità, ha ancora molte sfide da affrontare (sostenibilità, interoperabilità con altri sistemi, scalabilità a molte operazioni) per dimostrare di essere quella tecnologia “disruptive” in cui molto credono. VISITA IL SITO DEL QFINLAB

sabato 18 settembre 2021

Chi può parlare in nome di Dio

di Michele Serra PER POSTA Le religioni sono un gigantesco lascito culturale, un monumento alla storia umana, ma hanno il tragico difetto di presumersi “verità rivelata” 17 SETTEMBRE 2021 Caro Serra, Bergoglio, diffondendosi sulla Lettera di Paolo ai Galati, afferma che l’Alleanza con Dio (cosa per me misteriosa: quando è successo?) precede la Legge, cioè la Torah. I casi sono due: o l’affermazione è falsa, e allora si può capire il risentimento del Rabbinato, oppure è vera, e allora non lo si capisce. Ora, mi sembra che la contestazione non riguardi la veridicità dell’affermazione, ma le sue conseguenze. Cioè l’universale ritrosia a sorvolare sul vero, se minaccia la propria ragione di esistere. Non c’è dubbio che l’affermazione di Bergoglio relativizzi la Torah. Lui però si guarda bene dal farlo per il Vangelo, che andrebbe altrettanto relativizzato. Per non parlare del Corano. Le conseguenze di questa mancata relativizzazione sono macroscopiche e inquietanti. Cominciamo dalla posizione della donna. Difficile dare la palma a chi fa peggio. Niente donne preti, rabbini o imam. Discriminazione o separazione nei luoghi di culto. Celibato dei preti cattolici (il sesso è contaminazione). Impurità della donna durante il mestruo, ecc. L’Islam va ben oltre e forse merita la palma del peggio. Poi ci sono le regole alimentari (qui bisogna assolvere il Cristianesimo). Queste regole non sono affatto “religiose”, bensì politiche. Legate al tempo in cui le tre religioni sono state create. Andrebbero relativizzate, cioè accantonate. La Torah, il Vangelo, il Corano andrebbero messi da parte in tutti quegli aspetti anacronistici e divisivi che hanno fatto danni immensi, e continuano e continueranno a farne. Il fatto è che chi detiene il potere delle tre religioni fa delle regole, per assurde che siano, la ragione stessa della propria esistenza, e la base del potere. Per me, essendo ateo, il problema non si pone, e forse per questo non capisco. Ma sono certo che senza religioni il mondo sarebbe migliore. Sergio Grifoni Caro Grifoni, spero di avere tagliato la sua lunga lettera senza fare troppi danni. Ho seguito distrattamente la disputa sulla Torah, le questioni teologiche non mi appassionano, forse è un mio limite. Le religioni sono un gigantesco lascito culturale, un monumento alla storia umana, ma hanno il tragico difetto di presumersi “verità rivelata”, parola di Dio, Verbo, essendo una costruzione degli uomini. Dice il parroco di Bonassola, don Giulio, che le religioni sono “acquisizioni provvisorie”, mi pare una definizione magistrale. Chissà che anche questo Papa, in cuor suo, non pensi la stessa cosa, e cioè che la religione è domande e non risposte, ricerca e non certezza, umiltà e non arroganza; ma non possa dirlo perché ha già abbastanza grane “politiche” con i conservatori, e sa che “storicizzare” il Libro potrebbe distruggere la Chiesa.Certo sarebbe migliore un mondo nel quale Bibbia, Torah e Corano fossero solo libri, e non il Libro, e nessuno osi mai più parlare nel nome del Vero Dio, arrogandosi il potere di rappresentarlo. Ma non credo che lo vedremo, se non in tempi lunghissimi. La paura, la solitudine, la soggezione al dolore e alla malattia rendono gli uomini fragili. Le grandi religioni, nei millenni, hanno al tempo stesso assoggettato e sorretto gli esseri umani. Li hanno fatti sentire parte di grandi comunità. Hanno organizzato eserciti, indetto crociate, invaso e sottomesso continenti, ma anche organizzato assistenza, ordini monastici, ospedali, centri culturali. Io sto con Giordano Bruno e con Baruk Spinoza, ma la libertà di pensiero, ahimé, è un lusso per avanguardie: le masse si affidano, da sempre, a criteri più facili e rassicuranti, che in cambio dell’obbedienza ti liberano dal peso del dubbio. Piuttosto, è dalla questione maschio/femmina, che lei sottolinea, che possiamo aspettarci (non noi, i posteri) novità molto rilevanti. Le tre religioni di Abramo sono costruzioni patriarcali. Non ci sarebbe patriarcato senza di loro, non ci sarebbero loro senza patriarcato. L’idea che la donna non appartenga più all’uomo e si autodetermini, o possa esercitare il potere alla stessa maniera dei maschi, figliare con chi lei vuole, o non figliare affatto, viene vissuta con vero e proprio terrore soprattutto dall’Islam. In maniera più articolata dal Cristianesimo, molto più avanti nella sua emancipazione anche perché lo sono le società nelle quali è la religione egemone. La breve lettera che segue fornisce, in proposito, qualche istruzione. Sul Venerdì del 17 settembre 2021

