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sabato 28 ottobre 2017

BPCO: migliorare il dialogo aperto tra medico e paziente si può

Pubblicato il 29 settembre 2017
Ultimo aggiornamento: 29 settembre 2017 ore 18:16
su "lanazione.it/massa-carrara"

Milano, 10 settembre 2017: Vuoi per la difficoltà di ammettere di essere malati, vuoi per una mera differenza di terminologia e linguaggio, in 9 casi su 10, il paziente con Broncopneumopatia Cronica Ostruttutiva (BPCO) non comunica al medico quella che è la sua reale condizione.  A far luce sulla mancanza di una comunicazione efficace e bidirezionale che spesso impatta sulle condizioni di salute dei pazienti, è uno studio pubblicato sull’ International Journal of COPD (Chronic Obstructive Pulmonary Disease, il termine inglese che identifica proprio la BPCO). Lo studio sarà presentato al Congresso della European Respiratory Society (ERS) 2017, previsto  dal 9 al 13 settembre a Milano.

 Classificata come la terza causa di morte al mondo entro il 2030, la BPCO è una malattia dell'apparato respiratorio caratterizzata da un'ostruzione irreversibile delle vie aeree, di entità variabile a seconda della gravità. Solitamente progressiva e associata a uno stato di infiammazione cronica del tessuto polmonare, ancora non esiste una cura efficace per tale patologia che consenta di ripristinare la funzionalità respiratoria perduta. Spesso sotto diagnosticata, in tutto il mondo, secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), la BPCO colpisce 210 milioni di persone al mondo, e ne causa la morte di circa 3 milioni ogni anno, soprattutto tra gli anziani e i fumatori (www.who.int/mediacentre/factsheets/fs315/en).

   La survey è stata condotta su circa 1000 persone (1/3 medici, 1/3 pazienti, 1/3 specialisti in pneumologia) in Italia, Spagna e Germania, con età media dei pazienti 55-64 anni, di cui il 41% donne. Il 38% dei pazienti era fumatore nonostante la malattia e il 28% presentava una forma severa della patologia. Il team di ricercatori ha analizzato il rapporto tra la percezione della patologia da parte del medico di famiglia, paziente con BPCO e pneumologo attraverso questionari specchio (MIRROR), ovvero indagando lo stesso ambito da punti di vista diversi delle tre diverse figure. Realizzata con il supporto non condizionato di Menarini, l’indagine aveva come obiettivo quello di individuare e comprendere, al fine di superarle, le differenti percezioni della patologia.

 Dai dati, elaborati dalla QuintilesIMS, grande società di consulenza per l’Healthcare, emerge che l’11% dei pazienti si dichiara “abbastanza franco” nel rapporto con i medici, ben l’89% “generalmente non franco”, mentre nessuno (lo 0%) dichiara di essere “totalmente franco”.  Su cosa non dicono tutta la verità? Ad esempio, potrebbe esserci chi sostiene di aver smesso di fumare ma fuma ancora, chi afferma di svolgere continuativamente gli esercizi prescritti per mantenere attiva la muscolatura respiratoria ma invece soprassiede o, più semplicemente, chi non comunica il suo disagio o le difficoltà che affronta nella vita quotidiana. E la cosa ancora più grave è che questa realtà è molto sottostimata da parte dei professionisti. I medici, infatti, sono molto più ottimisti: il 42% di quelli di medicina generale ritiene che i pazienti siano abbastanza franchi, il 53% ritiene che generalmente non lo siano e il 5% che siano totalmente franchi. Tra gli pneumologi la percentuale è rispettivamente del 49%, del 50% e dell’1%. Questo è indice di una verosimile mancanza di comunicazione efficace tra il medico ed il paziente.

 Di fatto, tra medici di medicina generale, specialisti e pazienti, cambia la percezione dei problemi e delle ricadute sulla qualità della vita, in particolare con l’aggravarsi dei sintomi. Finché le forme di Bpco sono moderate o lievi, sostanzialmente la percezione del disagio vissuto nelle attività di vita quotidiana, lavorativa e relazionale, è ritenuta dal paziente “abbastanza impattante” e risulta allineata alla percezione del medico. Ma più le forme di BPCO peggiorano, meno i medici sono in grado di percepire il reale disagio per il malato. E le conseguenze ricadono sulla salute di quest’ultimo.

   “Il gap comunicativo ha delle conseguenze dirette sulla salute del paziente. Se non c’è una comunicazione aperta tra le due figure, non ci si può davvero capire e non si possono attuare tutte quelle “contromisure” necessarie per un maggior controllo della patologia. Su questo aspetto è importante lavorare per promuovere un dialogo aperto, al fine di migliorare le cure e permettere sia al paziente di affrontare meglio la sua quotidiana battaglia con la BPCO, sia alle figure sanitarie di fare il massimo per comprendere ed aiutare i pazienti”, spiega Bartolome Celli, professore di Medicina presso la Harvard Medical School di Boston e autore principale dello studio.

 Del team di ricerca hanno fatto parte anche Francesco Blasi dell'Università Statale Ca’ Granda di Milano, Mina Gaga, Presidente ERS, Dave Singh dell’Università di Manchester, Claus Vogelmeier della Philipps-Universität di Marburg e Alvar Agustí dell’Università di Barcelona.

