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lunedì 31 agosto 2020

REGIME ALIMENTARE - IN CINA PUNIZIONI PER CHI SPRECA IL CIBO: NELLE MENSE SARÀ FILMATO E SANZIONATO CHI ALLA FINE DEL PASTO RESTA CON DEGLI AVANZI

 31 AGO 2020 10:26

- L'OPERAZIONE ''PIATTO PULITO'' HA COME OBIETTIVO LA RIDUZIONE DELLE PORZIONI E IL CONSUMO CORRETTO DI CIBO, MA AVVICINA ANCORA DI PIÙ LA CINA A QUEI REGIMI DA ROMANZO DISTOPICO IN CUI TUTTO VIENE CONTROLLATO

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Michelangelo Cocco per ''Il Messaggero''

 

 

I mukbang, i video (popolarissimi in Asia) di quegli youtuber che condividono in diretta internet esperienze gastronomiche e vere e proprie abbuffate, sono le ultime vittime della campagna Piatto pulito lanciata dal presidente cinese Xi Jinping. A questi filmati è stata imposta l' avvertenza «Per una vita sana: apprezza il cibo, evita gli sprechi, e mangia correttamente!», mentre le star locali di mukbang col maggior numero di follower sono state semplicemente oscurate.

 

sala mensa in una fabbrica foxconnSALA MENSA IN UNA FABBRICA FOXCONN

Dalla rete agli uffici. Nella città di Harbin in Manciuria l' amministrazione locale ha fatto installare videocamere di sorveglianza che inquadrano i secchi dove gli impiegati vuotano i vassoi a fine pasto. Chi non consuma interamente il pranzo viene messo alla gogna, svergognato tra i colleghi attraverso gli schermi alle pareti delle mense. Nello stesso tempo, su indicazione del governo, in tutte le città del Paese i monopolisti della consegna a domicilio Meituan e Ele.me stanno invitando i ristoranti a ridurre le porzioni.

 

IRRUZIONE IMPROVVISA

Piatto pulito ha fatto irruzione tra una popolazione per la quale il cibo è quasi un' ossessione, passata dalle carestie maoiste all' ostentazione del benessere che ha accompagnato le riforme di mercato. Oggi nelle città cinesi viene importato di tutto, dalla mozzarella di bufala alle ostriche. Secondo il Food Sustainability Index, ogni cinese butta via ogni anno 32 chili di cibo. Molto meno di uno statunitense (94 chili), ma per un sistema socialista che si presenta al popolo come superiore alla democrazia liberale, si tratta di un fenomeno che Xi ha definito «scioccante e angosciante».

 

mensa 8MENSA 8

Perciò il presidente ha auspicato che Piatto pulito diventi una campagna permanente (come quella anti-corruzione), con la promozione di una cultura nella quale «lo spreco è vergognoso e la frugalità lodevole». A incoraggiare quest' ultima mossa del leader che sta provando a imporre alla Cina una terza rivoluzione (dopo quelle di Mao e Deng) potrebbero aver contribuito la guerra commerciale con gli Stati Uniti, le inondazioni che quest' estate hanno flagellato le aree attorno al Fiume azzurro distruggendo colture di grano e riso, e perfino un' invasione di locuste nella provincia dello Yunnan che sta devastando piantagioni di mais e foreste di bambù, tutti fattori che hanno evidenziato la fragilità delle catene di approvvigionamento nel paese più popoloso del mondo.

 

Ma tra gli analisti cinesi c' è chi sostiene che in realtà Xi intenda preparare la popolazione allo scenario peggiore, quello di uno scontro durissimo e prolungato con gli Stati Uniti, nell' ambito del quale l' autosufficienza alimentare s' imporrebbe come una necessità. Mentre il parlamento di Pechino ha annunciato l' introduzione di norme ad hoc contro gli sprechi («nelle fasi di produzione, acquisto, stoccaggio, trasporto, lavorazione e consumo», anticipa il presidente della Commissione legislativa Zhang Guilong), in attesa di direttive più precise, province e municipalità si muovono in ordine sparso.

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I funzionari di Partito hanno chiesto agli shanghaiesi di denunciare gli sprechi alimentari dei loro concittadini. Le autorità di Wuhan, Fuzhou e Xianning invece raccomandano ai ristoratori di servire sempre una portata in meno rispetto al numero di commensali. Negli ultimi anni, il Partito comunista si era limitato a reprimere i banchetti luculliani simbolo della corruzione tra i funzionari governativi. Ma Xi Jinping è l' artefice di una Nuova era nella quale il Partito-stato punta a riprendersi gli spazi lasciati al mercato - a partire dalle riforme economiche degli anni Ottanta nelle fabbriche, negli uffici, nelle scuole, nei cinema...

ovunque.