martedì 14 settembre 2021

Lenti per la presbiopia e l'astigmatismo

Lenti per la presbiopia e l'astigmatismo Minore dipendenza dagli occhiali. Contestualmente alla cataratta è possibile che siano presenti anche altri difetti visivi come astigmatismo e problemi a vedere da vicino (presbiopia). In questo caso, scegliendo, in accordo con il vostro medico, una lente per la presbiopia e l’astigmatismo potreste ridurre l’utilizzo degli occhiali, tornando a vedere nitidamente a tutte le distanze. Lenti per la presbiopia e l'astigmatismo: una soluzione per tutte le problematiche Se siete astigmatici (ovvero avete problemi di messa a fuoco delle immagini) e presbiti (ovvero avete difficoltà nella visione da vicino), una lente intraoculare per la presbiopia e l’astigmatismo potrebbe essere l’opzione giusta per voi per recuperare un range di visione completo. Parlate con il vostro oculista di fiducia Se siete interessati a correggere la presbiopia e l’astigmatismo, chiedete al vostro chirurgo se questo tipo di lente fa al caso vostro.

lunedì 13 settembre 2021

Punto G e Punto A, cambia tutto sotto le lenzuola: così la donna prova davvero piacere a letto

Esplora: punto g punto a orgasmo orgasmo femminile vagina vulva 13 settembre 2021a a a Il Punto G non esiste. Rischia di sgretolarsi una delle poche (misteriose) certezze maschili sulla donna e l'orgasmo. Non solo. Uno studio realizzato da Essity in collaborazione con l'Istituto nazionale AstraRicerche mette in luce anche come tra gli uomini sia grande la confusione sull'anatomia femminile: solo il 31% sa che vagina (la parte interna) e vulva (quella esterna) sono due organi differenti. Una questione però che potrebbe spiazzare le stesse donne, visto che non tutte sapranno come la vagina riesca a pulirsi da sola, producendo fluidi in grado di "neutralizzare" le cellule morte, e che alcuni prodotti di igiene intima, se mal usati, possono addirittura danneggiarla aumentando il rischio di fastidiose irritazioni. Altri miti da sfatare: non esistono vagine uguali. Varia la misura media (8 centimetri, fino a 10 in caso di eccitazione), così come cambiano le dimensioni delle labbra (da 3 a 7 centimetri), e durante il rapporto sessuale propriamente detto l'organo sessuale femminile (che va dalla cervice all'imene) può aumentare addirittura del 200 per cento. Per "vulva", invece, va intesa solo la parte esterna: monte di Venere, clitoride, uretra, labbra e pube. Capitolo orgasmo femminile, quello che assilla di più i partner maschili. Come riportato da Lorena Sironi per www.it.yahoo.com, secondo uno studio del 2008 realizzato dalla South Illinois School of Medicine su 52 donne che soffrivano di emicrania, è emerso come 16 di loro avessero registrato un significativo miglioramento del dolore dopo l’orgasmo. E il famoso, o famigerato, Punto G? Nel 2008 ricercatori italiani hanno scoperto che molte donne sono "sprovviste" della zona erogena, mentre nel 2020 uno studio pubblicato dall'American Journal of Obstetrics and Gynecology condotto da Terence M. Hines (Pace University) ha messo in dubbio la certezza consolidata secondo cui basterebbe toccarlo o stimolarlo per garantire l'orgasmo alla donna. Insomma, il gioco si fa sempre più duro, anche perché in tempi più recenti è entrato in gioco il cosiddetto "Punto A": per facilitare il piacere alla partner. bisogna cercare di stimolare i dintorni della fornice anteriore, all’estremità della vagina di fronte alla cervice. Buona fortuna.

