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domenica 25 maggio 2014

Perché non è vero che la Tasi è più cara dell’Imu


23/05/2014

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Un errore grossolano nei calcoli della Uil sulla Tasi rende i dati totalmente inattendibili
Flickr / Ondablv

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Parole chiave: 
TASI / IMU / STIME UIL / TASSE / COMUNI / FERRARA
Argomenti: 
RIFORME FISCO E TRIBUTI
Il 20 maggio il Servizio Politiche Territoriali della Uil (diretto da Luigi Veltro) ha diffuso uno studio in cui prendeva in esame i 32 capoluoghi di provincia che, a quella data, avevano già deliberato le aliquote e i regolamenti della Tasi, il nuovo tributo comunale che, di fatto, sostituisce sull’abitazione principale l’Imu. Lo studio identifica in particolare 12 Comuni (tra cui Milano, Genova, La Spezia, Ferrara, Siracusa e altri) in cui il costo medio pro-capite della Tasi sull’abitazione principale sarà più alto rispetto al costo medio dell’Imu pagata nel 2012.[1]
Nei due giorni seguenti i risultati di questo studio hanno avuto enorme risalto su quasi tutti i media nazionali; lo stesso Presidente del Consiglio è stato più volte interrogato in merito, con l’accusa di veder parzialmente vanificato il famigerato bonus di 80 euro mensili previsto dal Dl n.66/2014. Giornali, televisioni, siti di informazione hanno lungamente ripreso la notizia, che in molti casi ha costituito il titolo di apertura.
Beh, lo studio della Uil è viziato da un grave e banale errore aritmetico che inficia completamente tutti i risultati.
Per illustrare l’errore, prendiamo ad esempio il caso del Comune di Ferrara ma - poiché la metodologia utilizzata è uniforme - analogo errore sembra essere stato commesso per ciascuno dei 32 Comuni capoluogo. Lo studio riporta i seguenti dati:
comune-ferrara-tasi
Secondo la Uil, quindi, l’amministrazione comunale di Ferrara avrebbe incrementato il costo medio del tributo sull’abitazione principale di 60 euro.
Per calcolare il costo medio Imu 2012 lo studio si basa su dati di consuntivo e quindi non soggetti a dubbio. Correttamente, divide l’incasso totale come risultante dal bilancio (14.003.991 euro) per il numero di contribuenti intestatari di abitazione principale (56.576). Il risultato è 247,52, arrotondato a 248 euro.
Per il 2014 la Uil non fa un ragionamento analogo (dividendo cioè l’importo previsto a bilancio preventivo 2014 per il numero di contribuenti, cosa che avrebbe subito reso chiaro l’errore), ma preferisce calcolarsi l’imposta netta ricostruendo il percorso:
rendita catastale media > base imponibile > imposta lorda > detrazione > imposta netta
Per calcolare il tributo sulla prima casa (Imu e Tasi funzionano esattamente allo stesso modo), si parte dalla rendita catastale, così come decisa dall’Agenzia del Territorio[2], vale a dire una stima del flusso di reddito che l’immobile avrebbe se immesso sul mercato (e determinato dal prodotto tra la consistenza dell’unità immobiliare e la tariffa d’estimo).
Per passare alla base imponibile del tributo, si aumenta la rendita del 5% e la si moltiplica per 160, una misura adottata dal decreto “Salva Italia” di Monti con il duplice scopo di adeguare le rendite a valori più prossimi a quelli di mercato e, forse soprattutto, assicurare un consistente incasso allo Stato.
Successivamente, come per tutti i tributi, si moltiplica la base imponibile per l’aliquota, ottenendo l’imposta lorda. Alla quale, per arrivare all’imposta netta che il contribuente deve corrispondere, si sottrae la detrazione. Ai tempi dell’Imu la detrazione era semplice: 200 euro per tutti, più 50 euro per ogni figlio convivente under 26, fino ad un massimo di quattro. Il regime Tasi è diverso: spariscono le detrazioni per i figli (o meglio, se un Comune le vuole mantenere, se le deve pagare!), e all’ente locale viene lasciata completa discrezionalità anche per il disegno della detrazione principale. Discrezionalità limitata, in quanto i Comuni hanno un evidente e stringente vincolo di bilancio: visto che il governo non prevede alcun trasferimento compensativo, il gettito Tasi prima casa non deve essere inferiore al gettito Imu prima casa, a meno di non dover intervenire altrove con aumenti di tassazione o tagli di spesa.
Case di Finale Ligure (Vittorio Zunino Celotto/Getty Images)

