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martedì 24 maggio 2016

Il manuale degli statali per non lavorare

Burocrazia. Da "liberoquotidiano.it"
L'articolo che segue è la fotografia della Burocrazia italiana; non c'è nulla da aggiungere e la pubblico sul mio Blog perché sia sempre sotto gli occhi e non si corra il rischio di dimenticare ciò che è uno dei mali che affliggono gli italiani.
Un giorno non lontano due persone completamente vestite di bianco piombano nell'ufficio del capo di gabinetto di un ministero. «Ci hanno segnalato che in questo ufficio c' è un esemplare di Tarentola Mauritanica. Secondo la normativa vigente non è contemplata la presenza di un animale in un palazzo adibito a pubblica funzione». Quel capo di gabinetto, dopo avere strabuzzato gli occhi, dopo avere verificato che i due funzionari stavano facendo sul serio, ha fatto mente locale e ha ripensato a quel geco che di tanto in tanto faceva capolino sul soffitto dell' ufficio. Una Tarentola Mauritanica, per l' appunto, che non era prevista dalla legge, pertanto andava identificata e abbattuta. C' era però un' alternativa alla caccia al geco ministeriale. Il capo di gabinetto poteva compilare l' apposito modulo, l' H 32-bis, assumendosi tutte le responsabilità del caso. "E così è successo" dice Alfonso Celotto.
Non è cronaca dall' iperuranio ma un fatto realmente accaduto in questa legislatura. È questo uno degli spaccati surreali che è in grado di regalare la pubblica amministrazione, una macchina meticolosa, iper burocratizzata, il cui unico scopo è quello di normare ogni singolo aspetto della nostra vita, a costo di cadere in paradossali assurdità. Tutte puntualmente elencate con sottile e perfida ironia dal dottor Ciro Amendola, direttore della Gazzetta Ufficiale, autore del libro Non ci credo, ma è vero (Historica Edizioni). Amendola, già protagonista di due romanzi, altri non è che la creazione letteraria di Alfonso Celotto, 50 anni, costituzionalista, docente universitario, collaboratore giuridico di diversi ministri.
Celotto, io intervisto lei e non il dottor Amendola.
«Io ne sono il legale rappresentante pro tempore».
Chi è il dottor Amendola?
«Un servitore dello Stato, che vive ai sensi dell' articolo 54 della Costituzione, quello che recita: "I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore"».
Sono tanti gli Amendola nella pubblica amministrazione?
«Sì, ma sono nascosti e si perdono in una enorme ragnatela».
Mi descriva la ragnatela.
«Per noi italiani la legge deve disciplinare tutto, fino all' ultimo dettaglio. Cinquant' anni fa avremmo fatto una norma scrivendo che "sono giustificate le assenze motivate". Oggi si scrive che "sono giustificate le assenze dovute a: sciopero, terremoto, ritardo dei treni, e via elencando venticinque cause"».
Non è meglio?
«No. Se ci si dimentica di scrivere "ritardo degli aerei" quel caso non è contemplato dalla norma. Se poi si verifica il sistema impazzisce».
Cos' è la burocrazia?
«È una gabbia che non bada mai al risultato per il cittadino, ma alla forma. Tanto da produrre il paradosso dell' asilo nido».
Ovvero?
»Tu puoi rispettare il codice per gli appalti, fare una gara ineccepibile e costruire un asilo nido in un paesino abitato da soli vecchi».
E a che serve?
«A niente. Ma nessuno ha scritto che l' opera pubblica debba servire veramente, l' importante è che sia fatta, come direbbe il dottor Amendola, "ai sensi e per gli effetti della normativa vigente"».
Quante leggi ci sono in Italia?
«Circa 190 mila».
Quante ne basterebbero?
«Direi 5mila».
Calderoli, da ministro, le bruciò con il lanciafiamme.
«Io ero il capo legislativo di Calderoli. Confesso: sono correo».
Mi racconta?
«Nel 2000 il ministro Andreatta si rende conto che l' Italia non ha una banca dati pubblica delle leggi e stanzia 25 miliardi di vecchie lire per farla. Calderoli nel 2008 si accorge che quasi metà di quei soldi erano stati spesi solo per studiare il problema. Restano 7-8 milioni di euro e Calderoli deve decidere che fare: può comprare una delle banche dati private, il che però è un paradosso perché è lo Stato che si ricompra le sue cose».
Oppure?
«L' alternativa è unire le banche dati pubbliche esistenti: Poligrafico dello Stato, Cassazione, Camera e Senato. Così Calderoli ha fatto, cancellando le norme già superate. Poi le ha bruciate per fare un po' di scena».
Nel libro il dottor Amendola elenca le cattive abitudini del pubblico impiegato: non regalare mai un minuto, nel dubbio non fare, copiare (chi copia non si assume responsabilità), mettere da parte le pratiche più difficili...
»Per il dottor Amendola molti statali hanno acquisito il diritto a un reddito di cittadinanza».
È così?
«È un fatto storico. Quando la capitale venne trasferita a Roma, i Sabaudi erano odiati. Quindi cosa fanno?
Per fidelizzare la popolazione assumono in sovrannumero cittadini romani. Risultato? Dai a questa popolazione un reddito di cittadinanza, al tempo stesso sorge il diritto a non lavorare. Se l' ufficio aveva in ruolo venti persone e tu ne aggiungi dieci, queste dieci non servono a nulla».
"Lo statale è un fannullone" è un luogo comune?