sabato 11 settembre 2021

Superbonus: come rifare infissi e verande senza spendere

11 settembre 2021 Esplora: superbonus superbonus 110% cappotto termico edilizia Condividi: Non solo cappotto termico e pannelli solari. Anche finestre e verande rientrano nel superbonus al 110%. Per ottenere il beneficio, però, servono alcuni accorgimenti. Innanzitutto per avere l’agevolazione fiscale l’intervento, di tipo trainato ovvero agganciato ai lavori principali, deve essere fatto in sostituzione di infissi già presenti. I nuovi infissi devono avere superficie pari a quelli sostituiti e chiudere vani riscaldati che si affacciano sull’esterno o su altri vani non riscaldati. è possibile modificare la forma degli infissi ma la superficie finale deve essere la stessa di quelli di partenza. C’è poi una tabella di trasmittanza termica che deve essere rispettata. Il che significa che devono essere coibentati o sostituiti i cassonetti delle finestre in cui si trovano gli avvolgibili.

mercoledì 8 settembre 2021

Guida al superbonus

di Giorgio Spaziani TestaGiorgio Spaziani Testa 6 Settembre 2021, 8:31 superbonus 110 I nuovi dati forniti dall’Enea e dal Ministero della transizione ecologica indicano che la detrazione del 110% per gli interventi di efficientamento energetico degli edifici (il cosiddetto super-ecobonus) inizia ad essere utilizzata, anche se i condominii interessati non arrivano a 5 mila in tutta Italia. Non solo green L’auspicio è che anche i lavori di miglioramento sismico (il cosiddetto super-sismabonus) riescano – a più di un anno, ormai, dal varo dell’incentivo del 110% – a decollare. In un Paese con la conformazione territoriale dell’Italia, infatti, gli interventi finalizzati alla sicurezza degli immobili hanno perlomeno pari importanza rispetto a quelli di tipo energetico, e in molte zone certamente superiore. Per dirla più chiaramente: il “green” è bello, di tendenza e piace alla gente che piace, ma in Italia esistono intere aree (si pensi alla fascia appenninica, ma è solo un esempio) che hanno bisogno di interventi antisismici, prima ancora che di risparmio energetico. Siamo diversi dalla maggior parte degli altri Paesi d’Europa, insomma, e ne subiamo un po’ troppo – non da ora – le influenze sul piano delle politiche energetiche. Difetti del superbonus Tornando al superbonus, questa misura soffre di alcuni difetti di fondo: per alcuni di essi – come l’obbligo della doppia conformità urbanistico-edilizia e la questione dei piccoli abusi (es. verande) – si è tentato di porre rimedio con il “decreto semplificazioni”. Altri sono tuttora presenti, come le lungaggini nelle procedure per la cessione del credito e le difficoltà nel reperimento di imprese disponibili allo sconto in fattura. C’è poi il delicato tema dei controlli: per un intreccio fra disposizioni diverse e una recente sentenza della Cassazione, i proprietari rischiano di subire contestazioni dall’Agenzia delle entrate, magari per un errore involontario, anche 13 anni dopo l’avvio dei lavori. Un tempo francamente eccessivo, che non può non scoraggiare chi si accinge ad attivare le complesse procedure previste. Peraltro, va detto che il nuovo modello della Cila-Superbonus, reso disponibile agli inizi di agosto, e che recepisce le novità apportate dal “decreto semplificazioni”, rende più agevole l’accesso all’incentivo, nella maggior parte dei casi bloccato dall’impossibilità di ottenere le certificazioni di regolarità urbanistica-edilizia degli immobili. Il fatto che il modulo sia stato approvato con celerità farà sì che le assemblee condominiali potranno affrontare la fattibilità degli interventi connessi al superbonus con un’ottica diversa. In vista della legge di bilancio, comunque, è importante richiamare l’attenzione sulla necessità di rinnovare tutti gli incentivi per gli interventi sugli immobili, per ciascuno confermando la possibilità di avvalersi della cessione del credito e dello sconto in fattura. Le altre detrazioni (come, ad esempio, quella del 90% per i lavori sulle facciate) non sono infatti meno importanti del superbonus, specie considerando tutti quegli immobili (in genere, quelli non abitativi) e quei soggetti (si pensi alle società) che non possono accedere al 110%. Dopodiché, quando l’esperienza del superbonus – necessariamente – avrà termine, occorrerà porre mano a un riordino e a una stabilizzazione dell’intero sistema degli incentivi, così da dare certezze a proprietari, professionisti e imprese e, al contempo, non dar adito a quelle tensioni sul mercato (in termini di aumenti dei prezzi, ma anche di indisponibilità di materiali e di manodopera) che l’esperienza di questi mesi ci ha mostrato in modo evidente. Giorgio Spaziani Testa, 5 settembre 2021

