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mercoledì 13 dicembre 2017

Commissione Moro, approvata dopo 40 anni la relazione che riscrive la verità sull'omicidio dello statista della Dc

Il documento spiega che il presidente della Dc avrebbe avuto la possibilità di rimanere in vita: sarebbe bastata una macchina blindata e una scorta

 13/12/2017 12:27 CET | Aggiornato 2 ore fa
Tutto quello che abbiamo saputo fin qui (e sono passati quasi quarant'anni anni) del rapimento e dell'uccisione di Aldo Moro, è da riscrivere. Anzi, in gran parte è stato già riscritto dalla Commissione parlamentare d'inchiesta presieduta da Giuseppe Fioroni. La terza e ultima Relazione, approvata il 6 dicembre e depositata per l'approvazione dell'Aula alla Camera, oggi, spiega come e perché Moro non è stato ucciso sul pianale della Renault 4 rossa parcheggiata nel garage di Via Montalcini 8. In base alle nuove perizie espletate dal Ris dei Carabinieri, quell'auto non avrebbe potuto neppure avere il cofano aperto, tanto ristretto era il box dove secondo la versione dei brigatisti sarebbe stata eseguita la condanna a morte dello statista.

Il documento spiega che veramente il presidente della Dc avrebbe avuto la possibilità di rimanere in vita perché la segnalazione di un possibile attentato, giunta a Roma dalle fonti palestinesi del colonnello Giovannone, un mese prima del sequestro, era assolutamente attendibile. A evitare la tragedia sarebbe bastata una macchina blindata e una scorta.

Gallinari latitante nella palazzina dello Ior. La Relazione spiega ancora che Moro ebbe la possibilità di ricevere la visita di un prete e di confessarsi. Dimostra che in un modo o nell'altro uomini del mondo vaticano sono stati centrali nella vicenda. A cominciare dall'individuazione, nella zona della Balduina, in via Massimi 91, di una palazzina, di proprietà Ior, la cosiddetta banca vaticana, (posseduta attraverso la società Prato Verde srl, e gestita da Luigi Mennini), abitata (o frequentata) da cardinali (Vagnozzi e Ottaviani), prelati e dallo stesso presidente dello Ior, Paul Marcinkus. Dove aveva sede una società americana che lavorava per la Nato, e vivevano in affitto esponenti tedeschi dell'Autonomia, finanzieri libici e due persone contigue alle Brigate rosse. "Complesso edilizio che, anche alla luce della posizione, potrebbe essere stato utilizzato - si legge nel documento - per spostare Aldo Moro dalle auto utilizzate in via Fani a quelle con cui fu successivamente trasferito oppure potrebbe aver addirittura svolto la funzione di prigione dello statista". La Relazione, grazie a nuovi testimoni, dimostra addirittura che Prospero Gallinari (il carceriere di Moro) e le armi usate dalle Br a via Fani, sono stati nascosti per alcuni mesi, nell'autunno 1978, nello stesso stabile di Via Massimi 91, in cui si ipotizza essere stato il covo-prigione.

Una narrativa confezionata a tavolino. Ma soprattutto la Commissione ha accertato - grazie alla declassificazione di una grande quantità di atti dei servizi segreti e delle forze dell'ordine seguita alla cosiddetta "direttiva Renzi", - che la "narrativa" ufficiale sul sequestro e la morte di Moro, contenuta nel cosiddetto memoriale Morucci-Faranda, altro non è che una "versione ufficiale e di Stato" del caso Moro, preparata a tavolino molti anni prima che essa approdasse sul tavolo di Francesco Cossiga. L'unica verità "dicibile" per chiudere l'epoca del terrorismo. Una verità di comodo messa a punto da magistrati (Imposimato, Priore citati con nome e cognome), esponenti delle forze dell'ordine e naturalmente dai brigatisti. Valerio Morucci divenne addirittura consulente del Sisde, come si chiamava allora il servizio segreto interno.

Echi di Guerra fredda: una società americana e il Kgb. La stessa vicenda del suo arresto e di quello di Giuliana Faranda in casa di Giuliana Conforto (figlia "del più importante agente del Kgb in Italia", come l'ha definito il professor Christopher Andrew nel suo libro "L'Archivio Microchip"), "è stata oggetto di una completa rilettura, che ha consentito di mettere finalmente alcuni punti fermi sulla scoperta del rifugio di Viale Giulio Cesare 47, ma anche di evidenziare uno scenario più complesso, che chiama in causa la possibilità che l'arresto di Morucci e Faranda sia stato negoziato".

"Alla luce delle indagini compiute, comunque, scrive Fioroni, il rapimento e l'omicidio di Aldo Moro non appaiono affatto come una pagina puramente interna dell'eversione di sinistra, ma acquisiscono una rilevante dimensione internazionale". Ancora: "Al di là dell'accertamento materiale dei nomi e dei ruoli dei brigatisti impegnati nell'azione di fuoco di via Fani e poi nel sequestro e nell'omicidio di Moro, emerge infatti un più vasto tessuto di forze che, a seconda dei casi, operarono per una conclusione felice o tragica del sequestro, talora interagendo direttamente con i brigatisti, più spesso condizionando la dinamica degli eventi, anche grazie alla presenza di molteplici aree grigie, permeabili alle influenze più diverse". Al riguardo Fioroni parla di "martirio laico" di Moro. Un martirio avvenuto ai tempi della Guerra fredda.

Il figlio del capitano Corelli. Un capitolo particolare è dedicato alle "protezioni" che hanno messo al sicuro la latitanza di uno dei brigatisti presenti in via Fani, Alessio Casimirri. La primula rossa delle Br, tuttora latitante, prima di giungere in Nicaragua, riuscì più volte, in maniera rocambolesca, a sfuggire alla cattura. Per l'ex brigatista, di cui anche nei mesi scorsi è stata sollecitata l'estradizione, ci fu però un momento in cui mancò veramente un nulla ad ammanettarlo. A riconoscerlo, proprio nei dintorni di San Pietro, fu il padre di Jovanotti, al secolo Lorenzo Cherubini, uno dei più noti cantautori italiani.

"Mario Cherubini, che era un gendarme vaticano - ha raccontato il vicepresidente della Commissione Vero Grassi - riconobbe Casimirri, già latitante, per strada e corse a denunciarlo, ma non si riuscì a fermarlo". Negli scorsi giorni proprio il cantante aveva raccontato a Vanity Fair di quando la famiglia Casimirri, a metà degli anni '70, invitava i Cherubini nella casa di campagna a Monterotondo, ricordando come lui, bambino, restava affascinato dai racconti che Luciano e Ermanzia Casimirri facevano del figlio, già ai tempi provetto sub e pescatore subacqueo, fino al giorno in cui lo stesso Alessio gli mostrò i suoi trofei di pesca.

Il padre di Casimirri, Luciano è a sua volta un personaggio leggendario. Responsabile della Sala stampa vaticana sotto tre papi - Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI -, dunque per circa trent'anni, è stato un ufficiale italiano durante la Seconda Guerra Mondiale sopravvissuto all'eccidio della Divisione Aqui a Cefalonia, e secondo le parole del suo stesso figlio, alla sua figura si è ispirato il romanzo dello scrittore britannico Louis De Bernières "Il mandolino del capitano Corelli", e l'omonimo film interpretato da Nicholas Cage e Penelope Cruz.

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