“Menarini, dopo una lunga e positiva esperienza italiana in ambito respiratorio, è diventata in poco tempo una solida realtà internazionale nella lotta alla BPCO” commenta Lorenzo Melani, Direttore Medico Corporate del Gruppo Menarini “Con questo progetto, Menarini vuole offrire un valore aggiunto al rapporto tra medico e paziente, nell ’ottica di aiutare entrambi ad avere una comunicazione onesta e di qualità, così come profondamente insito nella nostra filosofia aziendale”.

venerdì 27 ottobre 2017

Tumori, così un gene frena le difese immunitarie. Lo studio su come impedire al cancro di espandersi

SCIENZA
Si chiama IL-1R8 ed è stato scoperto dall'istituto di ricerca Humanitas, in collaborazione con l'Airc. Il gene, se inibito, permette alle cellule di bloccare l'espansione del tumore come spiega il direttore scUno studio italiano ha scoperto un gene che, se disattivato, riattiva le difese immunitarie e impedisce al cancro di espandersi. La cellula si chiama IL-1R8 ed è sfruttata dal cancro per paralizzare le difese naturali ed evolversi. Una specie di “freno” all’interno dell’automobile corpo umano.

La similitudine è utilizzata direttamente da Alberto Mantovani, direttore scientifico di Humanitas, l’istituto di ricerca che, sostenuto dall’Airc, ha portato avanti la studio: “Il nostro sistema di difesa è un po’ come una straordinaria automobile, capace di viaggiare ad elevata velocità – spiega Mantovani – Ha bisogno di acceleratori che la fanno partire e correre, ma anche di freni che le consentono di rallentare e, quando è il caso, fermarsi“. E proprio questo freno, l’IL-1R8, è stato sfruttato dal cancro per svilupparsi: “Blocca le nostre difese e gli permette di crescere indisturbato”. Lo sviluppo, quindi, è quello di togliere questi freni in modo da far “ripartire la risposta del nostro sistema immunitario contro i tumori”. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Nature e sarà particolarmente efficace contro le metastasi al fegato e al polmone.
Il gene IL-1R8 era stato scoperto dallo stesso team di ricerca quasi vent’anni fa. Era il 1998 quando i ricercatori scoprirono questo gene senza però capirne la funzione. Adesso, la conclusione. Se inibito, il gene permette di rimettere in funzione le cellule Natural Killerprincipali responsabili dell’identificazione e distruzione delle cellule tumorali. A spiegarlo è Martina Molgora, ricercatrice di Humanitas: “Identificare la sua azione come freno all’attività delle nostre cellule di difesa presenti in sedi specifiche quali fegato e polmone ci ha permesso di vedere che, togliendo il freno, le cellule NK si attivano a difesa di questi organi contro cancro e metastasi”.
All’immunologo Alberto Mantovani, Fq Millenium aveva dedicato sei pagine del numero di ottobre. Mantovani, vincitore del premio europeo di oncologia 2016, è lo scienziato italiano più citato al mondo.

martedì 24 ottobre 2017

Referendum autonomia, Maroni: "Vogliamo tutte le 23 competenze e relative risorse".

"Partirò chiedendo di discutere su tutte": il governatore pronto a trattare con Roma.Le materie  vanno dall'Ue al commercio estero, al coordinamento della finanza pubblica e tributario. Gori: "Lo accompagno a Roma solo se si fanno proposte serie". E indica sei punti

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24 ottobre 2017

Dopo il referendum, il governatore della Lombardia Roberto Maroni è pronto a battersi per ottenere l'autonomia "all'interno del quadro di unità nazionale", senza strappi o fughe in avanti, come invece è stata letta la richiesta di statuto speciale avanzata dal Veneto. "Come Consiglio regionale metteremo a punto una piattaforma rivendicativa per ottenere più competenze e più risorse su tutte le 23 competenze previste. Partirò chiedendo di discutere su tutte", ha detto Maroni in mattinata, definendo "straordinario" il risultato dell'affluenza, quasi al 40% (LA MAPPA). Con lui anche il sindaco Pd Giorgio Gori che sul punto aggiunge: "Nessun cittadino lombardo o veneto ha dato mandato per una secessione fiscale, fino a oggi si è fatta molta propaganda su questo tema. Accompagno Maroni a Roma solo se si fanno proposte serie.
Lavoro, istruzione, ricerca, l'ambiente, la salute e l'autonomia territoriale: queste sei materie sono la base per ragionare".

Ma autonomia su cosa? Le materie trasferibili alle Regioni in base agli articoli 116 e 117 della Costituzione sono 23, e il governatore della Lombardia è pronto a battersi per ottenere libertà di azione in tutti i campi, non nascondendo di voler mettere le mani anche sulla sicurezza, nonostante sia di competenza esclusiva dello Stato. Le materie su cui può avere margine di negoziazione sono tre di competenza esclusiva dello Stato e 20 concorrenti (tra cui spiccano il coordinamento della finanza pubblica e tributario).

Sono materie concorrenti:

  1. Rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni;
  2. Commercio con l'estero;
  3. Tutela e sicurezza del lavoro;
  4. Istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale;
  5. Professioni;
  6. Ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi;
  7. Tutela della salute;
  8. Alimentazione;
  9. Ordinamento sportivo;
  10. Protezione civile;
  11. Governo del territorio;
  12. Porti e aeroporti civili;
  13. Grandi reti di trasporto e di navigazione;
  14. Ordinamento della comunicazione;
  15. Produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia;
  16. Previdenza complementare e integrativa;
  17. Coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;
  18. Valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali;
  19. Casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale;
  20. Enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.