martedì 7 settembre 2021

Un nuovo studio conferma l'efficacia del vaccino. Dibattito chiuso

ilfoglio.it CATTIVI SCIENZIATI Un nuovo studio conferma l'efficacia del vaccino. Dibattito chiuso ENRICO BUCCI 07 SET 2021 E’ vero, la protezione da una variante molto infettiva come la Delta decade in alcuni mesi, ma le decine di milioni di infezioni risparmiate in Inghilterra e l’efficacia della terza dose in Israele sciolgono ogni dubbio Burioni: "Vaccinati contagiano come non vaccinati? Bugia" Boris Johnson valuta se vaccinare i ragazzi anche senza il "sì" degli esperti Un nuovo report del servizio di sanità pubblica inglese (Public Health England, Phe), appena rilasciato, contiene dati dettagliati circa l’efficacia dei vaccini contro la variante Delta del coronavirus. Sebbene ne abbiamo discusso molte volte, ogni nuova fonte di dati va considerata perché rafforza la base da cui partire in ogni scelta politica circa le misure di contenimento, gli obblighi da imporre ai cittadini, le campagne vaccinali eccetera. Dunque, vediamo: innanzitutto, considerando l’andamento dei casi tra i vaccinati e i non vaccinati fino alla prima metà di giugno, e mettendo insieme gli effetti dei quattro vaccini autorizzati in Inghilterra, il Phe riporta una capacità di prevenzione dei sintomi pari al 79 per cento (in un intervallo di confidenza al 95 per cento compreso fra il 78 e l’80 per cento) e una capacità di prevenire le ospedalizzazioni straordinaria, perché pari al 96 per cento (in un intervallo tra il 91 e il 98 per cento). A livello di popolazione, il Phe inglese stima che fino al 20 agosto siano state evitate dai vaccini in Inghilterra 24.088.000 infezioni, oltre 143.000 ospedalizzazioni e 105.900 morti; visto il periodo considerato, queste stime includono l’effetto dei vaccini sulla variante Delta, e danno un’idea del danno che una campagna vaccinale vigorosa come quella inglese ha potuto evitare al Regno Unito. In merito, i calcoli del Phe, basati sui dati osservati, lasciano pochi dubbi: in una serie di grafici pubblicati a pagina 21 del report, si nota l’enorme protezione offerta dai vaccini anche in tema di infezioni a partire da aprile e compreso il picco registrato a luglio, nel pieno dell’esplosione dell’epidemia da variante Delta. E’ ovvio che la protezione non è totale; ed è probabile che nel caso delle infezioni non sia alta come in precedenza; tuttavia, il combinato di diminuzione della probabilità di infezione e diminuzione della probabilità di trasmissione per i soggetti vaccinati costituisce evidentemente un fattore ancora decisivo, visti le decine di milioni di infezioni prevenute (per non parlar del resto). D’altra parte, che la protezione dei vaccini contro l’infezione della Delta non sia azzerata lo conferma anche un ampio studio di popolazione condotto in Norvegia, appena pubblicato: si nota in questo caso come il tasso di protezione “crudo” dall’infezione sia pari a circa l’86 per cento, mentre quello corretto per una serie di fattori di rischio di infezione (età, provenienza geografica, sesso e altri) è di circa il 65 per cento; questo vuol dire che le infezioni fra i vaccinati da parte della variante Delta sono pari a un terzo di quelle che avvengono fra i soggetti non vaccinati; e siccome il tasso di trasmissione dai vaccinati ad altri soggetti è ridotto (a causa della molto ridotta durata della finestra di infettività), è evidente che, globalmente, a livello di popolazione la protezione è buona, anche se non pari a quella offerta contro le varianti precedenti. Il punto, naturalmente, è che tanto in Norvegia quanto nel Regno Unito è trascorso in media un tempo ridotto dalla seconda dose, rispetto a quanto non sia avvenuto in stati come in Israele; in quel paese, infatti, la protezione sembra essere minore in maniera proporzionale alla distanza intercorsa tra l’esposizione al virus e il completamento della vaccinazione, spiegando così perché gli Israeliani siano rimasti mediamente più esposti all’arrivo della variante Delta. La decadenza dell’immunità sterilizzante in alcuni mesi (ma non della protezione clinica) sembra quindi essere il fattore decisivo nello spiegare quello che è successo e sta succedendo in presenza di una variante molto infettiva come la Delta; e che questo possa essere il fattore determinante, del resto, lo dimostrano i dati rilasciati in un preprint dagli Israeliani, dati che mostrano come il ripristino dell’immunità sterilizzante attraverso una terza dose di vaccino Pfizer sia sufficiente a recuperare l’efficacia del vaccino a livelli molto alti, anche contro la variante Delta. A questo punto, sembra proprio che tutti i pezzi del puzzle vadano a posto: i vaccini sono efficaci (tutti), ma la protezione dall’infezione decade in alcuni mesi; questo fattore, molto più importante della pur presente immunoevasività della variante Delta, è evidente studiando l’effetto di campagne vaccinali avvenute in tempi diversi in paesi diversi, rispetto al momento di arrivo della variante delta in quei paesi; infine, le decine di milioni di infezioni risparmiate in Inghilterra, oltre a ospedalizzazioni e morti, e l’efficacia della terza dose in Israele dovrebbero costituire, nel loro insieme, un richiamo abbastanza forte per smetterla di porre domande circa l’efficacia dei vaccini, come se non si fossero ottenute risposte.

