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sabato 4 luglio 2020

“Berlusconi ‘fucilato’ dallo stesso plotone che fece fuori Craxi”, l’accusa di Claudio Martelli

L'intervista

 — 1 Luglio 2020

Claudio Martelli, oggi direttore de l’Avanti!, è tra i grandi testimoni del terremoto di Mani Pulite. Vicesegretario del Psi nel culmine della vicenda politica della Prima Repubblica, quattro volte deputato, due eurodeputato, è stato Ministro della Giustizia dal febbraio 1991 al febbraio 1993 e in precedenza Vice presidente del Consiglio dal 1989 al 1992. Si avvalse della amicizia e della collaborazione di Giovanni Falcone, che portò con lui al Ministero. «Il plotone di esecuzione per Berlusconi? Lo conosciamo bene, è quello che ha preso la mira su di noi nel 1993, decidendo di far fuori una classe politica», dichiara al Riformista. «Magistrati animati da un interesse politico: Berlusconi è stato l’italiano più perseguitato della storia. Non so più quante indagini, ispezioni, iniziative giudiziarie ha subìto nella vita. Doveva essere eliminato dalla scena politica, e alla fine sono riusciti a eliminarlo. Con processi-farsa, come oggi apprendiamo dalla viva voce degli artefici».

Vittima di un teorema ordito a tavolino, come Craxi.
Anche Craxi e io siamo stati messi nello stesso mirino. Dovevano farci fuori dalla scena pubblica, e ci hanno dato la corsia preferenziale. Dovevamo essere processati subito, platealmente. Dunque il metodo del plotone d’esecuzione si era perfezionato con noi, e i soggetti d’altronde erano gli stessi: la Procura di Milano.