«Fa poco, rispetta la forma. Io non sono contro gli statali, ma c' è un serio problema culturale nel pubblico impiego. Ci sono dipendenti capacissimi, ma sono schiavi del mansionario».
Cioè?
«È un elenco scritto in burocratese su cui sono specificati i compiti. Se non c' è scritto nel mansionario del vice capo ufficio di fare fotocopie, lui non le fa. Magari uno è bravo a svolgere un compito ma la domanda cruciale è: c' è nel mansionario?».
È pazzesco.
«Su tre milioni di statali lavorano la metà, forse meno. Gli altri sono scartati dal sistema».
Quindi il cittadino fa bene ad additarli a fannulloni?
«È una generalizzazione sbagliata. Tanti impiegati lavorano molto, molti altri fanno lavori inutili e anacronistici. Quanto, fatto 100, nella pubblica amministrazione è servizio al cittadino? Quanto è invece ufficio stipendi, ufficio del personale, ufficio pensioni, auto organizzazione? Più della metà, temo».
Dal decalogo di Ciro Amendola del pubblico impiego. Primo: tenere la carte a posto. Risultato: la proliferazione di documenti.
«È il trionfo del feudalesimo amministrativo. Vuoi aprire una pizzeria? Servono 18 via libera: l' Asl, i vigili urbani, la polizia, i beni culturali, il ministero dell' Ambiente…».
Ma c' è lo Sportello unico.
«Significa che vai in un ufficio, parli con una persona e questo vale per diciotto. Ma quella persona cosa fa? Smista la tua domanda ai diciotto che devono dare l' autorizzazione. Non cambia nulla. Vuoi aprire una pizzeria e hai dicissette pareri favorevoli? Non puoi».
Ancora dal decalogo dello statale improduttivo: quando una questione non si può proprio evitare, convoca una riunione.
«Con il trucco: una riunione con almeno dieci persone».
Perché?
«Qualsiasi riunione che deve mettere d' accordo più di tre o quattro persone non avrà esito positivo».
Quindi nel pubblico non si decide mai.
«Nessuno deve decidere. Se tu, singolo funzionario pusillanime e timoroso non vuoi decidere, basta che tieni le carte a posto, chiedi pareri, o se proprio devi intervenire coinvolgi tutti. Così quando ti chiederanno: "Perché hai fatto così?" dirai: "Perché ho chiesto a questo, quello e quell' altro". Nessuno si assume la responsabilità».
Perché accade?
«Perché non c' è meritocrazia. Nel pubblico, se tu lavori e il tuo vicino di scrivania manda i messaggi su whatsapp guadagnate lo stesso. Il dipendente onesto pensa: "Ma io sono il più cretino?"».
Ma ci sarà il responsabile a cui chiedere conto di una pratica?
«È il Rup, il Responsabile unico del procedimento. Che ti risponderà sempre "per quanto di stretta competenza…"».
Esisterà una soluzione?
«Servono coraggio e tempo. Io ho lavorato con molti ministri e il coraggio, al politico, manca. Bassanini parlò di semplificazione nel 1997. Ogni ministro successivo l' ha ripetuto. Semplificare significa, per tornare alla pizzeria di prima, che per aprirla servono non diciotto pareri, ma due: Comune e Regione. Poi la polizia si lamenta, i Vigili del fuoco pure, l' Asl anche. E tu politico non hai il coraggio di dire no».
Risultato?
«Scrivi, in nome della semplificazione, una legge così: "La pizzeria prima si apriva in trenta giorni, oggi il termine è venti giorni"».
Perfetto.
«Per niente. Se nei venti giorni la Asl comunque non si pronuncia, tu la pizzeria non la apri».
Mi cascano le braccia. Torniamo alle possibili soluzioni.
«Uno dei grandi problemi del corpaccione ministeriale è che da anni non si fa un concorso per funzionari, per cui i laureati sono tutti tra i 50 e i 55 anni. Dei tre milioni di statali, due terzi sono demotivati, difficili da recuperare. Dovresti inserire in ruolo tanti ragazzi. Però cosa fai di quei due milioni che non servono più? Li mandi in pensione e aumenti il debito pubblico?».
Che fai?
«Nulla. Rimandi al prossimo ministro».
Brunetta ci ha provato.
«Davvero?».
Ha tuonato contro i fannulloni. Ha parlato dei tornelli.
«Ah, il tornello… Questo metronomo che scandisce la vita dell' impiegato, questa linea di confine tra il bene e il male... Metti i tornelli e poi nasce l' imbroglio dei poveracci che si passano i tesserini».
Non servono?
«È come il guinzaglio al cane. Serve o no? Il problema, ripeto, è culturale».
Ma il dottor Amendola quando vede il dipendente del Comune di Sanremo che timbra in mutande che pensa?
«Si inquieta moltissimo».
Il dottor Amendola racconta della Finanziaria, dove esiste il celebre assalto alla diligenza: i parlamentari cercano di fare approvare provvedimenti per il loro territorio.
«Il deputato di Cuneo vuole cambiare l' Iva sui tartufi e quello di Trapani dare incentivi alle saline. Così cercano di fare approvare una riga nella legge finanziaria, con commi che rinviano a commi che modificano altri commi per non farsi smascherare».
C' è un caso epocale?
«Non so per quale bizzarro comma i venditori di basilico e rosmarino godono dell' Iva agevolata».
E quindi?
«Quindi ora chi produce salvia vuole la stessa cosa».
Come direbbe il dottor Amendola?
«Tutto questo ai sensi e per gli effetti della normativa vigente».
di Alessandro Milan

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