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venerdì 13 dicembre 2019

"La simpatia non basta, alle sardine manca coraggio". Intervista a Luca Ricolfi


POLITICA
13/12/2019 


Il sociologo all'Huffpost: "A me non dispiacerebbe che facessero un partito, in fondo sono una riedizione progressista ed europeista dell’idealismo 5 Stelle"




No, domani in piazza San Giovanni con le Sardine non ci sarà. “Non mi sento a mio agio con un movimento che enuncia valori ma non ha il coraggio - o la capacità? - di formulare obiettivi politici definiti”, spiega il sociologo Luca Ricolfi. Docente di Analisi dei dati all’Università di Torino, presidente e responsabile scientifico della Fondazione “David Hume” e intellettuale “controcorrente”, spesso sferzante verso la sinistra - la sua parte politica - tra le Sardine non avverte un gran rispetto per l’avversario politico. “Per me - puntualizza - ha ragione Liliana Segre: l’odio va combattuto in tutte le sue forme”. Non che non siano simpatiche, le Sardine, a lui che, in un libro diventato un classico, ha indicato nell’antipatia “la malattia della sinistra, fatta di razzismo etico, senso di superiorità morale, disprezzo dell’avversario politico”. Epperò, questa simpatia, per gli anti salviniani partiti da Bologna “potrebbe rivelarsi un punto di debolezza”, avverte. E a differenza di quanto hanno fatto tanti, intellettuali analisti e commentatori, Ricolfi precisa che non gli dispiacerebbe se le Sardine - “in fondo una riedizione progressista ed europeista dell’idealismo Cinque Stelle”- “facessero un partito, inevitabilmente di sinistra: quello è il Dna della maggior parte di loro”. Anzi, “se le Sardine presentassero un loro simbolo e, anziché limitarsi a dar voce a chi detesta Salvini, si decidessero a esplicitare un vero programma politico - aggiunge - il Pd e i Cinque Stelle subirebbero un ridimensionamento micidiale”. 
Professor Ricolfi, ha partecipato al flash mob a Torino?
No, preferivo le “madamine” pro-Tav, che avevano le idee chiare e si mobilitavano per qualcosa di specifico.
Riferendosi alla sinistra, 11 anni fa ha scritto “Perché siamo antipatici?”. Le Sardine, invece, sono simpatiche, sembra piacciano a tanti. Un loro punto di forza o potrebbe diventare un limite?
Veramente la prima edizione di “Perché siamo antipatici” è del 2005, l’edizione del 2008 veniva dopo il disastro elettorale della sinistra guidata da Veltroni, e sulle ragioni di quel disastro provava a riflettere (nella “Postfazione. Siamo ancora antipatici?”). Ci tengo a distinguere queste due date (2005 e 2008) perché, a mio parere, sul nodo cruciale dell’antipatia/simpatia della sinistra le cose erano sensibilmente migliorate con Veltroni, salvo poi riprecipitare con Renzi e soprattutto con i suoi successori.
In che senso?
Molto schematicamente: Walter Veltroni è stato l’unico leader che ha provato a curare la malattia della sinistra, fatta di razzismo etico, senso di superiorità morale, disprezzo dell’avversario politico. Veltroni ha tentato di metterla così: cari amici e compagni, Berlusconi è solo un avversario politico, non è il male assoluto, dobbiamo combattere le sue idee, non la sua persona. Questa sorta di “tregua morale” è durata più o meno un quinquennio, dal 2008 al 2013, ovvero per tutto il tempo in cui la lunga crisi ha costretto destra e sinistra a un minimo di cooperazione, e quindi di legittimazione reciproca. Poi la recessione è finita, sono esplosi gli sbarchi, Renzi ha iniziato a fare dell’accoglienza una discriminante etica, Salvini e la Lega hanno preso quota, fino a sorpassare Forza Italia alle politiche del 2018 - dieci anni dopo Veltroni. Il risultato è che la sinistra, oggi, è tornata a coltivare il razzismo etico, con Salvini nel ruolo che fu di Berlusconi. Che cosa c’entra tutto questo con la simpatia che le Sardine suscitano in tante persone, me compreso?
Ecco, cosa c’entra?
C’entra perché le Sardine sono la soluzione, probabilmente temporanea, di un classico problema della sinistra: come continuare a fare un discorso antipatico senza risultare a sua volta antipatica. Le Sardine sono simpatiche perché sono esterne all’establishment politico, si mostrano gentili, educate, animate da nobili ideali. Al tempo stesso fanno un discorso antipatico, che le fa ricadere nell’errore storico della sinistra nella seconda Repubblica: la disumanizzazione dell’avversario. Da questo punto di vista, la loro simpatia potrebbe rivelarsi un punto di debolezza: se sei personalmente simpatico, ma sei portatore di un discorso antipatico, rischi di non durare a lungo, o di avere un seguito modesto.
