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lunedì 23 marzo 2020

No, il Coronavirus non è nato in un laboratorio

L’idea sciocca che il virus nasca in laboratorio è smentita, in modo deciso, dalla biologia molecolare. Ecco come

No, il Coronavirus non è nato in un laboratorio
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«Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio...» dice Amleto all’amico e compagno di studi. Questo famoso avvertimento, rivolto più a se stesso che all’amico, mi viene in mente tutte le volte che mi trovo al cospetto di qualcosa di misterioso o, per meglio dire, di tanto ricco e nuovo da apparirci misterioso. In questi giorni siamo chiusi in casa a vedere quando passerà questo turbine virale che sembra fare volar via tutti gli stracci. Sto parlando del Covid-19, che ci fa rimpicciolire il cuore e farfugliare il cervello. Prima non c’era, ora c’è, eccome! Da qualche parte sarà venuto, ma da dove? E, soprattutto, chi ci ha messo lo zampino? Noi uomini non vediamo le montagne, ma gli zampini ci sembra sempre di vederli. Nell’ansia di spiegare ma anche d’incolpare. E i soliti «ben informati» ci forniscono tutti i dettagli. Nella fattispecie c’è chi è sicuro che la presente forma del virus sia stata confezionata a bella posta in qualche laboratorio o che la sua diffusione sia dovuta a una fuga di materiale infetto da qualche arsenale biologico. O si tratti di una combinazione delle due cose.
Non è così. Ce lo dice la biologia molecolare. Sull’ultimo numero della rivista Nature Medicine si può leggere un articolo secco e tagliente, corredato fortunatamente da una splendida figura a colori. È un dato bruto e scheletrico, eccezionale anche per la biologia molecolare: sequenze di Dna allineate lettera a lettera, per poter essere confrontate. Due sono di coronavirus umano (una dell’attuale agente virale del Covid-19) tre di coronavirus di pipistrello e una di coronavirus di pangolino. Le sequenze riguardano la «punta» più esterna di quei minuscoli organelli, quasi antennine, con cui il virus viene a contatto con le cellule, in questo caso le nostre. Sono state scelte in particolare due minuscole regioni di cui parleremo fra un attimo.
Il risultato è chiaro. Il virus attuale è strettamente imparentato con gli altri virus del passato, appartenenti alla stessa famiglia. Le differenze sono piccole ma significative, originatesi probabilmente per mutazione spontanea. Non c’è nessuna evidenza che possano essere state prodotte in laboratorio. Quel che resta da decidere è se le mutazioni sono intervenute quando il virus aveva già invaso la specie umana, o mentre era ancora ospite di cellule di un animale diverso, pipistrello o pangolino probabilmente, o infine durante il passaggio dalla specie precedente alla nostra. Gli autori non sanno decidere; la cosa richiederà altro lavoro.
Avevo accennato alle due piccole regioni analizzate. La prima riguarda l’attracco del virus alla cellula da attaccare, la parte «offensiva» della particella virale: più efficace la manovra di attracco, più considerevole il danno per l’organismo ospite. Ma anche l’organismo si difende, spezzando l’organello di contatto stesso, e lo fa «attaccando» la seconda piccola regione della nostra sequenza. Dal punto di vista del virus questo significa sapersi o non sapersi proteggere dalla reazione del corpo. Anche in questo piccolo oggetto biologico, quindi, esiste l’attacco, la prima regione, e la difesa, la seconda regione. Non sarebbe male ricordarsene quando si pontifica su ciò che è bene e male, e si pretende di «insegnare» alla natura come si deve comportare.
Per quel che ci riguarda qui, non ci sono stati complotti o «scherzetti» da parte di esseri umani, anche se sono sicuro che qualcuno non ci crederà. Noi esseri umani siamo scagionati allora? No. Ci sono tre delitti dei quali ci siamo macchiati e ci stiamo macchiando: l’indifferenza verso il degrado ambientale del pianeta, la nostra insaziabile ingordigia e venalità e la presuntuosa ignoranza. Del degrado ambientale non parlerò perché se ne parla anche troppo, ma quando l’ambiente si degrada si degrada tutto. Perché l’ingordigia? Perché gli animali che ci hanno trasmesso la malattia, i poveri pangolini, sono oggetto di affannoso commercio, per la loro «carne» e per i supposti pregi medicamentosi. Pare che il mercato di Wuhan ne brulicasse. Tenerissimo è il pangolino, mezzo armadillo e mezzo formichiere, capace di appallottolarsi in un attimo a scopo di difesa. Il suo nome viene dal termine malese che designa «quello che si appallottola», al punto che i primi esploratori gli dettero il nome di carciofo a quattro zampe. Ingordigia quindi come in quasi tutte le epidemie dei nostri tempi. E del futuro. Ma anche ignoranza e presunzione che portano ad attribuire agli organi animali più diversi, poteri mirabolanti, se non magici nell’incidere sulla nostra salute. Questo è grave. Qualunque problema possa derivare dall’aumento delle conoscenze e dalla scienza non sarà mai con l’ignoranza e la sicumera che potremo rispondere efficacemente
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