lunedì 6 settembre 2021

Il Cattolicesimo europeo sopravvivrà al 21esimo secolo?

RELIGIONI / Emanuel Pietrobon 6 SETTEMBRE 2021 Si dice che le religioni non muoiano mai veramente, ma che, una volta passate a miglior vita, si trasformino in mito. Un mito affascinante, che continuerà a stuzzicare la fantasia degli Uomini nei secoli a venire, ma nulla di più. E l’umanità, di religioni vivificanti relegate all’ambito della mitologia, e divenute il pasto di bambini, scrittori e sceneggiatori, ne ha viste parecchie: dall’atonismo egiziano al mitraismo, e dal paganesimo celtico al politeismo greco-romano. Le religioni, come ogni altro fenomeno umano, nascono, crescono, maturano e muoiono. Che siano rivelate e dogmatiche poco importa: sfioriscono con lo scorrere della sabbia nella clessidra – appassendo in un arco temporale che può durare dai decenni ai secoli –, accompagnando, di solito, la decadenza e/o la trasformazione radicale dei popoli, delle nazioni e delle civiltà che hanno dato loro i natali. Nel caso dell’Occidente, che a partire dalla Rivoluzione francese è entrato in un lento ma inesorabile processo di scristianizzazione, il destino del Cristianesimo, ed in particolare del Cattolicesimo, sembra essere segnato. Perché numeri e fatti sembrano suggerire che il tempo della Chiesa cattolica, l’Ultimo impero sopravvissuto alla fine del sistema europeo degli stati, stia per esaurirsi; perlomeno tra Vecchio Continente, Oceania e Americhe. Il tramonto della Chiesa in Occidente L’involuzione del Cattolicesimo da religione vivificante (e viva) a mito avvincente (ma morto) sta avendo luogo nonostante la sua intrinseca straordinarietà. Perché questa fede, che dopo la morte di Cristo avrebbe dapprima modellato le civiltà dell’Europa e dipoi assunto la forma di una religio mundi dall’impatto unico e inarrivabile – soltanto l’Islam ha esercitato un’influenza simile, sebbene di gran lunga inferiore, sulla storia dei popoli della Terra –, sembra aver perduto quelle capacità autorigenerative che, per quasi due millenni, le hanno permesso di rinascere dopo ogni tribolazione. Il messaggio evangelico prospera e si diffonde tra Africa e Asia, specie nelle terre al di sotto del Sahara e nella sinosfera, ma stagna in Oceania ed è in vistosa ritirata in Europa, quella realtà storico-geografica che più di ogni altra ha cullato, ossequiato e difeso il Verbo. E quando si scrive e si parla di ritirata del cattolicesimo dal Vecchio Continente il riferimento non è soltanto al calo dei fedeli, ma anche alla crisi della Chiesa come istituzione – crescentemente travolta da scandali, preda di un diminuendo di nuove reclute e afflitta dalla corruzione morale del proprio clero. I numeri della decattolicizzazione dell’Europa Lo stato di salute della Chiesa cattolica è precario da parte a parte del Vecchio Continente, che risulta diviso tra società avviate verso la scristianizzazione, come la Francia dei record cristofobici e la Gran Bretagna della riscrittura dei vocabolari, alcune saldamente incamminate verso un’età postcristiana, come l’Irlanda e il Portogallo, altre ai primordi di una turbolenta secolarizzazione, come la Polonia, e talune potenzialmente destinate all’islamizzazione, come Svezia e Germania. Numeri e fatti, relativi ai sopraccennati Paesi e ad altri ancora, possono essere utili ai fini della comprensione dell’attualità e del possibile futuro del tramontante cattolicesimo europeo: La frequenza alla messa domenicale è al di sotto del 10% nella stragrande maggioranza del Vecchio