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domenica 13 ottobre 2019

L’intelligenza aiuta a non ammalarsi

hadow
Esiste un legame tra livello di intelligenza di una persona e il suo stato di salute, con ripercussioni anche sulla longevità. In particolare, sembra esserci uno specifico rapporto tra il livello di intelligenza mostrato da bambini o da giovani e la salute di cui si godrà nella vita. Questo legame, la cui natura non è ancora del tutto chiara agli scienziati, sarà uno dei temi della quinta edizione del Festival della Scienza Medica, organizzato a Bologna dal 9 al 12 maggio e che quest’anno sarà dedicato proprio alla «intelligenza della salute». Al festival è prevista anche la partecipazione di Ian Deary del Centro per l’invecchiamento cognitivo del dipartimento di psicologia dell’Università di Edimburgo, autore di diversi studi sul rapporto tra intelligenza, stato di salute e longevità. Una delle sue ricerche ha coinvolto oltre 65mila persone che nel 1947 erano state sottoposte a test di intelligenza nelle scuole scozzesi, così è stato poi possibile verificarne le condizioni di salute e la longevità.
Il ruolo dell’istruzione
Il legame tra quoziente di intelligenza e salute è risultato inequivocabile. «Abbiamo prove chiare del fatto che un livello più alto di intelligenza rilevato tramite specifici test risulta associato a una vita più lunga, sia per un minor rischio di malattia, sia per la maggior probabilità di tenere comportamenti salutari» ha spiegato Ian Deary al Corriere della Sera. «Le prove vengono da grandi studi di popolazione condotti in diversi Paesi. Punteggi elevati ai test dell’intelligenza sono abbinati a un minor rischio di morire per diverse patologie, compresi ictus, malattie cardiovascolari, tumori correlati al fumo di sigaretta, malattie respiratorie e dell’apparato digerente, demenza, ferite o lesioni. Sia il nostro gruppo di ricerca sia altri che lavorano sugli stessi temi stanno cercando di capire meglio perché esiste questa correlazione. Le ragioni in buona parte possono essere fatte risalire al livello di istruzione e alla posizione socio-economica e a comportamenti connessi allo stato di salute, compresa la relazione con il fumo di sigaretta. In parte però possono essere chiamati in causa anche fattori genetici ».

