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martedì 11 agosto 2020

CARDIOLOGIA La pressione alta va abbassata presto piuttosto che «troppo»

 

Prima si inizia più si scongiura il rischio d’ictus. Se invece si interviene tardi meglio non ridurla eccessivamente. Successo quando il danno d’organo non c’è o è reversibile

La pressione alta va abbassata presto piuttosto che «troppo»
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Quindici milioni di italiani, cioè il 30-40 per cento degli adulti. Tanti sono i nostri connazionali con la pressione alta, un problema che ogni anno provoca 280mila morti solo nel nostro Paese: lo hanno ricordato gli esperti della Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa (SIIA). Cercando anche di fare chiarezza sulle strategie per combatterlo: non è sempre opportuno, per esempio, accanirsi ad abbassare tanto la pressione con i farmaci. Lo ha sottolineato uno studio pubblicato su The Lancet, nato dalla revisione di due diverse ricerche che hanno complessivamente seguito quasi 31mila pazienti di 40 Paesi per poco meno di cinque anni: tutti soggetti ad altissimo rischio cardiovascolare perché spesso già vittime di infarti o ictus, in alcuni casi neppure ipertesi.

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Che cos’è l’ictus

Non abbassarla troppo

Sottoposti a una terapia per abbassare la pressione con l’intento di tenerla al minimo possibile, non tutti hanno tratto un gran giovamento dal trattamento “intensivo”: la terapia riduceva la probabilità di andare incontro a un evento cardiovascolare, ma il pericolo risaliva quando si scendeva al di sotto di 120 millimetri di mercurio per la massima e 70 per la minima. Non si stupisce Gianfranco Parati, presidente SIIA, che osserva: «Parliamo di pazienti già affetti da patologie cardiovascolari, con le arterie molto rigide e ricche di depositi di calcio: persone cioè con una scarsa capacità di auto-regolare il flusso sanguigno e adattare i vasi alle diverse condizioni per mantenerlo costante. In questi soggetti un calo eccessivo della pressione non viene compensato, il sistema è come “ingessato” e si rischia una riduzione pericolosa della perfusione degli organi che può portare a conseguenze gravi». Una persona giovane (i partecipanti agli studi analizzati erano tutti over 55) e in maggior salute non patirebbe perciò le stesse conseguenze da un calo pressorio considerevole ottenuto con i farmaci.

Meno casi di infarto e ictus

A quale “numero” bisogna dunque mirare per star tranquilli? Parati ha cercato di dare una risposta a questo e altri interrogativi-chiave in tema di pressione alta con una serie di dieci meta-analisi pubblicate sul Journal of Hypertension, condotte rianalizzando i dati di innumerevoli studi; valutando pazienti ipertesi ma senza infarto, scompenso cardiaco o altre gravi patologie, si è visto per esempio che la terapia offre vantaggi cardiovascolari quando si scenda sotto i 150, i 140 ma anche i 130 di massima. «I benefici però sono progressivamente minori quanto più è basso il livello di pressione che si raggiunge: nell’iperteso non complicato scendere sotto i 130 non è quindi pericoloso, ma il numero di eventi cardiovascolari che si riescono a evitare diminuisce - precisa l’esperto -. Chi ha la pressione più alta ha una probabilità parecchio elevata di infarti e ictus, perciò abbassarla “taglia” un numero più consistente di casi rispetto a quanto accade in chi parte da un livello iniziale di ipertensione, e quindi di rischio di eventi, un po’ più contenuto: in percentuale la diminuzione del pericolo è analoga in entrambi i gruppi, ma intervenendo su chi è più iperteso si “risparmia” un maggior numero di casi di infarto, ictus, morte». Sulla base di tutto ciò molti hanno pensato, in passato, che fosse più opportuno focalizzarsi sul trattamento dei pazienti ad alto rischio, garantendo alle terapie un rapporto costo/beneficio ottimale; le meta-analisi di Parati però hanno consentito di scoprire altro, cambiando non poco il panorama.

«Prima è, meglio è»

«Se è vero che tanto maggiore è il rischio di partenza, tanto più si riduce il numero assoluto di eventi che un paziente può sviluppare, è altrettanto certo che è più alto il rischio cardiovascolare che resta, il cosiddetto rischio residuo che non potremo più togliere perché deriva dai danni irreversibili provocati dall’ipertensione durante tutto il tempo nel quale non è stata tenuta sotto controllo: se le arterie sono indurite dai depositi di calcio non possiamo tornare indietro e “ripulirle” - spiega Parati -. Ecco perché nella terapia dell’ipertensione il motto oggi non dovrebbe essere “più bassa è, meglio è”, come peraltro dimostra anche l’ultimo dato sui pazienti ad altissimo rischio di Lancet, quanto piuttosto “prima è, meglio è”: il vero successo nella prevenzione si ha solo se interveniamo quando il danno d’organo non c’è o è ancora reversibile. «Concentrarsi ad abbassare la pressione con terapie aggressive - conclude - solo quando in partenza è già molto alta e si è esposti a un alto rischio di eventi cardiovascolari significa solo tamponare le falle: certo avremo un beneficio, ma non torneremo più alla normalità e avremo di fatto fallito nel proteggere il paziente, perché il rischio residuo di complicanze resterà alto e provocherà infarti, ictus, decessi. Bisogna iniziare a curare l’ipertensione quando ancora non ha fatto troppi guai».

Regole per prevenirla

C’è anche una app per capire se si è ad alto rischio cardiovascolare, tenere sotto controllo i valori della pressione, conoscere tutti i modi per ridurla e migliorare lo stile di vita, gestire le terapie e le visite: è ESH Care, realizzata e ora rinnovata dalla SIIA in collaborazione con l’European Society of Hypertension, disponibile gratuitamente per Android e iOS. L’obiettivo è aumentare la consapevolezza degli italiani nei confronti dell’ipertensione, che purtroppo è sempre più diffusa perché pochi seguono le regole per prevenirla: basterebbe tenere sotto controllo il peso e l’introito di sale, limitare l’alcol e fare un’attività fisica regolare per ridurre molto il rischio di pressione alta. Fondamentale anche la diagnosi, possibile solo se si misura la pressione regolarmente dal proprio medico di famiglia: andrebbe fatto una volta all’anno fin dall’età scolare (soprattutto se il bimbo è cicciottello).

 

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