Continente, con gli ipogei registrati in Francia (3–4%) e Paesi Bassi (6%). La partecipazione alla messa domenicale varia a seconda dell’età, con la fascia 16–29 anni che, ovunque, risulta più orientata all’ateismo, all’appartenenza per cultura e al credere senza praticare rispetto alle precedenti generazioni. Le percentuali più basse si riscontrano in Belgio (2%), Ungheria (3%), Austria (3%), Lituania (5%) e Germania (6%). Il 60% dei giovani appartenenti alla fascia 16–29 anni di Spagna, Paesi Bassi e Belgio non frequenta mai la messa domenicale. Il numero dei preti in servizio è calato drasticamente in tutta Europa, complice la crisi delle vocazioni, con la prestazione peggiore – per dimensioni complessive – registrata in Francia. Qui, invero, i preti sono passati dai 49.100 del 1965 agli 11.350 del 2017. Ridimensionamento delle comunità di fedeli e carenza di clero stanno conducendo, ovunque, alla chiusura dei luoghi di culto, i quali, sulla base della rilevanza culturale rivestita e del patrimonio artistico contenuto, possono andare incontro a due destini: musealizzazione o adibizione ad uso profano. In Francia, uno dei Paesi più interessati dal fenomeno della riconversione dei luoghi di culto cattolici, ogni anno vengono riadattate ad uso commerciale e/o demolite tra le 40 e le 50 chiese. L’aumento dei crimini d’odio di stampo cristofobico fa da sfondo alla graduale scomparsa dei campanili dai paesaggi urbani dell’Europa. Sono stati 3mila in tutto il continente nel 2019, un terzo dei quali nella sola Francia (1.052). Un fato inevitabile? I numeri della scristianizzazione del Vecchio Continente descrivono una tendenza consolidata, che a partire dal Duemila è cresciuta di intensità e velocità, e contro la quale le chiese, fino ad oggi, non hanno trovato rimedio. Palliativi come la temporanea rinuncia ai cosiddetti “valori non negoziabili” nel nome del dialogo con le forze della modernità, come i partiti politici di ispirazione liberal-progressista, si sono rivelati controproducenti nel migliore dei casi e dannosi nel peggiore. Ugualmente disutili si sono dimostrate le campagne per la “nuova evangelizzazione”, rivolte ai giovani, lanciate nel dopo-guerra fredda sia dai cattolici sia dai protestanti. Non tutto è perduto, comunque. Perché la storia, che è maestra di vita, (ci) insegna che l’imprevedibile e l’inaspettato, spesso e volentieri, accadono più del pronosticato, più del dato per certo. E se la storia (ci) insegna qualcosa di particolarmente importante a proposito della Chiesa è questo: data per morta mille volte, è resuscitata mille e una. E la senile Europa, forse, compresa la centralità dell’identità nelle guerre egemoniche di questo secolo, un giorno potrebbe scegliere di tornare alle origini, di tornare al Cristianesimo. CHIESA CATTOLICA CATTOLICESIMO EUROPA Autore EMANUEL PIETROBON Content Revolution Francia, l’agonia del cristianesimo chiesa francia Il recente assassinio nella Vandea di un anziano prete, Olivier Maire, da parte di un cittadino ruandese già noto alle cronache e agli inquirenti per atti cristofobici – il rogo della cattedrale di Nantes – ha riacceso i riflettori sulla situazione drammatica che sta attraversando il Cristianesimo in Francia. Perché qui, nella fu figlia prediletta della Chiesa, era dai tempi della Rivoluzione che i cristiani non si sentivano così insicuri e minacciati, che non erano così bistrattati e aggrediti psicologicamente e fisicamente. Numeri alla mano, invero, la Francia è la prima nazione d’Europa per quantità di crimini