Per quanto riguarda invece le materie di competenza esclusiva dello Stato per le quali le Regioni posso chiedere "ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia", sono:

  1.  Organizzazione della giustizia, limitatamente ai giudici di pace;
  2.  Norme generali sull'istruzione;
  3.  Tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali.

domenica 22 ottobre 2017

Matteo Orfini: "Desecretiamo gli atti di Bankitalia"

POLITICA

Il presidente del Pd vede all'opera le "manine" di via Nazionale e annuncia una lettera a Casini. E sulla Boschi: "Nessun conflitto d'interesse"

21/10/2017 16:57 CEST | Aggiornato 18 ore fa
Alessandro De Angelis Politics reporter, L'Huffington Post

Matteo Orfini, in questa battaglia su Bankitalia, indossa l'elmetto da combattimento. Appena letti i giornali, parte all'attacco, nel corso di una conversazione con l'HuffPost: "È inquietante che dentro Bankitalia ci sia una manina che passa documenti riservati prima che arrivino a una commissione di inchiesta. Sto scrivendo al presidente Casini per chiedere la desecretazione degli atti".
Si riferisce al pezzo del Corriere sui report della Vigilanza? Come leggete la parola Etruria sui giornali scattate.
Capisco la difesa corporativa tra colleghi, ma la questione è seria. Quei documenti di Bankitalia dovrebbero essere in teoria segreti e riservati. Per questo credo di interpretare una preoccupazione anche dell'attuale Governatore nel dire che è piuttosto inquietante leggerli sui giornali. E siccome non vorrei che su questo terreno si giocasse una partita opaca lunedì invierò una lettera formale al presidente Casini.
Per chiedere?
Di verificare con Bankitalia la possibilità di desecretare le loro carte oggetto dell'attività della commissione, in modo da rendere ancor più trasparente il nostro lavoro. Credo che nessuno possa avere paura della ricerca della verità. Così capiremo chi davvero ha paura di scoprirla e chi non ne ha. E mi chiedo se il coro unanime che in queste ore si è levato dai giornali per criticarci si assocerà a questa mia richiesta.
Desecretiamo anche il cdm.
Diciamo che, come noto, non c'è nulla di segreto nei cdm. Praticamente i verbali si leggono sui giornali il giorno dopo.
Qualcosa di poco trasparente c'è. Chi ha deciso sulla mozione per sfrattare Visco?
È evidente che in Parlamento contano gli atti e su quella mozione c'è il parere positivo del governo.
Sta evitando il punto: Gentiloni è stato informato a cose pressoché fatte o ha condiviso, assieme al cdm, la decisione di Renzi e dalla Boschi?
Nel momento in cui c'è il parere positivo del governo, per me il dibattito è chiuso: c'è condivisione. Ma io trovo surreale, con tutto il rispetto per le sue domande, che da giorni si parli di procedure.
Mica sono procedure...
Mi lasci finire. La sostanza è che quella mozione dice quello che tutti gli italiani sanno, e cioè che il sistema non ha funzionato al meglio. Sa cosa mi ha impressionato, De Angelis, in questi giorni di estenuante discussione sulla mozione?
Che cosa?
Che nessuno di quelli che ci criticano ha difeso nel merito l'operato di Bankitalia. L'esercito degli indignados dei salotti pone solo una questione di eleganza di metodo, ma nessuno sta al merito delle nostre critiche.
Neanche voi, mi permetta, fate una riflessione seria e rigorosa nel merito dell'operato di Bankitalia e della Consob. Ma fate un'operazione politica tesa a cercare un capro espiatorio per la campagna elettorale.
Non è vero. E infatti ci occuperemo anche della Consob in commissione. Quello che colpisce è la tesi per cui, per tutelare l'indipendenza di Bankitalia, il Parlamento non dovrebbe valutarne l'operato. Questo è un argomento ridicolo. Segnalo che Draghi va al Parlamento europeo ogni tre mesi, a sottoporsi a un durissimo question time. L'operato della Bce è oggetto di appassionati discussioni parlamentari, interrogazioni con obbligo di risposta, critiche. E in Europa nessuno considera tutto questo né lesa maestà né una lesione dell'autonomia della Bce, ma semplice fisiologia democratica. Evidentemente poco apprezzata nel nostro paese.
A proposito di Europa. In Europa sui conflitti di interesse sono molto rigorosi. Lei non vede in questa vicenda un enorme conflitto di interessi di Maria Elena Boschi?
Proprio no. E in verità quando era ministro per le Riforme si è deciso di commissariare banca Etruria, a dimostrazione che non c'è mai stato conflitto di interesse.
Stiamo al punto però. Bankitalia e Consob hanno multato due volte il papà della Boschi. E la sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio si occupa della nomina di chi deve vigilare e controllare. Cioè di chi in teoria potrebbe attenuare o cambiare quelle multe. Questo lei non lo chiama conflitto di interesse?
Io dico che per noi parlano i fatti. E sulle banche abbiamo operato con serietà come dimostra anche la vicenda di Etruria.
Ritiene che la Boschi debba partecipare o no al consiglio dei ministri del 27 che indicherà il prossimo governatore di Bankitalia, organo appunto che ha multato suo padre per la gestione di Banca Etruria?
Lo valuterà il presidente del Consiglio. Ma trovo questo argomento francamente ridicolo. Noi abbiamo detto una cosa che tutti gli italiani sanno oppure, caro De Angelis, vuole sostenere che le crisi se le sono sognate? Lei e altri siete guidati da una certa ossessione verso il gruppo dirigente del Pd che vi allontana dalla comprensione della realtà.
Sempre sull'argomento: la querela a De Bortoli non è arrivata da parte della Boschi, e ormai sono scaduti i termini.
Non abbia fretta. Adesso abbiamo una strumento che ha i poteri della magistratura per acclarare tutto. Alcune forze di opposizione hanno chiesto di audire i manager delle principali banche, gli editori dei principali giornali italiani, e tanti altri. Sono liste di persone interessanti che ascolteremo con attenzione.
Ascolterete Ghizzoni?
Le rivelo una notizia: io ho chiesto di partire dalle crisi bancarie più recenti, non da quelle più lontane. E questa settimana partiamo dalla Venete, in ordine cronologico inverso, poi c'è Mps, poi le quattro tra cui Etruria. Le sembra l'atteggiamento di un partito che ha qualcosa da nascondere?
Dice Renzi: va bene anche se Gentiloni nomina Visco. È un cambio di atteggiamento rispetto ai giorni scorsi?
È quello che abbiamo sempre detto: nomina il presidente dalla Repubblica su indicazione del presidente del Consiglio. Accetteremo qualunque indicazione di Gentiloni, ma c'è bisogno di far dormire sonni tranquilli non agli editorialisti ma ai risparmiatori. Ho letto Sabino Cassese che parla di fulmine al ciel sereno, a proposito della nostra mozione. Probabilmente il cielo sereno lo vedeva lui, ma dubito che i risparmiatori fulminati dalle crisi condividano il suo excursus meteorologico.
Se la scelta cadesse su Visco, voi comunque continuerete a criticare, il minuto dopo, il suo ruolo come avete fatto in questi giorni?
Noi siamo persone serie e rispetteremo la scelta ma in Parlamento c'è una commissione d'inchiesta che non si può silenziare, condizionare, fermare. E dunque continuerà nel suo lavoro di analisi della adeguatezza nella gestione delle crisi da parte degli organismi di vigilanza. Come richiesto dalla legge che l'ha istituita.


