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giovedì 16 luglio 2020

La Cancel Culture è la realizzazione della profezia di Orwell

BLOG15/07/2020 16:56 CEST | Aggiornato 4 ore fa
SPENCER PLATT VIA GETTY IMAGES
Il politically correct è il vero e proprio grande fratello orwelliano della nostra epoca. Un fenomeno deleterio, che non mira tanto a sanzionare azioni disdicevoli, ma a stabilire quali parole o concetti siano legittimi o meno; minando non solo la libertà d’espressione, ma la libertà stessa di formulazione del pensiero, dato che pensiamo con le parole e, se le parole vengono cassate, il pensiero non è più formulabile.
La strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni ed ecco che, con l’ottima scusa di voler “decolonizzare il linguaggio” e combattere le discriminazioni – tutte cose lodevoli -, la cancel culture porta avanti una battaglia illiberale e totalitaria volta ad affermare una neolingua orwelliana, nuovo strumento di controllo sociale. 
L’ipotesi che vorrebbe questa neolingua antitodo all’ hate speech e cura al linguaggio dell’odio e del razzismo è non solo falsa, ma da rigettare, dato che è meglio garantire la libertà di formulare pensieri, perfino quelli abietti, che conculcare la stessa libertà per combattere chi promuove sentimenti ostili.
Il grande paradosso di questi movimenti è la volontà di eliminare la libertà di espressione per perseguire l’uguaglianza; ma la storia già ci ha insegnato che sono da rigettare sia le distopie mercatiste, dove la prima prevale sulla seconda, che quelle comuniste, che comprimono la libertà per inseguire l’uguaglianza; senza, poi, manco raggiungere quest’ultima, dato che, dovremmo costruire un socialismo che ci fa felici e realizzati, non tutti poveri e infelici. 
La cancel culture non è la manifestazione di un nuovo odio di sé dell’Occidente che, nel momento in cui prospera in economia, è afflitto da una malaise nichilista dal punto di vista identitario. L’Occidente non è solo la civiltà del colonialismo e del sessismo, è soprattutto la cultura che ha creato dottrine emancipatrici dell’Umanità come illuminismo, liberalismo e marxismo, che ha decostruito il suo linguaggio, inventato il femminismo e messo sotto accusa sé stesso, la sua ideologia, la sua religione, i suoi valori e la sua storia. 
Hanno fatto gli altri altrettanto? Non mi sembra. Razzismo e sessismo non sono peculiarità della nostra civiltà, anzi è vero l’esatto opposto. Qual è lo stato delle pari opportunità fuori dall’Occidente? Ecco che la cancel culture ci conduce al paradosso in cui ci sono preti che mettono sotto accuso la “whiteness” di Cristo, mentre un cappa assordante cala sulle altre culture; e chi ponesse la questione del maschilismo nell’islam verrebbe subito tacciato di islamofobia. 
Infine, il discorso sulla decostruzione culturale ineguale, riguarda l’Occidente che deve espiare il colonialismo, non le altre civiltà che hanno patito la protervia europea. Così, mentre in Occidente sono sotto accusa non solo il generale Lee o Montanelli, ma anche Colombo e Aristotele, l’islam politico è oggi più che mai protagonista e orgoglioso di sostenere che “il velo è libertà”, come ha dichiarato recentemente Silvia Romano al magazine italiano della Fratellanza Musulmana che l’ha intervistata, “La luce”. 
Ovviamente, chi ponesse la questione che il velo mortifica la donna sarebbe accusato di islamofobia e etnocentrismo. Dunque, la decostruzione ineguale opera solo su di noi e non sugli altri. La conseguenza è che i migliori alleati di questa cancel culture – che in Occidente ha le sembianze di movimenti liberal e progressisti – saranno in realtà le forze più reazionarie a livello globale: i tecnocapitalisti d’Occidente e i sostenitori non occidentali di “democrature” e regimi autoritari e confessionali che hanno tutto l’interesse a demolire culturalmente una civiltà, la nostra, non perfetta, ma sicuramente non meritevole di Oblio e Cancellazione.

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