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Il problema è che nel primo passo di questo percorso (rendita catastale media) il Servizio Politiche Territoriali della Uil commette un banale e grave errore: utilizza la media semplice (anziché la media ponderata, come sarebbe corretto) tra le varie categorie catastali, pesando allo stesso modo categorie in cui – ad esempio – ci sono solo 1.000 immobili e quelle in cui ve ne sono 50.000. Il risultato, ovviamente, non può essere in alcun modo rappresentativo della rendita media presente in quel Comune. E poiché tutti i calcoli successivi sono basati su quel dato, tutti i risultati sono completamente falsati.
In pratica, è come se in un gruppo ci fossero 1.000 persone con i capelli mori e 20.000 con i capelli biondi. Gli individui con i capelli mori sono, in media, alti due metri. I biondi invece sono, in  media, alti 1 metro e mezzo. Nessuna persona sana di mente si sognerebbe di dire che l’altezza media complessiva è 1,75 metri (cioè la media semplice tra 1,5 e 2) perché mentre i mori sono soltanto 1000, i biondi sono venti volte di più. Ebbene, incredibilmente invece è proprio quello che fa la Uil nel suo studio. A posto di biondi e mori abbiamo le categorie catastali, e a posto dell’altezza la rendita catastale.
Vediamo in dettaglio che conseguenze ha avuto questa madornale svista sul dato del Comune di Ferrara.
Poiché lo studio è diretto agli immobili adibiti ad abitazione principale, l’analisi della Uil prende in esame i seguenti immobili e le seguenti rendite catastali medie:
categoria-catastale
Lo studio della Uil dichiara che, di conseguenza, nel Comune di Ferrara vi è una rendita catastale media di 737,50 euro, che però è la media semplice tra le quattro rendite medie di cui sopra.
In realtà, ovviamente, va presa la media ponderata (in quanto le quattro categorie hanno consistenza diversa). Se lo scopo è, infatti, individuare una misura media della rendita catastale in cittànon si può pesare allo stesso modo la categoria A7 (che ha solo 4.028 immobili) e la A3 (che ne ha 46.261).
La media ponderata si calcola pesando ciascuna rendita per un coefficiente (quest’ultimo pari al numero di unità immobiliari in quella categoria diviso il numero totale):
(17.929/ 75.870) *883 + (46.261 / 75.870)*591+ (7.652/75.870)*265+ (4.028/75.870)*1212 661,05 euro
Questa differenza (tra la rendita media dichiarata dalla Uil e quella invece veritiera) inficia tutta l’analisi, infatti, su una rendita media di 661,50, ecco i calcoli giusti. Per quanto riguarda il 2012:
rendite-castali-tasi-netta
Quindi, applicando il ragionamento medio (con la media ponderata però!) otteniamo un costo medio per contribuente di 244,22 euro.  Un dato non molto distante da quello (confermato proprio dalla Uil) effettivamente pagato dai ferraresi nel 2012, e cioè circa 248 euro. Questo quindi è il termine di paragone per quanto concerne quello che è stato pagato nel 2012.
Per quanto riguarda il 2014, facciamo un ragionamento analogo. Partiamo sempre dalla rendita catastale media ponderata (661,05) e quindi dalla base imponibile media ponderata del tributo (= rendita catastale * 1,05 *160 = 111.056). Solo che stavolta la moltiplichiamo per l’aliquota Tasi (3,3 per mille) e otteniamo l’imposta lorda.
Alla quale però va sottratta la detrazione, che nel Comune di Ferrara abbiamo disegnato in maniera personalizzata in modo tale che ogni contribuente pagasse 5 euro in meno rispetto a quello che pagava con l’Imu 2012.
La formula per la detrazione, che si trova nella delibera approvata dal Consiglio Comunale di Ferrara il 28 aprile scorso, è la seguente:
Detrazione =  200 – (rendita catastale * 0,1176) + 5
Quindi:
rendite-castali-tasi
La Tasi che ogni ferrarese pagherà, dunque, sarà in media (ponderata, quindi corretta) 239,21 e non i 308 dichiarati dallo studio della UIil. La differenza sta appunto nel fatto che hanno usato la media sbagliata.
come si può verificare, la Tasi 2014 (=239,21 euro) è inferiore all’Imu pagata nel 2012 (=247,52 euro) di circa 8,31 euro.
Nelle ore seguenti la pubblicazione dello studio, il Comune di Ferrara - di concerto con gli altri Comuni vittime di tale errore - hanno a lungo tentato di segnalare la questione ai media nazionali, anche preannunciando azioni legali. Ma, incredibilmente, nessun quotidiano (con la lodevole eccezione de Il Sole 24 Ore) sembra considerare la cosa importante.
A mio personale parere invece siamo in presenza di un fatto molto grave. Per due giorni una parte rilevante del dibattito pubblico del Paese (a poche ore da elezioni europee e amministrative, che tra l’altro coinvolgono alcune delle città ingiustamente accusate di aver elevato la pressione fiscale) è stato basato su dati completamente sbagliati che, perlomeno nel caso del Comune di Ferrara, dipingono una situazione esattamente opposta a quella reale. Ciononostante, nessuno dei mezzi di informazione ha finora ritenuto opportuno rettificare, né il dibattito politico (inerente il presunto e conseguentemente indebolimento del bonus Irpef concesso dal governo Renzi) ne è sembrato tenere in alcun modo conto.
Matteo Renzi

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Un caso del genere è sintomatico di una situazione problematica per molti aspetti. In primo luogo per la professionalità del centro studi che ha commesso quest’errore, e che finora non si è sognato neanche lontanamente di rettificare. Gli errori capitano a tutti (per quanto conti, anche chi scrive ne ha commessi tanti, e in tutte le dimensioni), ma è inaccettabile che non vengano riconosciuti, specialmente se così madornali ed evidenti. In secondo luogo per i mezzi di informazione che ormai ritengono sufficiente citare la fonte, piuttosto che controllarla. Infine - ma è senza dubbio l’aspetto più importante - per la qualità del dibattito pubblico. Una democrazia che discute sulla base di informazioni false e fuorvianti non potrà mai essere in grado né di discutere bene, né tantomeno di decidere bene. E di buona discussione e buona decisione abbiamo invece molto bisogno.
€€€€€€€
[1] Come si ricorderà, nel 2013 l’IMU sull’abitazione principale (e su altre fattispecie minori) non si è pagata, con l’eccezione del 40% della maggiorazione comunale laddove presente (la cosiddetta “mini-IMU”.
[2] Ora confluita nell’Agenzia delle Entrate.

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