d’odio di stampo cristofobico – essendo la sede di un terzo di tutti gli attacchi di questo genere che hanno annualmente luogo nel continente. Crimini, quelli che stanno accelerando e accompagnando la scristianizzazione della Francia, che vengono consumati da una variegata anonima dell’odio – composta principalmente da islamisti, anarchici, femministe, satanisti e neonazisti – i cui membri sono impegnati in una quotidiana battaglia contro la Croce a base di profanazioni, aggressioni, incendi e, talvolta, omicidi. Maire e gli altri Vandea, storico fortino del Cattolicesimo francese, 9 agosto 2021: la gendarmeria trova il corpo senza vita di Olivier Maire, un provinciale superiore appartenente alla Congregazione della Casa dei Frati Missionari Monfortani. Il religioso, sessant’anni, è stato ucciso. Parte la caccia all’uomo: gli investigatori desiderano risolvere il caso in tempi rapidi, perché la piccola comunità di Saint-Laurent-sur-Sèvre è sotto choc ed un pericolo assassino è a piede libero. La caccia, per la fortuna degli inquirenti, dura molto meno del previsto: un uomo si costituisce, si addossa la responsabilità dell’uccisione. Quell’uomo è Emmanuel Abayisenga, un rifugiato ruandese accolto nella comunità monfortana proprio da padre Maire e che negli ambienti investigativi d’Oltralpe è conosciuto in qualità di unico imputato per il rogo della cattedrale dei santi Pietro e Paolo di Nantes. Nonostante il presunto ruolo nell’incendio della cattedrale di Nantes, e la minaccia posta alla sicurezza pubblica – era stato costretto a seguire un trattamento psichiatrico –, Abayisenga era a piede libero. Aveva terminato le cure lo scorso mese, cioè a luglio, e avrebbe dovuto essere sorvegliato in conformità con un ordine di controllo giudiziario. Uscito dall’istituto, però, il rifugiato si era allontanato dalla lente degli investigatori e aveva trovato riparo presso la Casa dei Frati Missionari Monfortani, dove era entrato grazie all’aiuto di padre Maire. L’assassinio dell’anziano provinciale superiore, che ha riacceso i riflettori sulla situazione drammatica in cui versa il Cristianesimo in Francia, non è un caso isolato. Maire, invero, è soltanto l’ultima vittima di quell’anonima dell’odio che combatte quotidianamente contro tutto ciò che rappresenta e simboleggia il messaggio di Cristo, dal clero ai luoghi di culto e dai cimiteri alle croci. Perché prima di lui, lo scorso ottobre, un terrorista islamista uccise due fedeli e un sagrestano nella basilica di Nostra Signora di Nizza. E prima ancora di quel mini-attentato, il 26 luglio 2016, due soldati dello Stato Islamico sgozzarono padre Jacques Hamel nella piccola chiesa di Saint-Étienne-du-Rouvray. L’assalto alla Cristianità I numeri della guerra alla Cristianità mossa dall’anonima dell’odio – che, di nuovo, è estremamente variegata e multiforme, perché composta da attori molto diversi tra loro, come i satanisti e gli islamisti – sono magniloquenti, espressivi ed autoesplicativi. Sono numeri che parlano di una mattanza silenziosa, che avviene nell’indifferenza delle autorità e della stessa società – oramai ampiamente secolarizzata – e che, se dovesse proseguire al ritmo attuale, nel prossimo futuro potrebbe portare ad un significativo ridimensionamento del patrimonio cristiano di Francia. Numeri che hanno portato taluni a parlare di “cattolicesimo in fase terminale” e che sono i seguenti: Fra il 2008 e il 2019 gli attacchi di stampo cristofobico sono quadruplicati, aumentando costantemente e regolarmente su base annua. Nel 