sabato 21 ottobre 2017

Ma Bankitalia non si ferma con una mozione

La storia gloriosa di palazzo Koch

Pare che nella tempesta scatenata dalla mozione del Pd su Visco, con il governo che si affanna a limare e rivedere il testo, il presidente della Repubblica che mette i puntini sulle i, il premier che si defila, gli editorialisti dei quotidiani che lanciano allarmi, “personalità varie” che temono per la nostra stabilità e si stracciano le vesti, il più tranquillo sia proprio lui, Visco Ignazio.
Il fatto è che a Palazzo Koch sono abituati alle tempeste, e a tenere dritta la barra. Il fatto, pure, è che se entri in Bankitalia sei di Bankitalia per sempre. Un po’ come per l’Arma dei carabinieri. D’altronde fino al governatore Fazio – e a tutto l’ambaradam che ne venne – la carica era “a vita”, come per la Corte costituzionale americana, e ora è un mandato di sei anni, rinnovabile per un’altra sola volta.
Se c’è un’istituzione in Italia che premia il merito – non importa di dove discendano i tuoi lombi, non importa se hai frequentato o meno le più prestigiose università, non importa se conti o no amicizie importanti – quella è Bankitalia. Che sa coltivare i talenti, li tiene stretti, li allena e li mette alla prova perché un giorno possano regnare, e finalmente un giorno li incorona.
A leggere l’elenco dei primi direttori generali dal 1893 al 1928 – quando ancora non c’era la carica di governatore – è proprio così: Bombrini, il primo, mazziniano da giovane, chiama in Banca d’Italia Grillo, un orfano cresciuto dalle monache, che gli succede e chiama in Banca d’Italia Marchiori, garibaldino da giovane, che gli succede e chiama in Banca d’Italia Stringher, un figlio di immigrati, che poi succede a se stesso, perché diventa il primo governatore. E da allora la musica non è quasi mai cambiata: dei dieci governatori dal 1928 a oggi, otto hanno prima servito l’incarico di direzione generale. Con due sole eccezioni, e che eccezioni: Luigi Einaudi e Mario Draghi. E, a parte la prima genia “nordica”, senza riguardo all’area geografica di provenienza: Azzolini era napoletano, Menichella era foggiano, Fazio era di Alvito, Frosinone, e lo stesso Visco Ignazio è napoletano.
Il prestigio internazionale di cui gode – per la serietà, la professionalità, la competenza – nasce da qui, dal lavoro duro: è come l’Accademia di West Point, come il pugno di università della Ivy League, ma senza il fardello sospetto di aver potuto frequentare quelle austere e storiche aule solo perché papà aveva i dollaroni necessari per fare enormi donazioni, oltre a pagare rette con cui puoi varare una finanziaria di un paese europeo.
Dite che questa intorno a Visco è una gran tempesta? E allora pensate a Bombrini e Grillo che si trovarono di fronte alla circolazione di cinque tipi diversi di banconote, emesse oltre che dalla Banca Nazionale anche dal Banco di Napoli, dal Banco di Sicilia, dalla Banca Nazionale Toscana e dalla Banca Toscana di Credito. Ricordate E’ spingule francese, la celeberrima canzone di Di Giacomo? Fa così: «Nu juorno mme ne jètte da la casa / jènno vennenno spíngule francese / Mme chiamma na figliola: ‘ Trase, trase / quanta spíngule daje pe’ nu turnese? ”» È del 1888, e c’erano ancora i tornesi, i baiocchi, i quattrini, gli scudi, il grano, in giro per l’Italia appena unita. Se uno pensa alla “flessibilità dei cambi” di qua e di là del Garigliano, c’è di che far tremare i polsi. Dite che questa intorno a Visco è una gran tempesta? E quando nel marzo 1979 incriminarono Paolo Baffi, il governatore, e arrestarono Sarcinelli, direttore generale, per favoreggiamento e interesse privato