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sabato 23 novembre 2019

PREVENZIONE Pressione, quando è davvero alta? E come fare per abbassarla? Tutti i consigli

Fino a qualche tempo fa si parlava di pressione alta quando i valori erano superiori a 140 millimetri di mercurio per la «massima» e 90 per la «minima». Oggi qualcosa è cambiato 
di Elena Meli

Massima e minima

Fino a qualche tempo fa si parlava di pressione alta quando i valori erano uguali o superiori a 140 millimetri di mercurio per la «massima» e i 90 per la «minima». Oggi ci sono un bel po’ di distinguo e perfino una certa dose di disaccordo su che cosa si intenda per ipertensione, come ha sottolineato un recente studio pubblicato sul Journal of American College of Cardiology, che ha messo a confronto le ultime linee guida sull’argomento stilate dagli esperti statunitensi e dai loro colleghi europei. L’American College of Cardiology e l’American Heart Association infatti hanno messo nero su bianco che oltre il limite di 130/80 bisogna intervenire, perché la pressione è già da considerare troppo alta; l’European Society of Cardiology e l’European Society of Hypertension ribattono che la vecchia indicazione di tenersi sotto i 140/90 come obiettivo funziona ancora e sottolineano che non serve puntare troppo in basso, perché in alcuni casi scendere al di sotto di 120/70 potrebbe essere controproducente.

Il valore-soglia

Ma allora dove sta la verità? E quando ci si può dire ipertesi per davvero? Gianfranco Parati, coautore del confronto fra le linee guida americane ed europee e già presidente della Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa, spiega: «L’idea che si debba puntare più decisamente sotto il classico limite dei 140/90 è nata negli ultimi anni, quando è emerso che molti eventi cardiovascolari si registrano negli ipertesi in trattamento che hanno raggiunto valori attorno o appena inferiori a 140/90 e a seguito di studi che hanno mostrato come scendere al di sotto di 130 di massima conferisca un ulteriore, piccolo beneficio in termini di rischio cardiovascolare. Così gli americani hanno cambiato il valore-soglia dell’ipertensione e il target da raggiungere con le cure, senza però considerare che quando si opta per terapie più aggressive c’è un prezzo da pagare: aumentano infatti gli effetti collaterali, tanto che molti pazienti interrompono i farmaci, perdendone così ogni vantaggio e ritrovandosi fuori controllo, quindi ad alto rischio: ecco perché gli europei hanno mantenuto la soglia di 140/90 e un obiettivo terapeutico sotto i 140/90, possibilmente vicino a 130/80, consigliando di scendere più giù solo se il trattamento è ben tollerato e valutando sempre caso per caso se e quando sia opportuno essere un po’ più aggressivi. È stato fissato anche un limite inferiore: non si deve scendere al di sotto di 120/70 con una terapia, perché i rischi supererebbero i possibili vantaggi».

L’età

L’intervento deve tener conto dell’età e del profilo di rischio globale, come la presenza di altre patologie: negli anziani fragili per esempio è meglio essere «morbidi» perché potrebbero avere crolli di pressione troppo repentini col rischio di cadute e fratture; in chi ha una malattia renale cronica si può stare fra 130-140 e 70-79; nei diabetici, in chi ha avuto un ictus o un infarto e nei pazienti con coronaropatie è giusto puntare a 130/80 e anche più sotto, se ci si riesce senza andare incontro a guai.

Tempestività

«Più che focalizzarsi ad abbassare la pressione quanto più possibile in un iperteso, però, è bene cercare di correggerla appena la individuiamo: il messaggio non deve essere “più bassa è, meglio è”, ma “prima è, meglio è”», specifica Parati. «Iniziare una terapia tardi, quando la pressione ha già provocato danni irreversibili e il pericolo di eventi cardiovascolari è molto alto, significa solo tamponare le falle: si ottiene un beneficio, ma resta un rischio residuo di complicanze non indifferente perché l’ipertensione ha già avuto modo di creare danni agli organi. Curare la pressione alta quando non ha ancora fatto troppi guai e i valori sono solo di poco superiori alla norma significa avere un successo maggiore con la terapia, che funziona meglio se le arterie non sono già troppo irrigidite, e soprattutto consente di fare vera prevenzione e rimanere sani, perché non ci sono ancora alterazioni strutturali dell’apparato cardiovascolare e si può tornare alla normalità».

