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mercoledì 22 aprile 2020

Salutarsi in italiano

14
GIU
2009

Salutarsi in italiano


Una utente, a cui ha risposto Massimo Arcangeli (8 maggio, ore 22.56), ha manifestato i suoi dubbi sull’uso di buon pomeriggiobuonasera e buonanotte. Una preziosa occasione per trattare il tema in una chiave più generale.
Come si salutano, oggi, gli italiani? Nel linguaggio corrente il portabandiera delle formule di saluto, anche in virtù di una tendenza diffusa all’uso di un registro informale, è l’amichevole ciao, che si utilizza all’inizio e alla fine di un incontro fra persone che si danno del tu. Termine fortunatissimo perché breve, incisivo, facile da pronunciare con un sorriso. Una parola sempre “giovane”, tanto fortunata da dare il nome a un popolarissimo ciclomotore, molto amato dagli adolescenti negli anni Settanta e Ottanta. Eppure è un saluto antico e, nel  significato originale, molto cerimonioso. Proviene dall’Italia settentrionale, più precisamente da Venezia: schiao (che si legge s-ciao) è forma accorciata – sincopata – di “schiavo”. Ciao è, dunque, l’equivalente di “servo (suo)”. Saluto informale per eccellenza, viene adoperato anche in contesti comunicativi che richiederebbero decisamente la formalità. Non è raro entrare in un negozio ed essere apostrofati da una giovanissima, sconosciuta commessa con un disinvolto: “Ciao, dimmi”; e si può sentir dire ciao a un giovane cameriere, mentre l’estraneità suggerirebbe buongiorno buonasera. Se è vero che “ciao ciao” risulta più caldo e personale, congedarsi con un “ciao ciao ciao” è un tic linguistico sempre più diffuso; ciau, invece, un’affettata via di mezzo tra il guaito e la moina.
Anche buongiorno e buonasera si utilizzano come formule di saluto sia nel momento dell’incontro sia in quello del congedo: più formali di ciao, possono essere “stemperate” dal ricorso al registro informale. Talvolta, specialmente all’inizio di un’interazione comunicativa, si hanno forme miste come “Ciao, buongiorno” o “Ciao, buonasera”, che propongono fin da subito un tono non formale. Buongiorno si usa come saluto augurale al mattino, o comunque prima che sopraggiunga la sera. Il momento della giornata in cui si passa da buongiorno a buonasera varia in senso geografico (tecnicamente, diatopico): in Toscana ci si saluta con buonasera già dal primo pomeriggio – con qualche incertezza verso le due del pomeriggio, specialmente in estate, quando la luce suggerisce di più l’associazione con il giorno; in Sardegna la buonasera si dà dopo aver consumato il pranzo, indipendentemente dall’ora.
Buondì equivale a buongiorno, ma dovrebbe essere rivolto a persone con le quali si ha almeno una certa confidenza. Alla sua “tenuta” ha contribuito la pubblicità, chiamando Buondì una nota merendina e sfruttando il detto popolare “Il buon dì si vede dal mattino”. Decisamente raro è buon pomeriggio, usato quasi esclusivamente – e ormai poco – in televisione.
Prendono sempre più piede buona giornata e buona serata come formule di congedo. Se quest’ultima ha un senso, la prima, rispetto a buongiorno, risulta riduttiva nonostante l’apparente maggiore estensione. Infatti il giorno è un periodo di 24 ore – considerato di solito fra la mezzanotte e la successiva –, mentre la giornata è piuttosto il periodo del giorno compreso tra la mattina e la sera.
Tono neutro per salve, un tempo augurio di buona salute, al quale oggi si ricorre quando siamo incerti sul registro, formale o informale, da usare con l’interlocutore e che può essere utilizzato in tutti i momenti del giorno per salutare all’inizio di un incontro.
Mantiene intatto il suo valore di formula di saluto buonanotte, usata nella tarda serata o prima di andare a letto. Insieme a ciao e addio può essere un ironico riferimento a qualcosa che si conclude, più o meno volutamente, in maniera brusca o inaspettata: “Lo hanno licenziato e buonanotte”.
Addio è un po' in declino: è utilizzato nello standard solo come saluto enfatico, prima di una separazione definitiva. Sopravvive in Toscana, soprattutto in bocca a persone anziane, nel senso di arrivederci. Quest’ultima è una formula di saluto conclusiva e informale (o comunque meno formale di arrivederla). Può essere seguita da a presto, che si è guadagnata una certa autonomia fino a comparire da sola come saluto esprimente un’opportunità o un desiderio di rivedersi non sempre realizzabili o autentici; forme analoghe: ci vediamoci sentiamoa risentirci.
Quanto a noi, a rileggerci.
Simonetta Losi
linguista scrive:
Ogni lingua seleziona il mondo secondo la percezione che i suoi parlanti ne hanno. L'esempio più classico è rappresentato dall'universo dei colori, le cui sfumature in una lingua possono trovare incarnazione in un nome specifico, in un'altra possono non essere (sufficientemente) avvertite e non essere conseguentemente fissate in nessun termine. Questo vale anche per fasi storiche diverse di uno stesso idioma: nell'italiano antico, per esempio, si indicava come "perso" un colore tra il bruno e il rossiccio (attestato fra l'altro nella "Commedia" di Dante) che non è più moneta corrente. "Pomeriggio", che antico non è (risale all'Ottocento) e che, quando cominciò a diffondersi, fu avversato da molti puristi, non si è mai realmente radicato nell'espressione "buon pomeriggio" malgrado il sostegno della televisione, dove essa ha trovato invece ampia accoglienza. Non sono però così pochi, andrà detto, ad augurare di tanto in tanto un bel "buon pomeriggio" ai loro interlocutori. A me, per esempio, questa formula piace; la uso anzi correntemente.
Massimo Arcangeli

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