È appena uscito il suo libro “La società signorile di massa” (La Nave di Teseo) in cui lei fotografa un’organizzazione sociale, quella odierna in Italia, basata sulla ricchezza dei padri. In una società che campa di rendita, le Sardine possono segnare un’inversione di tendenza?
Più che segnare un’inversione di tendenza, le Sardine mi sembrano una delle manifestazioni più interessanti della “società signorile di massa”, o meglio del suo nucleo centrale, fatto di ceti medi urbani, istruiti, con una forte presenza di giovani e di donne. Una realtà lontanissima dagli operai e dai ceti più umili, le cui priorità sono assai più materiali e “basiche”.
I fondatori continuano a dire che questo movimento anti sovranista non diventerà mai un partito politico. Fanno bene o è un errore?
Dipende dal punto di vista.
Il suo qual è?
A me non spiacerebbe facessero un partito (inevitabilmente di sinistra: quello è il Dna della maggior parte delle Sardine), se non altro perché è difficile immaginare un ceto politico progressista peggiore di quello attuale. C’è però anche un’altra ragione per cui penso che un partito delle Sardine avrebbe un senso: in fondo le Sardine sono una riedizione progressista ed europeista dell’idealismo Cinque Stelle. E io trovo preferibile che a sinistra ci siano solo partiti di sinistra, anziché il guazzabuglio dell’attuale governo. Ovviamente tutto cambia dal punto di vista egoistico del Pd e dei Cinque Stelle. Se le Sardine presentassero un loro simbolo e, anziché limitarsi a dar voce a chi detesta Salvini, si decidessero a esplicitare un vero programma politico, il Pd e i Cinque Stelle subirebbero un ridimensionamento micidiale.
Il movimento delle Sardine è stato paragonato a quello dei Girotondi. Finirà allo stesso modo secondo lei?
Il destino della cosiddetta società civile è quasi sempre stato, in Italia, quello di andare a ingrossare le liste del maggiore partito della sinistra, dagli “indipendenti di sinistra” in poi. E anche oggi nessuno si stupirebbe se al giovane Mattia Santori venisse graziosamente offerto un seggio parlamentare come capolista del Pd in una città dell’Emilia-Romagna. Ma persino la storia della sinistra italiana potrebbe, prima o poi, riservare qualche sorpresa. Dopotutto il mesto destino dei Girotondi e del “Popolo viola” suggerisce di battere altre strade….
Fausto Bertinotti ha dichiarato che lo spazio per la rinascita della sinistra è fuori dalla politica: per esempio, nelle Sardine, nei movimenti ambientalisti. Lei che pensa?
Penso che Bertinotti, come tutti i delusi dall’evaporazione della sinistra, abbia contratto l’abitudine di proiettare sui primi venuti i sogni della propria giovinezza. Succedeva già a Marcuse e ad Adorno, delusi dall’imborghesimento della classe operaia, non mi stupisce che risucceda oggi a tanti. Perché lo schema è sempre quello: se al marxista viene a mancare la classe rivoluzionaria, non pensa che c’era nel marxismo qualcosa che non andava, ma che si tratta solo di cambiare il soggetto rivoluzionario. È così che si passa tranquillamente dagli operai della Ford e della Opel, ai neri, ai giovani, agli studenti, ai popoli del terzo mondo, per finire con i seguaci di Greta.
Le Sardine vengono associate alla sinistra, ma stanno incassando interesse e endorsement anche da ambienti della destra liberale. Anche CasaPound ha detto che il 14 dicembre parteciperà alla manifestazione. 
Credo che le motivazioni di queste adesioni siano leggermente strumentali. I liberali di destra - penso a Forza Italia - non vedono l’ora di rivitalizzare se stessi ridimensionando il sovranista anti-europeo Salvini. Quanto a CasaPound non si lascia certo scappare l’occasione di ottenere un po’ di visibilità.
E lei domani in piazza San Giovanni a Roma ci andrà?
No, e per almeno due motivi (lasciando perdere il terzo: abito a Torino). Il primo è che non mi sento a mio agio con un movimento che enuncia valori ma non ha il coraggio - o la capacità? - di formulare obiettivi politici definiti. Il secondo motivo è che, pur avendo più volte criticato Salvini tanto per i suoi modi, quanto per alcune sue scelte - quota 100, ad esempio - io la penso come la pensava Veltroni nel 2008: l’avversario politico va rispettato. E invece, parlando con tante persone pronte a mobilitarsi, troppo spesso sento circolare ben altri sentimenti: dalla repulsa fisica al disprezzo, dall’intolleranza all’odio verso il non-uomo Salvini. Insomma, per me ha ragione Liliana Segre: l’odio va combattuto in tutte le sue forme.

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