 

xi jinping trincaXI JINPING TRINCA

E così, anche in un momento in cui gli economisti raccomandano qualsiasi misura in grado di risollevare i consumi crollati per il Covid, la promozione della morale socialista ha la priorità assoluta, 

domenica 30 agosto 2020

Referendum, il centrodestra voti No. Gervasoni spiega perché

Marco Gervasoni PALAZZI 3 Referendum, il centrodestra voti No. Gervasoni spiega perché Un presidenzialismo non può esistere con un Parlamento indebolito e poco rappresentativo: ragion per cui, coloro che vogliono difendere davvero il senso del Parlamento, oggi, sono paradossalmente i presidenzialisti. Che quindi devono stare lontani anni luce dalla retorica anti casta dei 5 Stelle Votare Sì al referendum sul taglio dei parlamentari è coerente con la storia più antica e recente del centrodestra. Ma a nostro avviso, sarebbe meglio che l’opposizione votasse no. La storia del centrodestra nella sua fondazione berlusconiana è intrecciata all’ondata populista internazionale degli anni Novanta del secolo scorso. E intendo qui populismo come contestazione della classe politica e convinzione che le energie del popolo, democraticamente inteso, possano governare la cosa pubblica. La fondazione del berlusconismo è in tal senso plebiscitario: il capo costituisce l’incarnazione del comando democratico in cui il parlamento deve perdere il ruolo centrale occupato nella Repubblica dei partiti consociativa. Come ha scritto il sociologo francese Pierre Musso in un libro uscito lo scorso anno (Le temps de l’Etat-Entreprise: Berlusconi, Trump, Macron) il Cavaliere anticipa così esperimenti politici successivi come appunto Trump e Macron. Per essenza presidenzialistico, il berlusconismo originario non è tuttavia antiparlamentarista; ma le Camere devono essere messe a disposizione della volontà degli elettori incarnatasi nella scelta del capo. Quindi il parlamento deve essere razionalizzato, snello e funzionante, non pletorico. Passano gli anni, viene la crisi del 2007, poi la strana caduta (se proprio non vogliamo chiamarlo golpe) del governo Berlusconi nel 2011, la decomposizione del Pdl e di tutto il centrodestra, Su questa base nascono due nuove forze politiche: Fratelli d’Italia prima e la Lega salviniana poi. Esse intercettano la nuova stagione populista internazionale seguita alla crisi del 2007, che porta nel 2016 alla Brexit e in Usa poi all’elezione di Trump. Ancor più di quella degli anni Novanta, la nuova ondata è fondata sulla rivolta contro la classe politica: tutti i partiti dell’area sovranista e populista sono caratterizzati, nel loro programma, da una decisa contestazione della politica come professione e come attività separata dalla vita del “popolo”. In questa chiave il Parlamento si fa il bersaglio polemico per eccellenza rivolto contro una classe politica chiusa al paese, autoreferenziale, dove destra e sinistra si sono confuse. Indebolire questa classe politica tagliando i parlamentari diventa una proposta quasi di senso comune. Essendo Lega salvianiana e Fratelli d’Italia due partiti che utilizzano il codice populista, è abbastanza ovvio che essi siano a favore di questa riforma. Tutto questo va spiegato a chi, nel centrodestra, freddo nei confronti della scelta del Sì, ritiene sia un andare a rimorchio culturalmente dei 5 stelle. Mi spiace (a me non non tanto a dire il vero), ma siamo tutti figli del populismo berlusconiano, anche i 5 stelle, che poi hanno creato un Frankenstein populista berlingueriano. E nel codice iniziale del berlusconismo vi era la razionalizzazione del parlamento. Per essere stato padre politico di tutti noi, anche di quelli di sinistra, Berlusconi dovrebbe essere eletto presidente della Repubblica o perlomeno gli andrebbe eretto un monumento. Se il taglio dei parlamentari è coerente con la storia del centrodestra vecchio e nuovo, riteniamo tuttavia sia meglio che esso si schieri per il No. Non solo e non tanto per mettere in difficoltà il governo o per nostalgia nei confronti del parlamentarismo, già morto da tempo e che non rinascerà se le cose rimarranno come stanno. Il centrodestra dovrebbe invece optare per il no perché è cambiata totalmente la fase storico politica. Per via della pandemia prima di tutto: con la nuova governamentalità dell’emergenza sanitocratica, e scusate il foucaultismo, la tentazione di chiudere la bocca alle opposizioni continuerà, mentre invece una rappresentanza parlamentare ampia garantirà contro gli straripamenti di esecutivi sempre privi di legittimazione popolare. Poi perché in questa nuova fase è necessario creare sul fronte sovranista una rigorosa classe dirigente, viste anche le esperienze di governo deludenti, in Italia, in Austria (altre non ve ne sono state). Ma una classe politica nuova e capace si può formare solo in un Parlamento davvero rappresentativo. Infine, ultima motivazione. La democrazia parlamentare è irrimediabilmente e da tempo entrata in un vicolo cieco: per questo il No al taglio dei parlamentari dei vari cultori della “Costituzione più bella del mondo” ci suonano patetici. E chi nel centrodestra si schiera per il No, non deve confondersi in alcun modo con questi. La Costituzione italiana non è la più bella del mondo, anzi l’opposto. Bisognerà invece organizzare il consenso e le istituzioni attorno a un regime presidenziale, cioè a una nuova Costituzione, come da programma del centro destra. Vaste programme per dirla con qualcuno che un regime presidenziale lo ha creato davvero. Ma intanto un presidenzialismo non può esistere con un Parlamento indebolito e poco rappresentativo: ragion per cui, coloro che vogliono difendere davvero il senso del Parlamento, oggi, sono paradossalmente i presidenzialisti. Che quindi devono stare lontani anni luce dalla retorica anti casta dei 5 Stelle e dei loro portatori d’acqua piddini.