Stile di vita

Se si interviene con tempestività è anche più probabile evitare resistenze alla terapia e risolvere tutto migliorando lo stile di vita: come spiega Ciro Indolfi, presidente della Società Italiana di Cardiologia: «Cambiare le abitudini è indispensabile se si ha la pressione alta e spesso basta se il problema non è troppo grave o viene affrontato per tempo. La pressione scende in misura significativa se si perde il peso in eccesso, si riduce l’alcol, si passa a una dieta ricca di vegetali, cereali integrali e a basso contenuto di grassi. Serve ovviamente anche contenere l’apporto di sodio e aumentare quello di potassio. Infine, è necessario l’esercizio fisico: ogni volta che si fa attività aerobica la pressione cala visibilmente, se la si pratica con regolarità i benefici sono evidenti». Purtroppo dati raccolti di recente dal Sindacato Nazionale Autonomo Medici Italiani dimostrano che il 62% degli ipertesi non fa alcuna attività fisica e l’82% ha una circonferenza vita superiore alla soglia di sicurezza per le patologie metaboliche e cardiovascolari, indice di un peso elevato, alimentazione scorretta e sedentarietà.

Farmaci

Se migliorare lo stile di vita non basta bisogna passare ai farmaci e qui le linee guida americane ed europee concordano: è spesso opportuno scegliere una pillola con combinazioni di principi attivi. Sottolinea Parati: «Se la pressione è solo lievemente elevata all’inizio può andare bene un singolo medicinale, altrimenti le pillole “combinate” possono aiutare: l’associazione di farmaci con meccanismi d’azione diversi ha infatti una maggior probabilità di funzionare, inoltre consente di diminuire le dosi necessarie per ogni singolo farmaco e quindi i possibili effetti collaterali, semplifica la cura e aumenta le chance che venga seguita. La scarsa aderenza al trattamento infatti è un problema. Dati raccolti in Lombardia mostrano che dopo un anno la metà degli ipertesi già non si cura più, spesso proprio per colpa degli effetti collaterali della terapia. Calibrarla bene in modo che sia più tollerabile è essenziale e oggi le combinazioni aiutano, perché non ci sono più soltanto quelle ad alto dosaggio ma ne esistono di vari tipi e a dosi differenti, anche basse». Resta il fatto che per intervenire contro l’ipertensione è essenziale diagnosticarla: pian piano la consapevolezza degli italiani sta aumentando, ma sono ancora troppi gli ipertesi che non sanno di esserlo e tuttora si stima che gli ignari siano circa un terzo del totale. «L’ipertensione è uno dei fattori di rischio cardiovascolare più importanti, aumenta infatti il rischio di infarto, scompenso cardiaco, ictus e fibrillazione atriale. Però non dà sintomi, a parte rarissimi casi (quando la pressione alta procura per esempio mal di testa e la perdita di sangue dal naso, ndr), così tuttora spesso si scopre di essere ipertesi in occasione di un ricovero per eventi cardiaci traumatici, come un infarto o un ictus. Per poter correre prima ai ripari è indispensabile misurare la pressione regolarmente, almeno una volta l’anno durante l’età adulta e ovviamente anche più spesso in caso di fattori di rischio come diabete, sovrappeso, sindrome metabolica», conclude Indolfi.

Nuovi fattori di rischio

La pressione alta? Tutta colpa di uno stile di vita sbagliato, fatto di sedentarietà, dieta scorretta, fumo. Vero, ma c’è anche altro: gli studi scientifici hanno di recente individuato altri elementi che favoriscono l’ipertensione, assai meno noti. Prima arriva il ciclo mestruale, più sale la possibilità di ritrovarsi ipertese una volta superata la menopausa: lo ha rivelato uno studio su 8mila donne cinesi e secondo gli autori, epidemiologi dell’università della Georgia, potrebbe dipendere dall’associazione del menarca precoce con uno sviluppo del sistema cardiovascolare non ottimale, che poi nel corso della vita si manifesta con una maggior probabilità di disturbi fra cui l’ipertensione. Anche i frequenti «viaggi» notturni alla toilette potrebbero essere un segno di ipertensione, stando a uno studio giapponese su 4mila persone: chi va spesso in bagno ha una probabilità del 40% maggiore di avere la pressione alta, che cresce all’aumentare del numero di risvegli per far pipì. «Il bisogno di urinare infatti potrebbe essere associato a un eccessivo incremento dei fluidi, si tratta perciò di un segnale da non sottovalutare», raccomandano gli autori. E poi i pesticidi: sono pericolosi quelli usati per la floricoltura, stando a un’indagine dell’università di San Diego condotta su ragazzini residenti in Ecuador in aree dedicate alla coltivazione delle rose raccogliendo i dati a maggio, quando la produzione è ai massimi per la festa della mamma: in questo periodo l’esposizione ai pesticidi sale e con lei pure i valori di pressione dei bimbi, che per questo poi potrebbero andare incontro più facilmente a ipertensione. E infine la liquirizia. Anche un apparentemente innocuo tè alla liquirizia può portare a una crisi ipertensiva chi è più fragile, per esempio perché anziano: lo segnala uno studio canadese che rinnova la raccomandazione a non esagerare con liquirizia e derivati se si soffre di pressione alta. Questa radice ha infatti un effetto ipertensivo molto netto, per cui è bene limitarne l’uso sia come tale sia sotto forma di caramelle, tè o infusi.



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