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mercoledì 1 settembre 2021

Per nutrire il corpo bastano due dollari al giorno. Per il cervello ne servono 30. Ecco perché

di Yolanda Monge La neuroscienziata Tara Thiagarajan, fondatrice dell’organizzazione Sapien Labs, spiega come la diseguaglianza nell’accesso alle tecnologie influisca sulla nostra testa: "La questione fondamentale non è se la tecnologia faccia bene o male, ma quanta ne ingurgitiamo. Come il cibo spazzatura" (El País) 01 SETTEMBRE 2021 4 MINUTI DI LETTURA Tara Thiagarajan (49 anni, Madras, India) ha un dottorato di Ricerca in Neuroscienze dell’università di Stanford ed è la fondatrice di Sapien Labs, un organismo la cui complicata missione è tentare di comprendere la mente umana. Ammette di essersi affacciata tardi e per puro caso alle neuroscienze, e che il tema l’abbia affascinata dopo aver assistito a una lezione specialistica. La passione divampò una ventina di anni fa quando, in un laboratorio, ebbe modo di osservare al microscopio come continuassero a muoversi i neuroni di un pipistrello, anche dopo che il cervello gli era stato estirpato dal corpo. Poco dopo, Thiagarajan fece il salto al campo degli esseri umani grazie al progetto Sette Miliardi di Cervelli Umani, che corrispondono ad altrettante domande in attesa di risposta. Cosa differenzia un cervello dall’altro? Come cambia il cervello e cosa lo induce a cambiare? In che modo la tecnologia lo influenza? Thiagarajan ci risponde in videoconferenza. Esiste un solo cervello? "No, non esiste un cervello prototipico, un solo e unico cervello. La mente umana si sviluppa in funzione delle circostanze e delle esperienze di vita di ogni persona. Trecento anni fa, la popolazione era abbastanza omogenea; oggi invece esistono molti modi di vivere, un gran numero di occupazioni e attività, di cui troviamo un riflesso nel nostro cervello. Sapien Labs fa uso massiccio degli elettroencefalogrammi (EEG), perché i neuroni comunicano tra loro attraverso segnali elettrici, e poi analizza come influisce sul cervello l’ambiente circostante, come per esempio la struttura sociale, l’educazione o il linguaggio". Misurate anche se l’uso della tecnologia fa bene o male al cervello? "Sappiamo che più la gente divora contenuti digitali, più grandi sono i cambiamenti nei modelli di funzionamento neuronali. Di solito uso la metafora del cibo, per spiegare cosa succede quando si abusa di strumenti come lo smartphone, i tablets oppure internet... . In passato l’alimentazione si basava su pochissimi cibi e mangiare frutta, per esempio, era poco frequente. Poi le società si sono evolute e hanno conquistato àmbiti salutari più vasti, perciò ora siamo in grado procurarci alimenti impensabili tempo addietro; riusciamo a mangiare in modo più sano e il nostro corpo se ne avvantaggia. Tuttavia siamo anche vicini a una sorta di deflagrazione: esistono molti cibi ma in gran parte non salutari; sono pietanze elaborate, contengono agenti chimici, è il famoso cibo spazzatura. Si tratta quindi di prendere le giuste decisioni. Fa male mangiare molto? Fino a un certo punto fa bene, ma oltre una certa soglia il cibo spazzatura finisce per provocare diabete, problemi cardiaci... . Con la tecnologia avviene la stessa cosa: la questione fondamentale non è se faccia bene o male, ma quanta ne ingurgitiamo". Lei sostiene che l’ambiente in cui viviamo influisce sul nostro cervello, dice che per il cervello non è lo stesso vivere a New York che in un paesino indiano. Ciò significa che la povertà o la ricchezza plasmano cervelli diversi? "Senza dubbio la diseguaglianza tecnologica causata dalla mancanza di risorse economiche si traduce in forme diverse di sviluppo del cervello, dal punto di vista delle reti neurali. Io parlo di stimoli: avere la possibilità di viaggiare, accesso all’istruzione o interagire con più persone e, anche, far uso della tecnologia, sono tutte situazioni che consentono ai neuroni di riorganizzarsi, di stabilire nuove connessioni reciproche e in continuo scambio con il cervello. Parte della capacità cognitiva è collegata ai privilegi di cui godi, alla quantità di stimoli che ricevi. Al corpo umano bastano due dollari al giorno per coprire il proprio fabbisogno di calorie e non morire di fame. Per alimentare quotidianamente di stimoli il cervello, invece, sono necessari 30 dollari: una cifra inarrivabile per l’80% della popolazione mondiale. Con 30 dollari si acquistano molti stimoli. È la quantità di denaro con cui si spicca il salto necessario a possedere uno smartphone". Sta dunque parlando degli stimoli che plasmerebbero il nostro cervello. "Il cervello si plasma nel corso dell’intera vita della persona. Anche tutti gli altri organi del corpo lo fanno, a partire dal momento della nascita. Il cervello però svolge più mansioni, man mano che si cresce e si invecchia. Ciò che fa il cervello di un bambino di due anni è diverso da ciò che farà a 10 o a 20 anni, e sarà così fino alla fine dell’esistenza. La grande prerogativa del cervello è la sua plasticità; quanti più stimoli riceve, più si plasma". Quando riposa, il cervello? "Mai. Il cervello non riposa mai. Quando dormiamo il cervello continua a lavorare, ne approfitta per ripulirsi. I camion della spazzatura lavorano durante la notte, oppure all’alba, mentre la città dorme e non c’è traffico; allo stesso modo, il cervello accumula immondizia e rifiuti tossici tutto il giorno, per poi espellerli di notte, attraverso il sistema linfatico. Per questo se non dormiamo non gli permettiamo di fare pulizia, accumuliamo rifiuti tossici che ci fanno star male, che ci impediscono di svolgere bene le nostre attività durante la giornata". Cos’è il MHQ (Mental Health Quotient) e che cosa misura? "Le dico subito che cosa non misura: non è il numero che simboleggia il nostro livello di felicità. Il Mental Health Quotient o coefficiente di salute mentale è un test che stabilisce il livello di benessere mentale delle persone, vale a dire la capacità di tenere le redini della nostra vita e di affrontare le sfide e gli ostacoli che questa ci presenta. Non è una misura della nostra felicità o del livello di gradimento della vita che facciamo. Attraverso un test, che si svolge via internet, il MHQ quantifica – con un punteggio da 100 a 200 - il livello di tranquillità mentale di cui si dispone in un preciso momento. È dunque un numero che cambia, che non può mantenersi uguale prima della pandemia da coronavirus, dopo o durante, per esempio. Da una serie di domande che richiedono un tempo di risposta di circa 15 minuti, si calcola il coefficiente di MHQ della persona". E se le dicessi che insieme ad alcuni amici ho svolto il test del MHQ e abbiamo ottenuto risultati che vanno dal 72,2 al 103; dall’ 86,4 al 105,3 e al 68,6, qual è la diagnosi? E qual è il suo MHQ? (Ride) "Ma è un dato molto riservato! È un’informazione che preferisco tenere per me. Quel che posso dire è che la prima volta che feci il test rimasi delusa, perché il coefficiente non era molto alto. Poi però riflettei sulle sfide che devono affrontare ogni giorno tante altre persone e la delusione mi passò subito. I vostri risultati sono tutti nella media: non credo esista qualcuno che abbia raggiunto i 200 punti. (Copyright El País/Lena- Leading European Newspaper Alliance. Traduzione di Monica Rita Bedana)

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