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sabato 22 dicembre 2018

«Le tecnologie alimentano il falso mito della partecipazione diretta»: un testo del 1994 in cui il politologo (1924-2017) lanciava l’allarme sullo stato dell’opinione pubblica di GIOVANNI SARTORI

MAESTRI
Giovanni Sartori,
«traditi dalla videocrazia»

Vittoria e crisi della democrazia sono due facce della stessa medaglia perché il successo democratico lascia le nostre democrazie senza il collante o la coesione che deriva dall’esistenza di una minaccia esterna. Intendiamoci: le democrazie si sono sempre trovate in condizioni critiche. Ma cosa c’è di peculiare nella crisi che è arrivata dopo la vittoria della democrazia sul comunismo? La mia risposta parte da lontano: è infatti il «pensiero debole» la causa principale dei nostri problemi attuali. E dietro il pensiero debole si trova spesso un «pensiero critico» che alla fine dei conti tanto critico non è.

Peraltro la critica non può mai essere semplice negativismo. Il vero atteggiamento critico, oltre a non essere pregiudiziale, deve rimanere sempre aperto all’autocritica, a criticare per primo se stesso. In più, il pensiero critico si deve sempre confrontare con due interrogativi. Primo: qual è il mio fine? E secondo: quali sono le alternative? O meglio, mentre rifiuto qualcosa, ho qualcos’altro da controproporre? Sono domande che in pochi sollevano e alle quali nessuno risponde. Così finisce per prevalere un confutare vuoto: quello che mi diverto a chiamare «contrismo». È la china á la Derrida che ha preso la nostra cultura, impegnata a decostruire tutto e a non costruire nulla. Il che può anche essere divertente, ma ci lascia esattamente al punto da cui siamo partiti.

Nato a Firenze nel 1924 e scomparso a Roma nel 2017, Sartori è stato uno degli studiosi italiani più famosi a livello internazionale e aveva vinto nel 2005 il premio Principe delle Asturie
Nato a Firenze nel 1924 e scomparso a Roma nel 2017, Sartori è stato uno degli studiosi italiani più famosi a livello internazionale e aveva vinto nel 2005 il premio Principe delle Asturie
Però, per venire all’oggi, è la «forza della tecnologia», l’era del video-potere, quello che più mi spaventa. E quando la fine della cultura dell’Illuminismo si allea con la fine dell’uomo di Gutenberg, allora la democrazia è veramente a rischio, nel senso che è messa in pericolo da livelli insostenibilmente bassi di competenza politica.

Questo è un punto sul quale bisogna evitare fraintendimenti. Una democrazia senza nemici diventa una forma politica senza alternative legittime, senza rivali sul piano della legittimità. E a chi non ha nemici può capitare di diventare il peggior nemico di se stesso. In tutta la storia dell’umanità non è mai accaduto che le persone si trovassero a vivere senza un «grande nemico» da temere e combattere. Vivere senza nemici esterni è un po’ come vivere in uno stato di gravità ridotta. Ma alla fine le pressioni che ci tengono uniti resisteranno alle forze che inducono a dividerci? La mia impressione è che mentre diventa sempre più difficile resistere alla democrazia, allo stesso tempo diventa sempre più difficile sostenere una democrazia di «successo».

Il principio di legittimità che ispira tutte le società moderne è che gli incarichi politici devono essere ricoperti da politici regolarmente eletti e responsabili di fronte agli elettori. Sotto questo profilo la democrazia è e resta the only game in town. E servirebbe una quantità industriale di malgoverno e di stupidità per far tornare alla ribalta il governo (qualsiasi governo) autocratico. Dunque il punto non è tanto il crollo della democrazia, ma la sua capacità di creare condizioni per il buon governo.

Purtroppo non vedo prospettive particolarmente rosee neppure per quanto riguarda il processo di democratizzazione, e cioè la possibilità di raggiungere migliori o più elevati standard di democrazia. A retorica ce la caviamo alla grande, ma nei fatti la sondocrazia e la videocrazia stanno generando una democrazia senza demos, senza un popolo degno di questo nome. E così veniamo al problema della demo-inflation, cioè dell’inflazione o del rigonfiamento del popolo. La teoria della democrazia ha avuto sempre qualche difficoltà quando si è trovata di fronte a questo tema. Chi è il «vero popolo»? Solitamente si risponde che se oggi il demos è manchevole, domani migliorerà — in preferenze e competenze — con la crescita della democrazia, perché è il kratos del popolo che crea (qualitativamente) il popolo. Come direbbe Benjamin Barber, è la «democrazia forte» che alimenta/alleva un «demos forte».

Ma è davvero così? Quel che è certo è che le nostre democrazie si stanno dirigendo verso un sempre maggiore «direttismo», vale a dire verso procedure dirette che spiazzano e rimpiazzano la democrazia rappresentativa (indiretta). Però la democrazia diretta in questione è in realtà una democrazia demoscopica e, dunque, una democrazia monitorata dai sondaggisti. Una sondocrazia. E quindi tutta un’altra specie.

La democrazia partecipativa richiede che un numero crescente di persone prenda parte attivamente alla politica, e che questa partecipazione sia essa stessa un processo educativo: partecipando si impara. In questo modo si verrebbe a formare quel «demos forte» che abbiamo visto sopra. Ma nella variante della democrazia demoscopica il popolo si riduce a un campione rappresentativo di cittadini, a qualche migliaio di individui che con qualche monosillaba rispondono a una manciata di domande. È evidente che nella sondocrazia non si dà partecipazione e nessuno sviluppa un interesse per la politica. Così non facciamo altro che allevare, di fatto, un «demos debole» incoraggiato a nulla-sapere e a nulla-fare.

In aggiunta ai sondaggi d’opinione che sondano le opinioni, abbiamo anche montagne di dati che confermano ciò che le persone non sanno e non capiscono sulle questioni per le quali gli viene chiesto di esprimere un parere. Quindi sappiamo bene, e senza ombra di dubbio, che lo stato dell’opinione pubblica è scadente e che si sta ulteriormente deteriorando man mano che si deteriora la qualità delle scuole e dei media. La conseguenza è che stiamo pericolosamente costruendo un sistema politico basato sul popolo attraverso un’espansione indotta del demos che alla fine ci lascia soltanto con un popolo di cartone, un pubblico finto che nella realtà non esiste.

Il testo
Il testo qui pubblicato è un estratto dal paper Victory and Crisis, presentato da Giovanni Sartori nel 1994 in occasione del «Nobel Symposium on Democracy», tenutosi in Svezia presso l’Università di Uppsala (27-30 agosto 1994). Il testo, scritto in inglese, è stato tradotto da Marco Valbruzzi

21 dicembre 2018

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