2019 hanno avuto luogo 1.052 attacchi cristofobici (1.063 secondo altre stime) – in entrambi i casi si tratta di una media di quasi 3 al giorno –, in aumento rispetto agli 877 dell’anno precedente. I numeri di cui sopra rendono la Francia la culla della cristofobia d’Europa, essendo la sede di un terzo di tutti gli attacchi di questo tipo che sono stati consumati nel continente nel 2019: 1.052 su circa 3.000. Il 40% delle profanazioni dei luoghi sacri del Cristianesimo, secondo un’indagine di Libération, sarebbe attribuibile a musulmani radicalizzati e/o terroristi islamisti. Il restante 60% delle profanazioni, invece, sarebbe opera di militanti di estrema sinistra (anarchici, femministe, attivisti omosessuali), neonazisti, satanisti e, in minor parte, persone con disturbi psichici. Ogni anno, secondo l’Osservatorio per il patrimonio religioso, almeno “una ventina” di chiese viene danneggiata o distrutta dalle fiamme dei roghi dolosi. Alcuni anni, però, quella media viene superata: nel 2018, ad esempio, le autorità hanno registrato 32 episodi di carbonizzazione intenzionale. Due terzi degli incendi che compromettono o causano il crollo delle chiese cattoliche sono di origine dolosa, ovvero appiccati da piromani, ma nella stragrande maggioranza dei casi restano impuniti, senza colpevole. Soltanto 15mila chiese su oltre 45mila godono di qualche forma di tutela e/o protezione statale – sorveglianza inclusa –, il che significa che due luoghi di culto cristiani su tre sono esposti ai rischi delle profanazioni, dei vandalismi e dei roghi. Una mattanza silenziosa Roghi di interi edifici, danneggiamenti di arredi, altari e pitture, profanazioni sacrileghe di luoghi come i cimiteri e, a volte, persino omicidi di chierici e fedeli; tanto lunga è la lista dei crimini in odium fidei compiuti dall’anonima anticristiana operante in Francia. Crimini che, il più delle volte, rimangono irrisolti. Crimini diffusi, molecolari e capillari, che non danno tregua né agli inquirenti né ai fedeli e che, non di rado, obbligano uomini di Stato e di Fede a prendere atto dell’antieconomicità di una manutenzione perenne e a convivere con la scelta più dolorosa: quella di lasciare croci, statue, monumenti, chiese e cimiteri al loro tragico destino, che, molto spesso, corrisponde ad una probabile distruzione o ad una certa dissacrazione. Un caso recente di istituzioni che hanno sventolato bandiera bianca, arrendendosi in maniera incondizionata all’anonima anticristiana, è costituito dalla questione delle croci di vette nei Pirenei orientali. Al termine di uno sciame inarrestabile di attacchi durato quattro anni – dal 2014 al 2019 – e manifestatosi nelle forme di furti, danneggiamenti e/o abbattimenti, il Consiglio Dipartimentale dei Pirenei orientali, nel settembre di due anni or sono, si arrese ai distruttori delle croci di vette, comunicando a residenti e alpinisti che avrebbe smesso sia di installarne di nuove sia di riparare quelle danneggiate. E in Francia, come nei Pirenei orientali, il Cristianesimo sembra essere giunto oramai al capolinea, prossimo a quell’estinzione violenta che sognavano e intravedevano i padrini del giacobinismo radicale all’epoca della Rivoluzione e dell’instaurazione del culto dell’Essere Supremo. Abbandonato a se stesso tanto dalla politica quanto dalla società, e testimone del concomitante declino delle chiese sorelle nel resto d’Europa, il Cattolicesimo francese va addentrandosi nell’oscurità di quella lunga notte alla quale, sembra, non farà seguito alcuna nuova alba.