Il documento sul Coronavirus? Non si secreta la democrazia. Il monito di Mirabelli

Francesco Bechis PALAZZI 2 Il documento sul Coronavirus? Non si secreta la democrazia. Il monito di Mirabelli Soltanto oggi l’opinione pubblica italiana è riuscita ad avere notizia del documento che il governo aveva già dal 12 febbraio e che indicava con chiarezza la dimensione dell’imminente pandemia. Nell’analisi anche il fabbisogno di terapie intensive. Abbiamo chiesto al presidente emerito della Corte Costituzionale, il prof. Cesare Mirabelli, la sua opinione e... La trasparenza salva la democrazia. A volte può anche salvare vite. Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte costituzionale, lancia un monito in direzione Palazzo Chigi: “Lo stato di emergenza non è un passepartout”. Un documento del 12 febbraio, ha svelato Repubblica, informava il ministero della Salute delle stime da vertigine della pandemia da Covid-19 in Italia: tra i 60mila e i 120mila contagi, 10mila posti letto mancanti nelle terapie intensive, almeno 35mila morti. È stato tenuto riservato fino ad oggi. Ora qualcuno dovrà spiegare perché. Presidente, non si tratta di un documento qualsiasi. Mi sembra che da quella ricerca emergesse chiaramente il fabbisogno delle terapie intensive. Un’esigenza che è stata trascurata, e si poteva ricavare già dal divario fra Italia e altri Paesi europei, come la Germania. È stato tenuto riservato. Andava reso pubblico? Penso di sì. La trasparenza della Pubblica amministrazione è ancorata a un principio della Costituzione, quello di imparzialità e buon andamento. Non solo la conoscenza, ma la conoscibilità delle informazioni e degli atti amministrativi di interesse generale, come questo, è uno degli elementi che concorrono a qualificare una democrazia. La non conoscenza degli atti era un principio cardine dello Stato autoritario. Per portare alla luce il rapporto ci sono voluti mesi di tiro alla fune. Il governo non riteneva di renderlo pubblico durante l’emergenza. Lo Stato d’emergenza non è un passepartout. Non impone la non diffusione di notizie o documenti del genere. E deve essere rapportato a un’emergenza reale, limitata nel tempo. A maggio il direttore della programmazione del ministero della Salute Andrea Urbani disse che il piano nazionale d’emergenza prevedeva tre scenari, e che il peggiore non poteva essere divulgato per non “scatenare il panico fra i cittadini”. Deve esserci una motivazione più forte per tenere riservati questi documenti. Se si prevede un’eruzione del Vesuvio, non se ne dà notizia anticipatamente per non diffondere il panico? Non si può considerare il popolo bue. Il panico, semmai, può derivare dall’assenza di trasparenza, da informazioni frammentate e inesatte, che riguardano la generalità. Quelle cifre erano perfino superiori a quelle registrare in seguito. Non c’era il rischio di creare confusione? Tutt’altro. Le informazioni, anche quelle gravi, concorrono non solo a dare trasparenza all’azione della Pa ma anche a sollecitare l’adesione dell’opinione pubblica a comportamenti idonei allo stato d’emergenza, a renderla consapevole. Qui devo fare un appunto al Parlamento. Ovvero? Mi pare che da questa vicenda l’istituzione esca indebolita. Non c’è stato alcun segreto di Stato, ma semmai un segreto d’ufficio, che certo non è opponibile al Parlamento. Le Camere hanno tutti i poteri necessari per conoscere cosa fa il governo e indirizzarne l’azione. Mirabelli, lo stato d’emergenza prima o poi deve finire? Ripeto, è per definizione limitato nel tempo, e proporzionato. Ho dubbi, pur comprendendone le ragioni, su atti amministrativi come i Dpcm usati come strumento di limitazione delle libertà. Fin dove si può comprimere un diritto? È una domanda che altrove si sono posti. In Germania il Tribunale costituzionale ha ritenuto eccessiva la limitazione degli accessi ai luoghi di culto islamici. In Francia il Consiglio costituzionale ha ben spiegato la distinzione fra limitazione proporzionale e soppressione dei diritti. Alla base di tutto c’è un cortocircuito italiano. Tecnici o politica, chi decide? La politica deve decidere. I tecnici devono essere ascoltati, ma possono dare elementi di conoscenza difformi, come in effetti è successo. La gravità della crisi ha portato spesso a decisioni immediate, ci ha trovati impreparati. Non c’è nulla di scandaloso. Ma spetta alla politica assumersene le responsabilità.

venerdì 28 agosto 2020

L'algoritmo di Gesù. Il Cattolicesimo è un sistema matematico, come suggerisce la natura?

