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giovedì 30 aprile 2020

Quando serve (davvero) la protesi al ginocchio

In Italia se ne impiantano circa 80 mila l’anno, soprattutto negli anziani. L’artrosi è la causa principale. I risultati sono duraturi ma bisogna valutare bene tutte le variabili prima di procedere. L’operazione è indicata quando la qualità della vita è compromessa

Quando serve (davvero) la protesi al ginocchio
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La protesi del ginocchio, nell’80 per cento degli interventi, può durare più di 25 anni. A ribadire l’efficacia di questo impianto è uno studio pubblicato dall’Università di Southampton (Regno Unito) che ha preso in considerazione i registri medici relativi a questo tipo di chirurgia di tre Paesi: Inghilterra, Australia e Finlandia. Secondo i dati emersi questo tipo di impianto non solo funziona, ma dura più di quanto si creda: la protesi totale, nell’82,3 per cento dei casi analizzati, era ancora intatta dopo un quarto di secolo. In Italia, in media, ogni anno si impiantano 80 mila protesi al ginocchio. L’artrosi è la causa principale che porta a questo genere di chirurgia. Gli anziani sono la categoria più interessata, ma la necessità di ricorrere agli impianti è aumentati anche tra le persone più giovani.
Grazie al costante miglioramento dei materiali impiegati e alle tecniche chirurgiche sempre meno invasive, la maggior parte delle persone operate si dichiara soddisfatta dei risultati, ma rimane una quota di insoddisfazione per varie ragioni, dalle aspettative legate all’impianto ai dolori o alle limitazioni funzionali. «L’artrosi è la causa principale di intervento di protesi al ginocchio» spiega Roberto D’Anchise, primario di chirurgia del ginocchio dell’ IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano. «Insorge in seguito alla perdita graduale della cartilagine articolare (il tessuto connettivo che ricopre le articolazioni, ndr), causando dolore e difficoltà di movimento. Si manifesta con l’avanzare dell’età, ma può insorgere anche in soggetti più giovani, e interessa, in modo lieve, oltre il 90 per cento della popolazione ultrasettantenne. Nelle persone più giovani può essere dovuta a traumi e a lesioni meniscali o legamentose (artrosi post-traumatica) oppure ad artrite reumatoide, solo per citare alcune cause. Indipendentemente dall’età del soggetto quando l’artrosi inficia significativamente la qualità della vita, con dolori notturni, difficoltà di movimento, limitazioni del cammino e non esistono alternative mediche efficaci (come terapie farmacologiche, trattamenti fisioterapici o interventi chirurgici per correggere deformità congenite, come il ginocchio varo o valgo) l’intervento protesico rimane l’unica opzione ma è giusto indicarlo solo quando altre soluzioni si sono rivelate inefficaci».
Nella maggior parte dei casi l’impianto della protesi è un intervento d’elezione vale a dire non obbligatorio (come può esserlo invece, ad esempio, uno in seguito alla frattura del femore), ma che aiuta a migliorare la qualità della vita quotidiana. «Perché ci sia indicazione ad andare in sala operatoria è necessario capire che tipo di vita conduce il candidato: se è anziano, ha difficoltà a camminare, ma per la maggior parte del tempo rimane a casa e non fa grandi attività, forse la protesi si può evitare. Al contrario, se una persona ha un’artrosi debilitante, l’impianto può essere la soluzione. E se, come citato dallo studio inglese, le protesi durano oltre 20 anni, ha poco senso aspettare» precisa lo specialista. Per questo tipo di intervento si richiede una preparazione muscolare, con attività specifiche per rinforzare i muscoli dell’arto interessato dall’operazione. Per impiantare la protesi si utilizza per lo più l’anestesia spinale, non quella generale: il paziente, quindi, rimane cosciente durante l’intervento. Il ricovero può durare dai 4 ai 7 giorni, mentre il percorso riabilitativo richiede alcuni mesi: per i primi 30 giorni è necessario usare le stampelle, in seguito devono essere praticati esercizi di fisioterapia. Nei casi di insuccesso (perché c’è dolore o usura della protesi) si può procedere alla revisione, che consiste nel reimpianto della protesi. Dev’essere chiaro che l’intervento di protesi non si fa perché si vuole giocare più comodamente a tennis o a golf.
Si tratta comunque di un intervento chirurgico che deve essere indicato se strettamente necessario. Il rischio, infatti, è quello di generare nei pazienti aspettative superiori a quelle che è realistico attendersi: «Stiamo parlando di qualcosa che ricopre un’articolazione molto complessa — sottolinea D’Anchise — e che, per quanto all’avanguardia, non può riprodurre fedelmente la perfezione della natura. Bisogna quindi ricordare al paziente tutte le caratteristiche di questo intervento, spiegando bene il decorso post-operatorio». Spesso, con la protesi, si possono svolgere attività fisiche a basso impatto come la camminata, il nuoto o lo sci di fondo ed è dimostrato che, per chi svolgeva questi sport prima dell’intervento protesico, è più facile riprenderli dopo l’impianto. Altre attività ad alto impatto, come la corsa e le arti marziali, sono sconsigliate. «È bene quindi che non sia trascurato nessun aspetto e che siano illustrate, attraverso il consenso informato, tutte le caratteristiche dell’intervento — ribadisce lo specialista — se il rapporto medico paziente è già di per sé essenziale in qualsiasi tipo di prestazione, lo è ancora di più per situazioni come queste».

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