in atti d’ufficio nel corso di un’inchiesta sul mancato esercizio della vigilanza sugli istituti di credito – proprio lui che aveva intensificato l’attività ispettiva, tanto da essere chiamato “il governatore della Vigilanza”, ricorda qualcosa? Certo, in realtà era una lotta ai coltelli forse legata allo scandalo dei prestiti della Banca di Roma verso la banca di Michele Sindona poco prima che fosse posta in liquidazione coatta amministrativa, o all’enorme “buco nero” di Italcasse che aveva continuato a fornire liquidità agli “amici degli amici” democristiani, e li prosciolsero entrambi; ma dopo due anni, e Baffi già in agosto aveva deciso di dimettersi dall’incarico. Non senza aver prima suggerito al presidente del Consiglio, Francesco Cossiga, il nome del suo successore che era poi il direttore generale dell’Istituto, tale Carlo Azeglio Ciampi.
Dite che questa intorno a Visco è una gran tempesta? E quando nel 2005 scoppiò lo scandalo del ruolo “improprio” assunto dal governatore Fazio nella vicenda tra Antonveneta e Banca popolare Lodi per cui fu costretto a dimettersi e gli succedette – questa, una vera “discontinuità” – un uomo che proveniva dalla finanza privata, da Goldman Sachs, Mario Draghi?
E quando il primo numero del 2004 di «Famiglia cristiana» pubblicò l’elenco dei partecipanti al capitale della Banca d’Italia con le relative quote, una lista di nomi e imprese fino a quel momento considerato riservatissimo, e che solo l’anno dopo divenne pubblico e trasparente?
E quando nel 1982 Andreatta e Formica, rispettivamente ministro del Tesoro e delle Finanze, litigarono “come comari” rispetto il “divorzio” tra il Tesoro e la sua banca centrale e Bankitalia si trovò nel mezzo?
A ripercorrere la storia della Banca d’Italia, si ripercorre la storia politica, prima ancora che economica, di questo paese, dalla sua unità fino al grande boom degli anni Sessanta, l’istituzione della Cassa per il mezzogiorno ( benedetto sia Menichella), e poi l’inflazione e poi l’ingresso in Europa.
E pensate che questa storia possa entrare in fibrillazione per una mozione, primo firmatario Silvia Fregolent?

Giovanni Maria Flick: "Si stanno demolendo a picconate le istituzioni" L'ex ministro non ci sta a processare Bankitalia. "Non si può scaricare sull'istituto la cattiva gestione dei soldi dei risparmiatori"

ECONOMIA
21/10/2017 10:18 CEST | Aggiornato 1 ora fa su "HUFFINGTONPOST.IT"
Bianca Di Giovanni Giornalista

ANSA
Giovanni Maria Flick durante la presentazione del rapporto annuale dell'Unita' di Informazione Finanziaria per l'Italia (UIF), Roma, 3 luglio 2017. ANSA/GIUSEPPE LAMI
"Mi pare di capire che sta montando il tema di addossare a Bankitalia la responsabilità della malagestio del denaro, dei crediti in sofferenza, i crediti difficili da parte delle banche. Ora io non voglio entrare nel merito, non conosco i fatti e i dettagli, ma non mi pare che si possa scaricare su Bankitalia la responsabilità per la malagestio nella gestione del denaro dei risparmiatori". Giovanni Maria Flick, ex ministro nonché raffinato giurista, apre un nuovo squarcio nel caso che sta surriscaldando il clima politico di questi giorni attorno alla banca centrale del Paese. Un approccio tutto tecnico, che mette in guardia da un rischio antico: voler risolvere i problemi di sistema affidando tutto alla supplenza del giudice penale. E nel contempo, schiacciando le funzioni delle autorità indipendenti e regolatrici del mercato, quale appunto Via Nazionale. "Sarebbe un ritorno a un passato che non ha funzionato, e dunque un pessimo bagaglio per il futuro".

Professore, parla di un vizio antico, perché?