In molti pensano che il Cattolicesimo romano sia la religione dei buoni sentimenti, di un amore zuccheroso, spontaneo e accondiscendente. Sbagliato. E’ la religione del Logos, della Logica. Ora, che questa logica sia di matrice divina o sia una costruzione puramente umana è, naturalmente, questione di fede, ovvero della libera adesione che nasce da un’apertura emotiva. Tuttavia, indagata con sguardo laico, la dottrina cattolica appare talmente ben congegnata al proprio interno, con un criterio così “scientifico” da lasciare stupefatti. Almeno fino al Concilio Vaticano II, i pronunciamenti della Chiesa sulle più varie questioni della contemporaneità rivelano una mirabile coerenza logica con gli assunti iniziali, biblici ed evangelici. Ancor oggi, il Catechismo, nell’edizione del 1992 (curata non a caso da una mente adamantina come quella di Joseph Ratzinger) offre un impianto straordinariamente consequenziale e coerente dove i concetti primigeni vengono ampliati e sviluppati senza incappare in contraddizioni. Una specie di “matematica”. Ora, dato che l’uomo ha potuto ampiamente descrivere e indagare (misurando) l’universo fisico attraverso la matematica, sorge un interrogativo: se Cristo fosse stato veramente il figlio del Dio creatore dell’universo, perché lasciare un messaggio agli uomini del tutto estraneo a una logica matematica ripercorribile dall’intelligenza umana? Da qui la proposta: e se il Cattolicesimo, quindi, non fosse altro che un “algoritmo a dimensione frattale”? In due parole Niente paura, esemplifichiamo veramente al massimo: per algoritmo si intende un procedimento che risolve una classe di problemi attraverso poche istruzioni elementari, chiare e inequivocabili. Per frattale, invece, si intende un oggetto che si ripete nella sua forma, allo stesso modo, su scale diverse senza rendersi dissimile dall'originale, in base a un algoritmo. Un esempio matematico semplicissimo? La serie frattale: 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34…. Ogni numero intero è dato dalla somma dei due precedenti e questa regola (detta Serie di Fibonacci) è l’algoritmo. La natura offre diversi esempi di tale struttura matematica. Quello più a portata di mano è … il broccolo: osservate le sue cimette, sono tutti piccoli broccoli che si riproducono sempre nello stesso modo, in misura sempre minore. Anche l’abete riproduce su ogni ramo, rametto e ramoscello sempre lo stesso schema, in dimensione frattale, tanto che ne basta solo una fronda per simulare un intero albero di Natale. E ancora, l’Aloe spiralata, la conchiglia del Nautilus, vari cristalli etc. Parola e Tradizione: algoritmo e frattali Mutatis mutandis, nella religione cattolica potremmo individuare come algoritmo i 10 comandamenti dell’Antico Testamento e gli insegnamenti di Gesù Cristo: la Parola. Istruzioni, semplici, inequivocabili, impostate su due assi cartesiani: uno verticale – riconoscimento di Dio e adesione alla Sua volontà – l’altro orizzontale, con norme per la convivenza civile e per risolvere i problemi dell’esistenza umana. Da queste regole si ramificano tutta una serie di corollari logici negli insegnamenti prodotti dalla Chiesa attraverso la sua bimillenaria Tradizione: quelli che definiremmo le dimensioni frattali. La Parola sarebbe dunque l’algoritmo, e la Tradizione la dimensione frattale. Qualsiasi teologo (della vecchia scuola) può infatti confermare che ogni dogma, principio, aggiornamento fino alle più recenti posizioni su temi di attualità discendono direttamente dai comandamenti e dalla Parola di Cristo, comprendendoli, sviluppandoli e adattandoli a ogni singolo nuovo caso e contingenza, senza tradirli, conservando la loro forma iniziale. Un esempio? Dal “NON UCCIDERE” mosaico di 4000 anni fa, passando per gli insegnamenti di Gesù, oggi sortisce la contrarietà dei cattolici all’aborto: la vita nasce col concepimento, è un dono di Dio e quindi non si può in NESSUN caso togliere la vita al nascituro innocente. Attenzione, ognuno è libero di pensarla come vuole, ma bisogna ammettere che il sistema è INTERNAMENTE coerente, con una stessa regola applicata nel microscopico e nel macroscopico (e quindi frattale). L’algoritmo degli storni e il prossimo Non è qui la sede per potersi dilungare in altri esempi, ci limiteremo a lanciare un input che potrebbe sollecitare un dibattito sull’eventuale “matematica nascosta” del Cattolicesimo. Gesù Cristo comandò: ama il Signore Dio tuo e ama il PROSSIMO tuo come te stesso. Non disse “ama l’ALTRO come te stesso”. La parola “prossimo” non è casuale e in tutte le lingue è tradotta come “il vicino”. Un aggettivo sostantivato, dunque, che indica una qualità, una gerarchia, un ordine: evidentemente c’è chi è più prossimo e chi è meno prossimo. Perché questa distinzione? La natura, ancora una volta, ci propone un affascinante parallelismo. Avete presente gli storni, quegli uccellini che, nel cielo d’autunno, sciamano nel cielo creando forme plastiche, sempre diverse, ma compatte? Come fanno gli storni a non scontrarsi durante il volo e a mantenersi uniti? Hanno spiegato gli scienziati che essi seguono un algoritmo matematico: ogni uccellino regola il proprio volo basandosi sulla posizione di quei 5-6 che gli stanno accanto, i suoi “più prossimi”, appunto. E così, tornando alla “formula” di Cristo: se ognuno volesse il bene delle persone che gli sono più vicine, (alla luce delle regole di Dio) non vi sarebbero scontri fra gli uomini, né conflitti e tutti vivrebbero tranquilli e in pace. Potrebbe essere una ricetta sociale niente male: la propria realizzazione in armonia con quella dei vicini, come per gli uccelli in volo nello stormo. Non la realizzazione personale a scapito degli altri, come nel liberismo ultracapitalista, né la mortificazione dell’individuo presuntamente a vantaggio degli altri, come nel comunismo. Un giusto mezzo. Tale algoritmo potrebbe essere ovviamente esteso al rapporto tra