Diversi studi ormai provano che esiste un legame fra le capacità cognitive, la salute e la longevità. Merito dei geni ma pure degli stili di vita conseguenti
di Danilo di Diodoro
Esiste un legame tra livello di intelligenza di una persona e il suo stato di salute, con ripercussioni anche sulla longevità. In particolare, sembra esserci uno specifico rapporto tra il livello di intelligenza mostrato da bambini o da giovani e la salute di cui si godrà nella vita. Questo legame, la cui natura non è ancora del tutto chiara agli scienziati, sarà uno dei temi della quinta edizione del Festival della Scienza Medica, organizzato a Bologna dal 9 al 12 maggio e che quest’anno sarà dedicato proprio alla «intelligenza della salute». Al festival è prevista anche la partecipazione di Ian Deary del Centro per l’invecchiamento cognitivo del dipartimento di psicologia dell’Università di Edimburgo, autore di diversi studi sul rapporto tra intelligenza, stato di salute e longevità. Una delle sue ricerche ha coinvolto oltre 65mila persone che nel 1947 erano state sottoposte a test di intelligenza nelle scuole scozzesi, così è stato poi possibile verificarne le condizioni di salute e la longevità.
Il ruolo dell’istruzione 
Il legame tra quoziente di intelligenza e salute è risultato inequivocabile. «Abbiamo prove chiare del fatto che un livello più alto di intelligenza rilevato tramite specifici test risulta associato a una vita più lunga, sia per un minor rischio di malattia, sia per la maggior probabilità di tenere comportamenti salutari» ha spiegato Ian Deary al Corriere della Sera. «Le prove vengono da grandi studi di popolazione condotti in diversi Paesi. Punteggi elevati ai test dell’intelligenza sono abbinati a un minor rischio di morire per diverse patologie, compresi ictus, malattie cardiovascolari, tumori correlati al fumo di sigaretta, malattie respiratorie e dell’apparato digerente, demenza, ferite o lesioni. Sia il nostro gruppo di ricerca sia altri che lavorano sugli stessi temi stanno cercando di capire meglio perché esiste questa correlazione. Le ragioni in buona parte possono essere fatte risalire al livello di istruzione e alla posizione socio-economica e a comportamenti connessi allo stato di salute, compresa la relazione con il fumo di sigaretta. In parte però possono essere chiamati in causa anche fattori genetici ».
Il cervello plastico
Ma l’intelligenza oggi sembra essere sempre più una caratteristica mutevole dell’individuo, dal momento che la ricerca degli ultimi anni ha mostrato che il cervello sa essere plastico, con la possibilità fino in tarda età di sviluppare nuove sinapsi e perfino nuovi neuroni in certe zone, come l’ippocampo. Questa intelligenza «aggiuntiva» potrebbe aiutare comunque a migliorare il benessere e la longevità di un individuo? «Mantenere una buona funzione cognitiva ed evitare il declino in età adulta è sicuramente una buona idea» commenta Ian Deary. «Ne derivano una salute migliore, una vita più lunga e la possibilità di restare indipendenti quando si diventa anziani. Molte delle nostre ricerche oggi sono orientate a cercare di capire perché i cervelli e le abilità di pensiero di alcune persone sono migliori di quelli di altre. Sappiamo che alcuni fattori possono essere protettivi nei confronti del declino cognitivo: evitare il fumo di sigaretta, mantenersi in forma, raggiungere un più alto livello di istruzione, impegnarsi in lavori intellettualmente stimolanti, cercare di evitare le malattie. Poi però contano anche i fattori genetici. Comunque non credo che si debba per forza essere intelligenti per stare in salute. Credo piuttosto che tutti dovremmo chiederci come si comportano le persone più intelligenti rispetto alla loro salute. Se riusciamo a capirlo, allora possiamo copiarle».
Fattori genetici
La disciplina che studia il legame tra intelligenza e stato di salute è l’epidemiologia cognitiva, sulla quale stanno lavorando diversi gruppi di ricerca al mondo. «L’epidemiologia cognitiva è lo studio della reciproca associazione dinamica tra il funzionamento cognitivo e le condizioni di salute lungo tutto il corso della vita di una persona, ed è coltivata in molti Paesi europei, negli Usa e in Australia. L’interrogativo principale che si pone è proprio la possibile associazione tra un più elevato livello di intelligenza rilevato ai test effettuati in gioventù e un miglior stato di salute, minori episodi di malattia e vita più lunga». «In molti Paesi — continua Deary - si stanno portando avanti ampi studi epidemiologici, come una ricerca danese effettuata su circa un milione di persone e uno studio israeliano che ha coinvolto circa due milioni di persone. Un’altra nostra ricerca ha esplorato i rapporti tra test d’intelligenza in età giovanile e presenza in età adulta di disturbi mentali e fisici, oltre che di specifici comportamenti salutistici. Abbiamo effettuato anche alcune ricerche di tipo genetico per cercare di scoprire qual è il ruolo della genetica e anche per individuare quali potrebbero essere i geni coinvolti». Intelligenza e salute certamente hanno una reciproca influenza e insieme rappresentano un vero e proprio patrimonio sociale che vale la pena preservare. «La salute dipende dall’intelligenza e l’intelligenza dalla salute» commenta Gilberto Corbellini direttore del Festival di Bologna. «Non dobbiamo dimenticare che nei Paesi dove i bambini crescono contraendo infezioni — alcune delle quali come la malaria, colpiscono gravemente anche il cervello, — o non si alimentano a sufficienza, subiscono ritardi cognitivi, con ricadute negative non solo a livello individuale, ma anche per le prospettive di sviluppo economico, sanitario e civile».
L’abitudine al pensiero astratto
Si chiama «effetto Flynn» ed è davvero sorprendente: da quando si fanno i test di intelligenza si rileva un costante aumento del punteggio raggiunto dai ragazzi. In media, i dodicenni testati nel 1980 mostravano un’intelligenza superiore a quella dei coetanei testati nel 1970, che a loro volta superavano quelli del 1960. L’effetto è stato scoperto dallo psicologo neozelandese James Flynn, che nel 1981 revisionò i risultati dei test d’intelligenza realizzati durante quasi un secolo. «È impossibile che gli esseri umani abbiano avuto in così poco tempo una vera evoluzione biologica che li ha portati a diventare una specie più intelligente» dice David Shenk, dell’Università dello Iowa, in un articolo pubblicato sulla rivista WIREs Cognitive Science. «Infatti i miglioramenti non sono rilevabili in tutte le aree, ma solo in alcune, come quella del ragionamento astratto». È possibile che il miglioramento osservato ai test rispecchi solo una maggior confidenza con il ragionamento astratto, mentre l’intelligenza delle generazioni precedenti era più ancorata alla realtà quotidiana».

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