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sabato 18 luglio 2020

La crisi siamo noi

POLITICA
18/07/2020 16:09 CEST

I dati dell'Italia sono impietosi nel confronto europeo. Eppure siamo lì ancora al Consiglio Ue a battere cassa con la spocchia di chi si ritiene bello e indispensabile, indisponibili a discutere con chi chiede come spenderemo denari concessi a interessi così fuori mercato da risultare ridicoli

FILIPPO ATTILI
COnte al Consiglio EUropeo
Per guarire da una malattia serve una buona cura, ma anzitutto una buona diagnosi. Nelle ore in cui il presidente del Consiglio lavora a Bruxelles a un’impresa dagli esiti fragili, sul Corriere della Sera un eccellente Federico Fubini ragguaglia sulle ultime previsioni: alla fine del 2021, l’economia tedesca sarà cresciuta del 13 per cento rispetto al 2007, subito prima della crisi del 2008; quella francese sarà cresciuta del 7, quella spagnola del 3, la nostra sarà decresciuta del 9. Dunque, di chi è la colpa, dell’Europa? Perché si potrà continuare dilettarsi nel pregiudizio e ritenere la Germania un Quarto Reich monetario, e la Francia l’inaudito nuovo alleato di Berlino che ha aperto i ponti sulla Marna, ma con la Spagna come la mettiamo?
In seguito alla pandemia, l’Europa – che continuiamo a vivere come una controparte, e non un luogo e un’istituzione di cui siamo partecipi, con pari diritti e pari doveri – ha tolto le condizionalità dal Mes e ha sospeso il patto di stabilità, consentendoci, prima chiudendo un occhio e poi lecitamente, di accumulare nell’ultimo anno, da maggio a maggio, altri 175 miliardi di debito pubblico. È come se avessimo allestito una finanziaria al mese, e sempre a debito. È come se uno di noi, con un rosso pauroso in banca, avesse ottenuto un ulteriore prestito e tuttavia continuasse a non guadagnare. Quale banca mai ci allungherebbe un solo quattrino in più? Eppure siamo lì, con il nostro presidente del Consiglio, ancora a battere cassa – e va bene, Covid ci ha massacrati – ma con la spocchia di chi si ritiene bello e indispensabile, poiché senza Italia l’Unione tracolla, e dunque indisponibili a discutere le esigenze di chi vorrebbe ragguagli su come saranno spesi i denari che chiediamo, e a interessi così fuori mercato da risultare ridicoli.
I famosi quattro “frugali”, detti anche avidi e miopi, vogliono semplicemente assicurarsi che il Recovery Fund non ci servirà a sostenere lo straripante assistenzialismo, unica soluzione alla perdita di ricchezza: mettere soldi là dove non ci sono più soldi, senza nulla di strategico. E soprattutto a conservare uno stile di vita ingiustificato dai tempi e dai conti. Un esempio. Per andare in pensione in Italia servono mediamente 31,8 anni di lavoro, in Austria (primo frugale) ne servono 37,5, in Danimarca (secondo frugale) 39,9, in Olanda (terzo frugale) 40,5, in Svezia (quarto frugale) 41,9. Ora, come potranno i premier di Austria, Danimarca, Olanda e Svezia spiegare ai loro Parlamenti e ai loro popoli di avere allungato fondi all’Italia senza nemmeno avere garanzia che non saranno usati anche per finanziare Quota 100? Come potranno spiegare ai loro Parlamenti e ai loro popoli di avere allungato fondi all’Italia per consentire agli italiani di andare in pensione sei, otto, dieci anni prima?
E ancora: come potrà il nostro Governo mantenere Quota 100, e chiamarlo un nostro diritto, di noi cittadini, e pretendere a pugni sul tavolo che ci sia pagato da quelli che diciamo avidi e miopi? Come potremo continuare noi tutti a chiamarlo un diritto, quando è un capriccio, figlio della pancia piena e della più devastante ignoranza di quanto succede attorno a noi? Come potremo replicare il fallimento del reddito di cittadinanza, che si è rivelato un buon ammortizzatore sociale, ma un fallimentare investimento? Come potremo far finta di niente, di nuovo, davanti alla macroscopica evasione fiscale che sottrae miliardi e miliardi allo Stato, e poi quei miliardi li esigiamo da chi il fisco non lo evade? Come potremo andare avanti con le nazionalizzazioni, o paranazionalizzazioni, e in una guerra inconcepibile all’idea stessa di impresa, come un banale interesse privato (e che problema c’è?), e non come il sistema per produrre posti di lavoro e dunque prosperità e dunque tasse con cui alimentare il settore pubblico? Come potremo continuare con una politica economica del giorno per giorno, dei buchi tappati con un dito, senza un piano di investimenti e di rilancio che oggi ci costa fatica (e sudore e lacrime, ma citare non basta), ma salva il domani, nostro e dei nostri figli?
Arriverà il giorno, e non è molto lontano, in cui ci diranno – lo spiega ancora Fubini – che loro, gli avidi e i miopi, ci hanno provato ancora. Ma non è bastato. E allora saranno guai seri, per noi. Il mondo va avanti, anche se noi restiamo indietro. Perché la crisi siamo (anche) noi.

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