famiglie e poi tra nazioni: tanti stormi, via via sempre più grandi, che volano insieme pacificamente cooperando al bene comune, senza guerre, come del resto raccomanda la dottrina sociale della Chiesa. L’obiezione prevedibile I catto-progressisti contesteranno citando la parabola del Buon Samaritano, che raccolse per strada un giudeo ferito, pur appartenendo, questi, a una nazione ostile. Una clamorosa contraddizione del “principio di prossimità del prossimo”? Bisogna leggere bene la parabola: il samaritano paga di tasca propria l’ALBERGO al giudeo per il tempo necessario a ristabilirsi, gli cura le ferite e poi lo rispedisce per conto suo. Si guarda bene dall’accoglierlo in famiglia (in effetti non lo conosce) e, alla fine lo manda per la sua strada, in modo che possa tornare nel suo gruppo “meno prossimo”. Quindi la parabola del buon samaritano appare piuttosto come una dimensione frattale, una chiosa, un perfezionamento che completa e arricchisce il “comandamento algoritmico” di amare il prossimo secondo un certo ordine (ordo amoris) e senza tradire la sua essenza. Le eresie: frattali illogicamente difformi dall’algoritmo Proviamo a verificare con un procedimento inverso. La logica costruzione della sua dottrina ha fatto sì che il Cattolicesimo romano, per quasi 2000 anni, abbia potuto egregiamente difendersi dalle eresie in quanto “frattali difformi dall’algoritmo”. Un esempio? L’eresia dell’Apocatastasi - già condannata nel sinodo di Costantinopoli nel 543 e tornata oggi di moda sotto il nome di “misericordismo”. Questa vorrebbe la misericordia di Dio talmente grande da salvare tutti, buoni e cattivi. L’Apocatastasi, però, contraddice uno degli algoritmi di base sulla libertà dell’uomo e le chiarissime parole di Cristo sull’inferno. La sana dottrina cattolica, infatti, ribadisce che la misericordia di Dio è sì infinita, ma è necessario attingervi tramite il pentimento. Così come l’”infinita luce del sole” non può abbronzare chi decide di rimanere all’ombra. Se Dio mandasse forzatamente tutte le anime in paradiso sarebbe un atto lesivo della libertà che l’uomo ha di rifiutarLo e di restare nell’oscurità. Il frattale dell’apocatastasi-misericordismo non è quindi coerente con l’algoritmo: bocciato. Un lumino nel buio E allora, se è tutto così chiaro, dove si colloca il Mistero? Il Cattolicesimo ritiene che Dio abbia fornito all’uomo la possibilità di indagare appena un po’ nel buio che lo circonda, con una piccola luce. Quel poco che riesce a illuminare è però reale, è acquisibile. Quindi si potrebbe dire che il mistero è quella zona di oscurità ancora non illuminata dal sistema di dimensioni frattali che la conoscenza umana sviluppa a partire dall’algoritmo divino. Un esempio? In questo articolo https://www.liberoquotidiano.it/articolo_blog/blog/andrea-cionci/22526767/sindone_chiesa_cattolica_madonna_maria_vergine_dogma_sacro_cuore_mese_mariano_miracolo_nativita_annunciazione.html abbiamo proposto un’ipotesi che lega l’uomo della Sindone ai dogmi di fede e ai più reconditi segreti della fisica quantistica. Se gli scienziati del futuro scopriranno che esiste realmente uno spirito che agisce sulla materia aggregandola o disgregandola a piacimento, sarà una nuova “propaggine frattale” di conoscenza in più nel rapporto tra scienza e fede. Il Cattolicesimo sopravvivrà? Sopravvivere è adattarsi, e questa è un’azione profondamente logica: al mutare delle condizioni esterne si operano alcuni cambiamenti senza stravolgere la propria identità. Il Cattolicesimo romano ha saputo resistere di fronte alle conquiste della scienza e della filosofia, dimostrando di possedere risorse per fornire risposte logicamente coerenti con i propri principi. Fra qualche migliaio di anni “vedremo” che fine avrà fatto, se si sarà estinto o se si sarà darwnianamente diffuso in tutto il mondo come il miglior sistema, quello vincente. Nel secondo caso, si potrebbe ragionevolmente convenire sulla sua origine non-umana: difficilmente la nostra intelligenza, da sola, potrebbe partorire un sistema così perfetto senza un “aiutino” ultraterreno. E’ logicamente impossibile che una nuova religione mondiale, sincretista, possa affermarsi: mescolare gli algoritmi delle varie religioni vorrebbe dire costruire un “prodotto di laboratorio”, simile ad esempio (secondo alcune ricostruzioni) al Coronavirus e quindi destinato ad estinguersi. Un esempio? Quando i futuri sincretisti dovranno interrogarsi sui destini ultimi dell’anima umana, cosa sceglieranno? Le vergini e i fiumi di latte e miele dell’Islam, il mondo a venire ebraico, la reincarnazione induista, o il Purgatorio cattolico? Il sistema logico andrà in blocco e imploderà. La conditio sine qua non Una cosa appare evidente: la sopravvivenza del Cattolicesimo è strettamente legata alla Tradizione, cioè a tutto il sistema di dimensioni frattali che ha organizzato il rapporto fra gli algoritmi (la Parola) e la realtà, fino ai tempi recenti. Quindi, si potrebbe logicamente affermare che il Cattolicesimo di oggi o è in perfetta armonia con la Tradizione, o NON SARA’ PIU’. Cambiare gli algoritmi, o creare frattali disarmonici (quindi introdurre concetti eretici) innesca un effetto a catena totalmente distruttivo per l’intero impianto logico. Ecco perché, ad esempio, i conservatori cattolici si ribellano anche di fronte a innovazioni apparentemente minime e trascurabili nella dottrina, poiché costoro già prevedono l’opera disgregatrice, la metastasi che si verificherà nell’impianto generale. Basta sregolare una singola rotellina del grande orologio del Cattolicesimo romano, e tutto, col tempo, andrà a farsi benedire. Ci sarebbe ancora molto da dire, ma preferiamo fermarci qui citando una frase del famoso matematico Benoît Mandelbrot: “La mia convinzione è che i frattali saranno presto impiegati nella comprensione dei processi neurali, la mente umana sarà la loro nuova frontiera”. Una mente a immagine di Dio?

