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domenica 14 giugno 2020

Max Weber critico della burocrazia. Così denunciò il potere degli apparati

1920-2020
Max Weber critico della burocrazia. Così denunciò il potere degli apparati
A 100 anni dalla morte resta valida l’analisi dell’autore tedesco sul dispotismo della macchina statale: capì che si tratta di uno strumento indispensabile ma pericoloso
di GIAN ANTONIO STELLA
Max Weber critico della  burocrazia. Così denunciò il potere degli apparati

«Ogni burocrazia s’adopera per rafforzare la superiorità della sua posizione mantenendo segrete le sue informazioni e le sue intenzioni». Di più: «Lo Stato cerca di sottrarsi alla visibilità del pubblico, perché questo è il modo migliore per difendersi dallo scrutinio critico». Lo scrisse, in Economia e società, il filosofo, sociologo, economista e storico tedesco Max Weber. Ucciso il 14 giugno 1920, a cinquantasei anni, da una bruttissima polmonite da più parti attribuita a una coda della Spagnola.
Max Weber (1864-1920) è considerato il padre della sociologia moderna
Max Weber (1864-1920) è considerato il padre della sociologia moderna
Sono passati esattamente cento anni. E ad assistere alla deriva burocratica italiana, oggi come mai sotto accusa con quelle lettere «emarginate in epigrafe», quelle «panie della scepsi», quei ricorsi all’«ex art. 669 duodecies», quei «testi coordinati delle ordinanze di protezione civile» di 123.103 parole, cioè tredici volte più lunghi dell’intera Costituzione, ti chiedi: ma come fece, quel genio, a intuire già allora il possibile degrado di un mondo?
Certo, additare il pensatore di Erfurt come il nemico Numero Uno della burocrazia sarebbe una forzatura. Scriveva quarant’anni fa il filosofo Salvatore Veca: «Weber non ha per fortuna conosciuto il destino che Musil riservava a quelli che mettono al mondo idee nuove e profonde, capaci di sviluppo in programmi interessanti e suscettibili di confutazioni. “Appena un uomo ragguardevole mette al mondo un’idea, essa viene subito afferrata da un processo distributivo fatto di simpatia e antipatia. Prima gli ammiratori ne strappano grossi pezzi a piacere e sconciano il loro maestro come le iene le carogne, poi gli avversari distruggono i punti deboli e in poco tempo, di qualunque opera, non rimane altro che una provvista di aforismi, di cui si servono amici e nemici come fa loro comodo». Prudenza.
All’opera di Max Weber il filosofo Massimo Cacciari ha appena pubblicato un saggio intitolato «Il lavoro dello spirito» (Adelphi, pagg. 118, euro 13)
All’opera di Max Weber il filosofo Massimo Cacciari ha appena pubblicato un saggio intitolato «Il lavoro dello spirito» (Adelphi, pagg. 118, euro 13)
Che Max Weber sia stato forse il più importante studioso della burocrazia, delle sue virtù e dei suoi limiti, è però difficile da negare. Per dirla col giurista Vittorio Frosini, che ne scrisse sul «Corriere», «seguì per un quarto di secolo le vicende del suo Paese come un medico scruta un malato che in apparenza scoppia di salute. I suoi scritti e discorsi costituiscono perciò una cartella clinica del nazionalismo tedesco, tenuta da un osservatore che aveva animo di patriota percorso da brividi profetici: una vera Cassandra fra le mura di Heidelberg».
Per lui la burocrazia era «l’apparato amministrativo tipico per l’esercizio del potere legale». L’unica forma di gestione possibile di uno Stato («entità che reclama il monopolio sull’uso legittimo della forza fisica») dopo il superamento degli incarichi distribuiti a capriccio, «a titolo onorifico», da chi prima deteneva un potere pressoché assoluto ormai passato. Insomma, scriveva citando l’America ma non solo, «la democrazia moderna (...) dove vi è una grande democrazia statale, si trasformerà in una democrazia burocratizzata» È un processo inevitabile, spiegò in una conferenza tenuta il 13 giugno 1918 a 300 ufficiali e destinata a diventare un libro, Il Socialismo, ripubblicato da Castelvecchi. Erano passati solo pochi mesi dalla rivoluzione d’Ottobre e già aveva capito come sarebbe finita: «Questa realtà è la prima cosa con cui dovrà fare i conti anche il socialismo: la necessità di una lunga preparazione professionale, di una specializzazione sempre più perfezionata e di una direzione a opera di una burocrazia professionale formata con tali criteri. L’economia moderna non può esser diretta diversamente».