Siamo davanti a un audio che parla di sentenza pilotata ad arte.
Non c’è una novità vera, erano cose note. Adesso però c’è il corpo del reato. È lì, steso sul tavolo anatomico. Registrazioni, ammissioni. Intanto a Berlusconi è stata fatta una guerra mortale.
Per agevolare qualcuno o per sostituirsi alla classe dirigente?
Per fare il proprio gioco. I pm non aiutano questo o quel partito, i pm sono un partito. Borrelli all’apice di Mani Pulite fece sapere al presidente della Repubblica di “essere a disposizione” per formare un governo. Di Pietro formalizzò la cosa costituendo un partito e facendo il ministro. Mentre una classe dirigente intera scomparve.
Qual è stato a suo avviso il disegno?
Tenere in scacco la politica, comportandosi da eversori che si sostituiscono alle istituzioni democratiche, tenute a bada con minacce e ricatti.
Il golpe giudiziario.
Dove le toghe sostituiscono le divise. In Sud America le forze armate tengono sotto controllo le istituzioni facendo quello che chiamano “un poquito de fracaso”. Accendono i carri armati e li fanno andare avanti e indietro nelle caserme. Non ne escono, ma mettono paura: i politici capiscono e abbassano la testa. Da noi non le forze armate ma la magistratura ha usato il “fracaso” per far sentire il suo potere. Le sirene delle volanti. Il tintinnar di manette.
Quello che un pm chiama “il momento magico”, il terrore.
Il terrore idealizzato da quel pm era quello che si doveva far vivere durante gli interrogatori. È il momento magico che arriva quando l’indagato, pur di uscirne, è disposto ad accusare anche sua madre. Una idea di giustizia che dovrebbe far orrore a chi ha a cuore la civiltà giuridica.
Una deriva che ha fracassato generazioni di competenti, regalandoci improvvisatori e populisti.
Alla fine lo ha detto lo stesso Borrelli, nel 2012: “Dobbiamo chiedere scusa agli italiani, non valeva la pena buttare il mondo precedente per cadere in quello attuale”. La confessione di chi capisce di aver compiuto un colossale errore. Hanno distrutto la politica dei vecchi partiti e si sono trovati Berlusconi in campo. Allora hanno iniziato questa guerra a Berlusconi e si trovano con i populisti.
Dal punto di vista moderato, far la guerra a Berlusconi ha spianato la strada a Salvini.
Questo non l’avevo mai pensato, potrebbe aver ragione. Ma come conseguenza involontaria. Perché hanno provato, come emerge dalle intercettazioni di Palamara, anche ad attaccare Salvini in maniera altrettanto pregiudiziale. E quel ragionamento ha messo in luce in modo eloquente la natura della regìa politica.
Qual è?
“Salvini ha ragione – diceva Palamara – Ma noi lo dobbiamo fermare”. Perché risponde a un ordine politico. La concezione del diritto di Palamara e di tanti come lui è quella per cui Salvini, quando chiude i porti e nega lo sbarco ai migranti, ha ragione. Ma comunque va combattuto e abbattuto per convenienza politica. Nella premessa c’è un contenuto autoritario, e nella conclusione c’è un contenuto eversivo. E dove è finita la giustizia?
Non è troppo stupito neanche dal caso Palamara.
Di porcherie ne succedevano tante, anche all’epoca. Questo bubbone che adesso è esploso, esiste da un pezzo. Oggi c’è il trojan e quindi migliaia e migliaia di intercettazioni. La prova provata del come si comportano le correnti. Adesso tutti, da Mattarella al comune cittadino, parlano di correntismo degenerato. Mi domando: ma non era già successo trent’anni fa? È un sistema sbagliato in radice. E non è un caso Palamara, lo dico senza simpatie per il soggetto in questione. È un problema di sistema. Non mi piace, per cultura politica ed esperienza diretta, chi semplifica tutto riportando a un capro espiatorio.
Lei è stato Ministro della Giustizia dal ‘91 all’inizio del ‘93. C’erano le correnti anche allora.
Quando ero ministro toccai con mano la realtà di un mondo refrattario a qualsiasi intervento di governo politico, e dunque a qualunque riforma.
Avrebbe potuto fare di più?
Scrissi una lettera all’allora presidente della Repubblica Cossiga, dal Ministero in Via Arenula. Sollevavo la questione dell’Anm, che allora aveva come presidente Raffaele Bertoni, di Magistratura Democratica. L’Anm è una associazione privata, non un organo dello Stato. Ma decide per i due terzi dei membri del Csm, i membri togati. E in base a quale legge? A quale attribuzione di potere? Chi lo ha stabilito che i magistrati vanno a governare il Csm secondo quel che decide una associazione di tipo sindacale, di diritto privato?
Non la presero bene.
No, fu l’inizio della fine. Mi misero nel mirino. Quando feci la Superprocura, o Procura Nazionale Antimafia, Bertoni disse che di una Superprocura antimafia non si sentiva il bisogno: “Non abbiamo bisogno di un’altra cupola mafiosa”. Ci fu lo sciopero nazionale della magistratura e partì una campagna forsennata contro Falcone, accusato di essersi letteralmente venduto a Claudio Martelli. E questo non da parte di agitatori politici, ma di membri del Csm. Che allora io accusai di essere degli infami. Mi querelarono, si andò a processo. In primo grado persi, stabilendo così il diritto da parte della giustizia italiana di definire Falcone “un venduto”. Poi in appello vinsi io.
Iniziò così la guerra Procure-Martelli, la prima battaglia contro il Psi?
La tesi di fondo era che Martelli intendeva ottenere la subordinazione dei Pm al ministro della Giustizia. Me la fecero pagare cara. Ma sono ancora qui a esporre le mie idee, e lo ripeto oggi: come è possibile che una associazione privata, l’Anm, decida la composizione dei due terzi togati del Csm? Dire correntismo degenerato vuol dire Anm degenerata. Se l’Anm fa e disfa le condotte di un organo costituzionale, siamo in una situazione eversiva, e ci siamo da decenni. Si vuole prendere atto e adottare i rimedi necessari? Si possono prendere in considerazione tutte le ipotesi di riforma, finanche il sorteggio. Non cambia la sostanza: il Csm per due terzi è un prolungamento dell’Anm. E l’Anm è degenerata perché sono degenerate le sue componenti.
Che pure avrebbero avuto il compito di aggiornare, aprire la giurisdizione in senso pluralistico.
Un conto è l’associazionismo che discute, che anima visioni diverse del diritto. Ma la cabina di regia interna che decide tutto è una follia. E questa presunzione di onnipotenza ha generato la visione folle che confonde legalità e giustizia, una follia contro la civiltà del diritto. Il diritto vive nella tensione costante tra un ideale di giustizia, che è quella dei diritti naturali e la legislazione vigente. Se quest’ultima viene messa sull’altare e diventa intoccabile, la civiltà è finita.
E oggi siamo a quel punto.
Ci siamo da un bel po’. Quando i magistrati definiscono la magistratura come il corpo che “assicura il controllo della legalità”, siamo usciti di chilometri fuori dal seminato. La magistratura deve reprimere l’illegalità, non prevenire con teoremi astratti le eventuali condotte illegali ancora ignote. Siamo davanti a una furia ideologica dalla quale nascono mostri.
L’Anac è uno di questi mostri?
Cantone è un bravissimo magistrato, ma mi domando in quale mondo un magistrato diventa il controllore preventivo che scongiura i mali a venire. In quale mondo esiste un Anac che previene i reati? Se fossimo un Paese serio, l’Anac andrebbe sciolta domani mattina. La prevenzione sugli appalti non è compito dei giudici, i magistrati giudicano dopo aver accertato che un reato è stato compiuto.
A proposito. Giovanni Falcone non fece in tempo a lavorare sull’indagine Mafia-appalti, rimasta nel mistero.
Con Giovanni ci volevamo bene, abbiamo fatto cose straordinarie. E su Mafia-Appalti voleva vederci chiaro. Mi parlò più volte di quella indagine dei Ros, che lui voleva sviluppare in sede giudiziaria, era un suo tarlo. Un giorno accadde un fatto davvero strano.
Quale?
Il procuratore di Palermo, Giammanco, mi fece arrivare un plico con una lettera accompagnatoria e i documenti fino a quel momento acquisiti sull’inchiesta Mafia-Appalti. Lessi i destinatari: lo stesso giorno venne consegnato a me, come ministro della Giustizia, all’allora presidente del Consiglio Andreotti e al presidente Cossiga. Chiamai Falcone, mi disse: non aprire neanche. La sola cosa da fare è rimandare il plico in Procura a Palermo, intonso. È la Procura che deve decidere se attivare l’azione penale oppure no. Rimandammo il plico chiuso. Da allora non ne seppi più niente.

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