mercoledì 26 agosto 2020

"La comunità scientifica ha fallito, facciamo autocritica. Ora evitiamo la seconda ondata"

Ilaria Capua al Corriere della Sera parla della strategia: "Non occorrono decreti, ma un’attiva collaborazione della popolazione. È una questione di responsabilità collettiva"

martedì 25 agosto 2020

Il fascino indiscreto (e il prestigio) dei despoti

 

Il fascino indiscreto (e il prestigio) dei despoti

Nel suo discorso alla convenzione democratica Joe Biden ha detto che se verrà eletto non ci saranno più coccole ai dittatori né si permetterà loro di interferire nelle campagne elettorali americane. Nella promessa di Biden, gli Stati Uniti torneranno a distinguere nettamente fra democrazie e dittature. Dopo il ciclone Trump e gli sconvolgimenti che egli ha provocato nella politica estera americana, un’eventuale Amministrazione Biden significherebbe per molti versi, e pur tenuto conto delle mutate circostanze, un ritorno all’antico. Quali che possano essere le concessioni di Biden alla sinistra del Partito democratico in certe scelte di politica interna, in materia fiscale e di welfare,la sua politica estera promette il recupero dei legami(quasi spezzati da Trump)con gli antichi alleati europei e asiatici e il contrasto agli appetiti neo-imperiali di Russia e Cina, potenze che in questi anni hanno ottenuto,nei vari scacchieri, molti vantaggi.

Se Biden verrà eletto sarà interessante osservare le ricadute sugli atteggiamenti di certi settori dell’opinione pubblica europea: subiranno ancora quei settori,come è accaduto negli ultimi anni, il fascino delle potenze autoritarie? La perdita di prestigio degli Stati Uniti nel mondo,e anche in Europa,in coincidenza con la percezione di una sua diminuita potenza, comincia ad essere segnalata dalle rilevazioni demoscopiche fin dal 2012/2013.

Inoltre, soprattutto negli ultimi anni, risulta assai accresciuto in vari Paesi europei il prestigio delle potenze autoritarie. Hanno concorso a questo risultato il nazionalismo di Trump, i successi economici cinesi e anche la comprovata capacità della Russia di sfruttare le opportunità offerte dalla società aperta occidentale per manipolarne le opinioni.

All’apparenza, quel prestigio non ha ragion d’essere. Prendiamo il caso di Aleksej Navalny,l’oppositore del presidente Putin. È risultato confermato il sospetto di avvelenamento che hanno avuto tutti subito. Nelle democrazie ove l’opposizione è non solo legale ma anche tutelata, se un leader dell’opposizione sta male, nessuno pensa che sia stato avvelenato dal governo. Oppure si consideri la brutalità del comportamento cinese a Hong Kong. Chi, in Occidente, avrebbe voglia di sperimentare sulla propria pelle le durezze del dominio cinese? Da dove derivano dunque certe correnti di simpatia? La prima spiegazione,la più ovvia,è che dipendano dall’ostilità che diversi occidentali nutrono nei confronti della società in cui vivono e, in primo luogo, nei confronti del principio-cardine di tale società: la competizione regolata dalle leggi in ambito politico (democrazia rappresentativa) e in ambito economico (mercato). È quel principio a vincolare i governi, a obbligarli a rispettare libertà e diritti di cittadinanza. Dove quel principio non è in vigore non ci sono (di fatto) diritti di cittadinanza, non c’è nulla che possa tenere a bada i governi, essi sono liberi di esercitare la coercizione nei confronti di chiunque.

