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sabato 4 maggio 2019

Il ruolo della lingua italiana nell’identità dell’Europa

L’UNIONE

Da Dante a Leopardi, dobbiamo ricominciare a scrivere le pagine di un capitolo che non si è chiuso. Forse avremo anche più voce nelle stanze che contano
di Roberto Sommella

Quei giorni perduti a cercare dei numeri per spiegare la crisi ci hanno fatto dimenticare da dove veniamo. E le origini del contributo della lingua italiana alla costruzione di un’identità comune. Ancor prima che dalle azioni dei politici italiani, l’Europa unita è stata raccontata nel nostro idioma, studiato nel mondo da oltre ottanta milioni che guardano al paese dei mille campanili come a un tesoro di conoscenze da cui noi traiamo pochi frutti.

L’Italia di Ventotene, l’Italia che aspirava alla pace tra gli Stati in guerra, è nata molto prima, nella righe della sua letteratura. Di questi tempi si celebrano i duecento anni dell’Infinito ma in un altro scritto «Sugli italiani», Giacomo Leopardi analizza in modo profetico il rapporto tra i vari paesi che avrebbero composto nel secolo successivo l’Unione Europea. «In questo secolo presente, sia per l’incremento dello scambievole commercio e dell’uso de’ viaggi, sia per quello della letteratura, e per l’enciclopedico che ora è d’uso, sicché ciascuna nazione vuol conoscere più a fondo che può le lingue, letterature e costumi degli altri popoli, sia per la scambievole comunione di sventure che è stata fra’ popoli civili», scrive il poeta anticipando le finalità del mercato unico e dell’Erasmus, mentre più avanti spiega l’anelito di francesi, tedeschi, inglesi e futuri italiani a conoscersi di più. Perché «si è introdotta fra le nazioni d’Europa, una specie d’uguaglianza di riputazione sì letteraria e civile che militare». Sembrano le basi del Trattato di Roma.

Ma andando anche più indietro nei secoli troviamo altra ispirazione. Dante Alighieri è effigiato sulle monete da due euro, pochi sanno però che è stato il primo a parlare di Europa come elemento unificante, ben prima che esistessero l’Italia e gli altri stati nazione. In diversi canti del Paradiso Dante delinea espressamente l’esigenza di trovare un’entità che unisca le differenze dell’uomo e nello scrivere «Nel suo profondo vidi che s’interna legato con amore in un volume ciò che per l’universo si squaderna» intende che il compito primario di ogni essere vivente è la tensione all’unità, in questo caso a Dio. Riletto oggi, mentre l’Ue sembra più un elenco di divisioni che di unioni, appare ai tanti che lo studiano un vivo e concreto esempio di condivisione. Espresso in lingua italiana, la stessa di De Gasperi, Spinelli, Pertini, i tanti padri della Repubblica, ispiratori dell’Unione Europea.

I rimandi e le suggestioni potrebbero continuare per molto. Come Dante descrive l’Unione di diversità quale obiettivo finale dell’uomo, il poeta di Recanati illustra il gusto che ciascun europeo ha maturato già a metà dell’Ottocento nel conoscere gli altri, in specie loda la «stima» e «l’equità» con cui tutto ciò avviene, in un mondo già allora complesso. Il primo ci parla del fine, il secondo del mezzo. Sembra di vivere la stessa attenzione con cui oggi seguiamo le vicende della Brexit, il voto in ciascun paese europeo, i fatti, talvolta drammatici, che coinvolgono alcuni Stati europei dell’Est o la Grecia della grande austerità. Se proprio non vogliamo credere al contemporaneo Jean-Claude Juncker, prendiamo a fonte di ispirazione questi grandi connazionali, che ancor prima che il bene dell’uomo diventasse marginale di fronte alla finanza, capirono che era invece l’unica cosa che contava e nel difendere le nostre radici sovrane riscopriamo queste letture classiche.

Non ci sono solo i borghi, l’arte, gli scorci del Belpaese, esiste anche la lingua che tutto tiene assieme e che ci rende unici al mondo. Tralasciando quanto potremmo ricavare da una messa in comune di tanta ricchezza, in un mondo in cui la cura della persona e dell’intelletto saranno sempre più ricercate, dobbiamo essere consapevoli che in tanti nel mondo vogliono saperne di più della nostra storia. Non ci sono solo i fondi attirati dal nostro risparmio che non aspettano altro che un nostro default per sottrarci migliaia di miliardi di euro. Esistono anche gli amanti dell’Italia in quanto tale, che vorrebbero vivere nel nostro paese per studiarlo in profondità come un museo a cielo aperto, a cominciare dalla lingua. Da Dante a Leopardi non abbiamo che l’imbarazzo della scelta per essere orgogliosi delle nostre origini e ricominciare a scrivere le pagine di un capitolo che non si è chiuso. Chissà, forse avremo anche più voce nelle stanze che contano.

3 maggio 2019 (modifica il 3 maggio 2019 | 20:35)

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