"Sì, perché questa tendenza mi sembra rispecchiare una politica penale del credito degli anni '70 del secolo scorso, quando per controllare la patologia creditizia, la malagestio nella concessione del credito, si arrivò ad elaborare la tesi che le banche sono pubblici uffici o pubblici servizi. Quindi sono sotto il controllo dello Stato, quindi l'applicazione del cosiddetto statuto penale della pubblica amministrazione, quindi il controllo del giudice penale sui casi di erogazione di credito poi non restituito. Fu una lunga disputa, alla fine della quale, la Cassazione accolse la tesi che l'attività bancaria è un'attività d'impresa. E che non basta il fatto di essere banche pubbliche, che maneggiano denaro del pubblico (penso ai vecchi istituti pubblici) per trasformarle in attività funzionali di pubblica amministrazione. All'epoca si rinunciò a studiare strumenti efficaci di controllo della patologia del credito, ritenendo sufficiente, e in fondo più comodo, delegare il controllo al giudice penale in termini di malagestio del denaro del pubblico. Confondendo in definitiva il denaro pubblico con il denaro del pubblico, che sono cose profondamente diverse. Il primo giustifica certamente anche il controllo del giudice, il secondo richiede un controllo preliminare di trasparenza e di vigilanza".

Veramente più che di malagestio, oggi Bankitalia è accusata di non aver vigilato e non aver avvertito.

"Sì, ma io noto una tendenza che si sta affermando in questi giorni. Leggevo le dichiarazioni del procuratore della Repubblica di Milano in cui si propone l'introduzione di un codice penale bancario, perché l'attività creditizia non è più sufficientemente tutelata contro il malaffare e i banchieri non sono più pubblici ufficiali. Sotto sotto questa tendenza ritiene di poter controllare l'attività bancaria con gli stessi strumenti con cui si controlla l'attività dei pubblici funzionari. La tesi che era esplicita fino al 1980, e che la Cassazione cancellò con una sua famosa sentenza, a conferma di una direttiva europea, in cui si avverte che occorrono altri strumenti di controllo. Nei casi di malagestio ci può essere l'ostacolo alla vigilanza, la falsità di informazione agli enti di vigilanza, e anche l'omissione di vigilanza da parte di questi ultimi, ma tali enti non possono mai essere corresponsabili nella malagestio del credito. Le responsabilità della vigilanza sono di tipo diverso, non sono concorrenti".

In Italia c'è anche molta confusione sul ruolo della banca centrale tra i non addetti ai lavori.

"Sì, e non va dimenticato neanche il cambiamento epocale di Banca d'Italia nel momento in cui entra a far parte della struttura della Bce: perde molte funzioni, le rimangono soltanto delle funzioni di vigilanza anche parziali. La mia preoccupazioni è che invece si voglia creare un codice penale bancario con l'assunto che non ci sia una tutela sufficiente, invece le norme ci sono. Basta leggerle e applicarle. Questo è un caso abbastanza emblematico e vistoso del fatto che di fronte alla insufficiente applicazione delle leggi che già ci sono, si pensa immediatamente a introdurre leggi nuove, nella convinzione che il nuovo risolverà i problemi. Ma in questo caso non c'è nulla di nuovo, perché questa impostazione si è percorsa fino agli anni '80 e non ha funzionato".

E' come se si volesse tornare al credito di Stato?

"In parte sì. Lei ricorderà d'altra parte certe forme di credito per le quali si teorizzava addirittura un diritto al credito , i Tremonti bond. Tutte quelle situazioni nelle quali si guardava al credito come espressione di una funzione quasi pubblica, perché è il volano dell'economia, perché serve a far funzionare le imprese, ecc. Ma la verità è che la gestione del denaro è un'impresa, che va condotta attraverso criteri sani e prudenti rispettando tutte le regole che presidiano questo settore. Senza bisogno di andare a rifugiarsi sotto l'ombrello del giudice penale o della pubblica amministrazione e del pubblico servizio. 40 anni fa non ha funzionato".

In Italia è sempre molto complicato far comprendere l'autorità di questi organismi di garanzia.

"Perché ne abbiamo istituiti troppi, supponendo che facendo tante Authority ci saremmo sottratti al controllo del giudice penale. Ora, non si tratta di questo. Si tratta di trovare gli strumenti più efficienti per il controllo, in questo caso della gestione del credito. Altrimenti vengono fuori quei problemi di cui i tecnici si stanno occupando ad esempio in materia di frodi del mercato mobiliare, dove si sono sommate le sanzioni penali a quelle amministrative. Non mi pare che abbia funzionato, e siamo stati anche richiamati dalla Corte europea"

Lei dice: far funzionare le regole che ci sono.

"Far funzionare le regole che ci sono. In caso di concessione di denaro senza garanzie, ad amici, a partiti politici, che poi producono crediti in sofferenza, ho qualche perplessità ad affacciare come rimedio una soluzione già sperimentate in precedenza e che non hanno dato frutti".

Quindi si dovrebbe ristabilire il ruolo forte dei vigilanti?

"Personalmente sono convinto che le istituzioni di vigilanza sono le più adatte in casi di questo genere, devono essere messe in condizione di funzionare, deve essere rispettata la loro autonomia e la loro rigorosa indipendenza, questo è fuori discussione; forse devono comunicare maggiormente quello che fanno in termini di trasparenza e senza ovviamente pregiudicare le soluzioni che si stanno esplorando. Non credo che gli episodi di malagestio bancari si possano risolvere scaricandone al responsabilità su Bankitalia. Questo a prescindere dal caso concreto, che non conosco. Mi colpisce il fatto che certe cose che si dicevano 40 anni fa, purtroppo ritornano drammagticamente di moda".