Ma c’è anche un’altra ragione che forse aiuta a spiegare una corrente di simpatia che altrimenti sarebbe incomprensibile. Il fatto che, salvo in caso di crisi acuta (repressione a Hong Kong o in Bielorussia), i regimi dispotici diffondono intorno a sé un’immagine di solidità e di stabilità, danno la falsa impressione di godere di molto più consenso interno di quanto ne esista effettivamente. In circostanze normali i regimi dispotici possono per lo più permettersi di usare la forza con una certa parsimonia (l’assassinio di un oppositore qua, l’arresto di un gruppo di manifestanti là). Una volta che siano stati licenziati — dai giornali, dalle università, eccetera — o anche arrestati, tutti coloro che sono in odor di opposizione o di fronda al regime, è in genere sufficiente la minaccia di usare la violenza per tenere buoni i sudditi. Ovviamente, anche le dittature godono di consensi. Ma, fin quando il regime dura, quei consensi vengono sopravvalutati dagli osservatori esterni a causa dell’esistenza di un sistema di deterrenza,di minaccia latente e tacita, ben oliata e funzionante.

Si noti che l’attrazione per il dispotismo, in Occidente, può essere, indifferentemente, un fenomeno «di destra» o «di sinistra». Inoltre, prescinde da livelli di istruzione e conoscenze. Il dispotismo può attrarre il raffinato uomo di cultura,la persona di modesta istruzione, il semi- analfabeta. Tanto, per dire, un Jean Paul Sartre (che inneggiava all’Urss negli anni Cinquanta, imitato da moltissimi altri intellettuali in Francia e in Italia ) quanto un sottoproletario affascinato dall’una o l’altra variante del radicalismo di destra. Sofisticati o rozzi che siano gli argomenti addotti, il governo in mano all’uomo forte, libero di fare ciò che vuole dei propri non-cittadini, dei propri sudditi, ha sempre trovato qui da noi, e li trova ancora, i suoi estimatori.

Pur non essendo la causa del fenomeno, Trump ha contribuito alla popolarità dei dispotismi mostrando di preferire il dialogo con gli autocrati a quello con i governi democratici europei.

Se Biden verrà eletto le cose, plausibilmente, cambieranno. Forse, se egli assumerà, nei confronti della Russia, una postura di più energica contrapposizione, ci saranno manifestazioni di antiamericanismo aperto da parte dei fan europei di Putin. Nel complesso, però, un’America che ricuce la tela delle antiche alleanze dovrebbe contribuire a ridimensionare certe correnti di opinione.

Anche perché la democrazia occidentale, pur con tutte le sue magagne, dispone del seguente inestimabile vantaggio: gli ammiratori occidentali dei despoti , di ieri e di oggi, inneggiano a regimi sotto i quali, personalmente, non sarebbero disposti a vivere. Sostengono di apprezzare l’uno o l’altro dispotismo ma è chiaro che si sentono rassicurati dal fatto che, a casa loro, ad esempio, possono inveire quanto vogliono contro il governo in carica. La polizia politica non andrà di notte a prelevarli.

24 agosto 2020, 20:52 - modifica il 24 agosto 2020 | 20:53

REFERENDUM, PERCHÉ NO/-26. Gli attesi "correttivi" alla riforma non arriveranno mai

 Andrea Cangini Giornalista, senatore di Forza Italia

Così come non sono mai arrivati i “correttivi” alla riforma della giustizia che ha posto fine alla prescrizione che condanna i cittadini a un processo a vita, non arriveranno neanche i correttivi invocati dal Pd al taglio della rappresentanza parlamentare che priva i cittadini del 36,5% di referenti in Parlamento.

E poi, che cos’è “un correttivo”? In farmacologia il sostantivo definisce quella sostanza, di solito uno sciroppo, che viene aggiunta ai farmaci per mascherarne il cattivo sapore.

È dunque di questo che stiamo parlando, di un mascheramento. In effetti di un’ipocrisia, essendo evidente che una riforma costituzionale dannosa non potrà mai essere “corretta” da leggi ordinarie o da regolamenti parlamentari tanto da essere trasformata in una riforma benefica.

Si delegittima il Parlamento, si escludono dalla rappresentanza interi territori, si ribaltano i rapporti di forza nella platea che eleggerà il prossimo presidente della Repubblica, si penalizzano le minoranze, si rendono ingestibili le commissioni parlamentari e tutti gli organi a composizione fissa del Senato...

È per questo che il costituzionalista Salvatore Curreri ha detto che “con questi numeri il Senato non può funzionare”. È per questo che l’ex presidente dei costituzionalisti italiani Massimo Luciani ha detto che “se prevarranno i Sì, il Parlamento non potrà funzionare”. E non basterà qualche goccia di sciroppo a migliorare la situazione.