Ci credeva, nelle opportunità offerte dalla burocrazia. A certe condizioni: «Il vero funzionario per l’essenza stessa della sua specifica professione non deve far politica bensì “amministrare”, tenendosi soprattutto al di sopra delle parti; ciò vale anche per i cosiddetti funzionari “politici” dell’amministrazione, quanto meno ufficialmente, fino a che non è in gioco la “ragion di Stato”, vale a dire gli interessi vitali dell’ordine dominante», indica nel saggio La politica come professione, anche questo nato da una conferenza tenuta nel luglio 1919, «Egli deve svolgere le proprie funzioni sine ira et studio, “senza ira né pregiudizi”. Deve dunque evitare di fare ciò che il politico, il capo come il suo seguito, si trova sempre e necessariamente a dover fare: lottare. E infatti lo spirito di parte, la lotta, la passione —ira et studium — sono l’elemento dell’uomo politico. Soprattutto del capo politico. Il suo agire è governato da un principio di responsabilità del tutto diverso, e persino opposto, rispetto a quello del funzionario».
Mancano manciate di mesi all’infezione ai polmoni che se lo porterà via impedendogli di vedere il collasso della Repubblica di Weimar, il degrado buro-criminale della rivoluzione sovietica, l’avvento di Mussolini, la presa del potere di Hitler. Ma lui in qualche modo prevede tutto. E immagina già per la Russia sovietica «la dittatura del funzionario, non quella dell’operaio».
A farla corta, Max Weber crede nella necessità di una struttura burocratica preparata, efficiente, specializzata, ma al tempo stesso ne diffida. Soprattutto quando cattiva burocrazia e cattiva politica si impastano: «L’elemento decisivo è che tutto questo apparato di persone — la “macchina”, come lo definiscono significativamente nei Paesi anglosassoni — o piuttosto, coloro che la dirigono, tengono in scacco i parlamentari e sono in grado di imporre loro la propria volontà in modo abbastanza continuativo. E ciò ha una particolare importanza per la selezione della direzione del partito. Diviene infatti capo soltanto colui che ha dietro di sé la macchina, anche a dispetto del Parlamento. La creazione di tali macchine significa, in altre parole, l’avvento della democrazia plebiscitaria».
Con tutto il contorno clientelare: «Per colui che è costretto dalla sua situazione economica a vivere “della” politica si presenterà sempre, come via di accesso più diretta, l’alternativa del giornalismo o di un posto da funzionario di partito, oppure una delle rappresentanze di interessi presso un sindacato, una camera di commercio, una camera dell’agricoltura, una camera dell’artigianato... e così via...».
Lo strapotere della macchina e della sua sempre più estesa rete di burocrati lo inquieta: «Come risulterebbe terribile pensare ad un mondo formato solo da professori universitari (scapperemmo nel deserto, se ciò si verificasse), ancor più terribile sarebbe un mondo pieno di questi elementi aggrappati ad un posticino e pronti ad ogni lotta per conquistarne un altro di maggior categoria», risponde nel 1909 in un pubblico dibattito per difendere il suo fratello minore Alfred Weber, attaccato dalle pompose burocrazie tedesche che aveva criticato. E picchia duro: «Questa passione per la burocratizzazione, come l’abbiamo ascoltata qui, è più che sufficiente per far disperare chiunque (…) La questione centrale non è come portare avanti o accelerare questa macchina, ma cosa “opporle” al fine di conservare un residuo di umanità in questo dominio esclusivo degli ideali di vita burocratica».
Ed erano allarmi di un secolo fa.

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