Forse le scorciatoie sono sempre uguali.

"C'è un'unica scorciatoia, che ormai è diventata una via maestra in questo paese. Quando c'è qualcosa che non va lo si affida al giudice penale, con buona pace della necessità di guardare al penale come l'extrema ratio, la medicina ultima. Tutto questo tra l'altro crea dei grossi problemi rispetto a un principio fondamentale del sistema penale, quello di legalità. Il quale impone che la pena venga applicata solo nei casi previsti dalla legge. Se dilatiamo l'intervento del giudice penale a tutta una serie di forme di supplenza non previste dalla legge, non rispettiamo più quel principio".

Un commento sul conflitto esplicito tra Parlamento, Autorità di vigilanza, governo...

"Mi pare che un conflitto tra Parlamento e Autorità di vigilanza non ci possa essere. Ci può essere al più un problema di poca comprensione o di poca comunicazione; tra Parlamento e governo ci può essere un conflitto di attribuzione, sul quale il giurista è meglio che stia a guardare, sono cose che dopo un fuoco improvviso si calmano. D'altro canto è stato detto che il rapporto tra Parlamento e governo è stato "ottimo e abbondante", come il rancio per le truppe. Io come cittadino comincio veramente a temere il fatto che si stiano demolendo a picconate le istituzioni. Una specie di emulazione che dimentica che di fronte alla picconata data dall'originale, quella data per imitazione è perdente. Mi preoccupa il clima che si sta creando attorno al sistema bancario italiano. Se ci sono stati degli sbagli, non è questo il modo per affrontarli".

"Mi sorprende l'elevato grado di incultura istituzionale. L'Italia ne esce indebolita". Intervista a Nicola Rossi, uno degli economisti firmatari dell'appello pro-Visco "Renzi e Orfini strabilianti"

ECONOMIA

20/10/2017 17:06 CEST | Aggiornato 16 ore fa su "HUFFINGTONPOST.IT"
Bianca Di Giovanni


"Ho ricevuto una mail dal mio amico Gianni Toniolo che mi chiedeva di sottoscrivere la lettera e io ben volentieri ho firmato". Così Nicola Rossi, docente di economia all'Università di Tor Vergata, con una lunga esperienza da parlamentare alle spalle, racconta come ha deciso di sottoscrivere l'appello in difesa di Bankitalia di 46 economisti pubblicato sul Sole24Ore. Accetta di parlare con Huffpost, anche se trova "strabiliante che oggi in Italia si debbano scrivere lettere per ricordare delle ovvietà". Ovvero: indipendenza della banca centrale, rispetto di tutte le istituzioni, incluso il Parlamento. "Voler giudicare il governatore a pochi giorni dall'avvio della commissione sulle banche significa svuotare di senso anche quell'organismo – osserva Rossi - E' ridicolo che si voglia pronunciare un verdetto prima che la commissione esamini il caso. Alla fine il Parlamento paradossalmente ha reso inutile la sua commissione: a questo punto non si capisce più perché tenerla".

Professor Rossi, nell'appello voi chiedete al governo di non assecondare la mozione Pd. Vuol dire che chiedete la riconferma di Visco? Non sarebbe anche questa un'ingerenza?
"Non credo proprio che noi possiamo chiedere una cosa del genere. Quella frase io personalmente la interpreto in senso istituzionale. C'è un modo di fare le cose implicito in quella mozione che va rifiutato alla radice. Ieri sera ospite a Otto e mezzo Renzi ha parlato di galateo istituzionale. Credo che proprio non si renda conto: qui il galateo non c'entra nulla, non si tratta di comportarsi bene o male, si tratta di non conoscere il ruolo che ciascuna figura svolge all'interno delle istituzioni. In definitiva, non conoscere le istituzioni. Ed è strabiliante che un ex presidente del consiglio dica cose di questo genere".

Il presidente del Pd Orfini ripete da giorni che il governatore non è il Papa, e che quando il Parlamento si esprime è un segno di democrazia.
"Anche qui è strabiliante che il presidente del principale partito italiano dica cose di questo genere. Il parlamento si è espresso sulla nomina dei vertici di Bankitalia quando ha fatto la legge se ricordo bene nel 2005. In quella occasione ha stabilito che la nomina spetta al presidente del consiglio, sentito il consiglio dei ministri, e al presidente della Repubblica. Il che significa che ha stabilito che il Parlamento non c'entra. Punto. Se si vuole rifare la legge, si proceda. Ma è una cosa ben diversa da quello che si è fatto. A questo punto mi domando se la mozione non dovesse essere considerata inammissibile. Comunque credo che Orfini non si renda conto che la Banca d'Italia non è quella di 20 anni fa, ma è un pezzo del sistema europeo delle banche centrali, la cui indipendenza è richiamata nei Trattati Ue. Devo dire che in tutta questa vicenda mi sorprende il grado molto elevato di incultura istituzionale".