Anche per questo #IoVotoNo

lunedì 24 agosto 2020

Il Pd e la sindrome della subalternità

 

23 AGOSTO 2020

Il vero pericolo che sta correndo il centrosinistra è quello di mostrarsi costantemente "vassallo" di un signore più forte, più convinto delle proprie idee. Ciò che sta accandendo sulla riforma elettorale e sul taglio dei parlamentari ne è una prova evidente
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La subalternità. È questo il vero pericolo che stanno correndo il Pd e il centrosinistra. Mostrarsi costantemente vassallo di un "signore" più forte. Più convinto delle proprie idee. Dal 2018 i Democratici sembrano avvilupparsi in una spirale che porta alla sottomissione culturale. Raramente vivono di luce propria, spesso di quella riflessa. O, per meglio dire, di ombra riflessa.

Senza dubbio il sistema politico del nostro Paese ha subito negli anni una perversa involuzione, che l'ha reso sempre più primitivo. In particolare nel rapporto con l'opinione pubblica sempre più costruito sulla accondiscendenza anziché sulla persuasione. Ma il Pd ha rinunciato al tentativo di fermare o almeno di frenare questa trasformazione. Ha imboccato una scorciatoia. Ha preferito modulare i propri comportamenti e le proprie scelte sulla base dell'avversario di turno. Si rifugia nel concetto del "meno peggio" come se non ci fosse o, purtroppo, non fosse in grado di definire un "meglio".

Per un periodo la destra italiana ha finito per condizionare la sinistra. Una destra che ora è sovranista antieuropeista populista radicale e soprattutto incapace di essere normale come in Germania o in Gran Bretagna. La semplicità del messaggio lo ha reso efficace. Il centrosinistra allora si è sagomato su di essa per fermarla, giustamente. Dimenticandosi che quando ha vinto, lo ha fatto con le proprie ragioni. Adesso la dinamica appare la medesima. Il profilo cui si conforma è quello del Movimento 5 Stelle. Stenta così ad emergere il nucleo della sua natura. Svanisce l'ambizione di una politica originale. Quel che sta accadendo sulla riforma elettorale e sul cosiddetto taglio dei parlamentari ne è una prova evidente.

Il Partito democratico ha votato per ben tre volte in un anno contro la riduzione del numero dei senatori e dei deputati. E solo nel passaggio finale si è espresso a favore. Una capriola incredibile. Apertamente giustificata solo dalla nascita del governo Conte 2. Motivata dallo spettro di un ritorno alla vittoria di Salvini e dall'intesa per il ritorno ad un sistema elettorale proporzionale che avrebbe allontanato quello spettro. Un accordo, peraltro, che ancora non si è realizzato. Molti esponenti del Pd sostanziano questa scelta citando una frase che Alcide De Gasperi pronunciò nel 1946 contro l'opzione presidenzialista durante una riunione dei costituenti democristiani: "Nel contesto politico italiano la scelta presidenzialista favorirebbe l'elezione a presidente di un socialista, sostenuto dall'intero blocco dei voti socialcomunisti". A parte che il quadro di quella fase è imparagonabile all'attuale, il punto è che il segretario Dc non rinunciò alla propria politica per la paura di perdere. Proprio come fece, dall'altra parte di quella barricata, Palmiro Togliatti. Le leadership in politica non contemplano abdicazioni su valori e principi, semmai indicano prospettive e non si adagiano su una sorta di comfort zone che tutela esclusivamente l'esistente.

Tutto questo, allora, non cancella ma ingigantisce l'incoerenza. In particolare non allontana la debolezza degli argomenti addotti per sostenere un eventuale Sì al prossimo referendum costituzionale. Questa cosiddetta riforma sortisce solo l'effetto di mutilare la Costituzione e di renderla irragionevole in alcune sue parti. Ad esempio negli articoli che disciplinano l'elezione del Capo dello Stato (peraltro prossima) in cui la presenza dei delegati regionali sarebbe del tutto sproporzionata rispetto ai parlamentari. Come spesso accade nella nostra storia, siamo un unicum. Stavolta con una miscela di propaganda e demagogia. In Francia dal 1962 al 1988 i componenti dell'Assemblea Nazionale sono addirittura cresciuti da 482 a 577 e i senatori da 321 a 346. In Germania i membri del Bundestag sono 709 e nessuno si chiede se siano troppi.

Senza contare che l'attuale Parlamento non sembra affatto in grado di procedere con una ulteriore riforma che possa limitare questo colpo di scimitarra. Il Pd, dunque, ora deve decidere cosa fare il prossimo 20 settembre. Stabilire se è il partito dei primi tre No o quello dell'ultimo Sì. Deve valutare se stare al governo sia una ragione sufficiente per deflettere dalla propria identità e per acconciarsi su una linea caudataria. O se al contrario sia possibile fare politica senza farsi soffocare dal complesso di essere figli di un Dio minore. Ormai diversi anni fa Norberto Bobbio avvertiva la sinistra italiana: "Discutono del loro destino senza capire che dipende dalla loro natura. Risolvano il problema della loro natura e avranno risolto il loro destino". Il Pd deve ancora fare i conti con la sua natura.

Referendum, 183 costituzionalisti dicono No

 POLITICA

24/08/2020 09:32 CEST

Risposta all'appello di Huffpost. “Non può trascurarsi lo squilibrio che si verrebbe a determinare qualora, entrata in vigore la modifica costituzionale, non si avesse anche una modifica della disciplina elettorale”