Ci sarà pure un modo di controlalre questi controllori. O sono al di sopra di tutto?
"Vorrei ricordare che il Parlamento ha da poco insediato una commissione d'inchiesta. Si può discutere sull'opportunità o meno di farlo, ma la commissione c'è e a questo punto lavorerà. Tutto si può dire, tranne che il Parlamento non abbia deciso di esercitare un'attività di controllo superiore. Qual è il senso di una mozione di quel genere a commissione d'inchiesta appena insediata?"

Lei si dà una risposta? Cosa si vuole fare davvero?
"Quali siano le motivazioni recondite, io francamente non lo so. Se si comincia a giocare su questo piano, non si finisce più. Il punto di fondo è che il metodo va rifiutato in blocco".

Quali sono gli effetti oggi? Visco è più debole?
"Diciamo che l'Italia è più debole. Non ci rendiamo conto che nel momento in cui tra due anni cambierà il presidente della Bce, noi per primi avremo uno straordinario interesse a che tutto il sistema della Bce sia indipendente. Dovremo combattere perché sia così. Le politiche monetarie future potrebbero essere molto problematiche per l'Italia. E noi ancora una volta siamo apparsi come quelli che trattano questioni molto delicate in modo sciatto. Alla fine ciò che va a picco è l'immagine dell'Italia, la sua capacità di essere affidabile e credibile. Tutte queste cose qui le abbiamo smontate con una certa precisione. Il tutto per motivazioni di campagna elettorale? Non so".

Comunque resta il fatto che molti risparmiatori sono stati traditi dalle banche.
"Su questo punto voglio essere molto chiaro: tutto questo non ha niente a che fare con le responsabilità. E' evidente che quello che è accaduto negli ultimi anni ha avuto delle motivazioni, è possibile che non abbia funzionato la vigilanza o che le leggi sulla vigilanza siano insufficienti. L'elenco è lungo. E se qualcuno è stato truffato è evidente che va risarcito. Sappiamo benissimo queste cose. Ma questo non implica che ci si debba mettere lì a scassare un sistema che è già debole. Ci sono le sedi opportune per appurare le responsabilità".

Si è fatto un'idea di come finirà?
"Non ne ho la più pallida idea, ma penso che ci siano molti rischi in questa vicenda. Non è una cosa banale o irrilevante. Tutto quello che sta avvenendo, di cui questo episodio è un pezzo, va in una sola direzione: la marginalizzazione dell'Italia. Nessuno ti butterà fuori dall'Ue, ma la realtà dei fatti è che conteremo sempre meno. Perché non siamo un interlocutore interessante. Questo vale per la finanza pubblica, per questa storia di Bankitalia, vale in generale. Alla fine l'esito sarà che gli altri decideranno cose molto rilevanti, con effetti potenzialmente anche molto seri per noi, e noi non potremo far altro che ascoltare".

Come il bail-in che ha avuto effetti solo per noi.
"Lo so, ma quando oggi si dice (l'ho sentito da Renzi in Tv): dovevamo intervenire per salvare le banche così come hanno fatto altri, bisogna ricordare che è stata la Spagna a farlo nel 2011. Chi dice una cosa così deve anche tirare le conclusioni e dire: avrei voluto che nel 2011 venisse la Troika come successo a Madrid. Basta che le cose si dicano con chiarezza. Dirle a metà è in parte mentire. Inoltre va riconosciuto a Bankitalia di aver scritto nero su bianco che per il bail-in serviva una transizione. Così come non posso più sentire ripetere, francamente, che il governo ha commissariato Banca Etruria, perché l'ha fatto solo perché c'era un provvedimento di Banca d'Italia. Trovo questo modo di procedere un po' umiliante per le istituzioni. Dopodiché in campagna elettorale si dice sempre di tutto, ma picconare le istituzioni per questo è davvero grave".

lunedì 16 ottobre 2017

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sabato 14 ottobre 2017

Silvio Berlusconi: "Se non ho la maggioranza mi ritiro" - Ecco il programma del Cav: ​"Via il bollo sulla prima auto"

Il Cavaliere parla alla convention di Forza Italia: "Ma penso che gli italiani avranno buon senso"

 Il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, visita la zona rossa di Casamicciola, comune di Ischia colpito mesi fa da un terremoto, 14 ottobre 2017. ANSA/ CIRO FUSCO
Silvio Berlusconi non usa giri di parole e alla convention di Forza Italia a Casamicciola dice: "Se non ho la maggioranza io mi ritiro, perché è colpa degli italiani se non sanno giudicare chi è capace da chi invece non ha mai fatto niente".
Il Cavaliere prosegue: "Vuol dire che siamo un popolo che non merita nulla. Ma penso che gli italiani avranno buon senso".
Sulle vicende di ricostruzioni legate ai terremoti del centro Italia e Ischia, Berlusconi afferma che ci sono solo "affabulatori".
"Sto vedendo cosa succede nelle Marche, tante promesse e non è arrivato nulla - dice - la soluzione è facile. Si invitano qua tutte le imprese che vogliono dare un contributo agli altri, si fanno fare tre offerte per ogni casa da sistemare e si prende quella che costa meno con l'impegno e consegnare tutto in non più di 120 giorni. Volendo si rimette tutto come era prima e meglio di prima".

Berlusconi apre la campagna elettorale e traccia il programma: "Pensioni da 1000 euro al mese per 13 mensilità". Poi la flat tax al 23-25% e la seconda moneta nazionale aggiuntiva all'euro