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giovedì 1 maggio 2014

L’Altro Primo Maggio

L'intraprendente

È quello che nessuno celebra, quello degli autonomi, delle partite Iva, dei precari, dei piccoli e medi imprenditori. I grandi esclusi dal rito sindacal-cantautoriale di oggi, che sono la parte più dinamica e produttiva del Paese. Noi, oggi, festeggiamo loro
imageOggi il rito della giornata del 1 maggio scorrerà secondo il solito canovaccio. Comizi dei sindacati per ribadire la necessità di concentrarsi sul lavoro per uscire dalla crisi, riferimenti dei politici all’art.1 e alla Repubblica fondata sul lavoro, denunce degli intellettuali contro il capitalismo, la speculazione finanziaria e il neoliberismo ovviamente selvaggio, concertone del Primo Maggio con gli immancabili “cantautori impegnati” e balli sulle note di “canzoni balcanose”. Le richieste saranno presumibilmente quelle di sempre: una rinnovata “politica industriale”, investimenti pubblici per creare occupazione, aumento della tassazione sui “grandi capitali” e sulla “speculazione finanziaria”, maggiori tutele e garanzie per chi ha un posto di lavoro.
Le rivendicazioni dei sindacati fanno riferimento ad un blocco sociale ben identificabile, quello dei pensionati che rimangono sempre l’azionista di maggioranza di Cgil-Cisl-Uil, degli statali e dei dipendenti delle grandi aziende (molte delle quali, le più importanti, in mano pubblica). Sono esclusi da questo blocco le piccole e medie imprese con i loro proprietari e dipendenti, i lavoratori autonomi, i precari, i giovani e le partite Iva, una larghissima parte della società italiana, probabilmente la più dinamica e produttiva, che sopporta ormai a fatica il peso oppressivo di un sistema fiscale e burocratico incivile.
Sarebbe rivoluzionario se dai vari palchi del 1 Maggio gli amanti della Costituzione “più bella del mondo”, oltre a citare l’articolo 1, si ricordassero anche dell’art.4, quello che dice: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. Sarebbe bello se facessero parlare alcune delle persone a cui il diritto al lavoro non solo non è stato riconosciuto, ma è stato addirittura negato. Magari quei tre studenti che su Leoniblog hanno raccontato come la burocrazia abbia impedito di realizzare la loro semplice idea microimprenditoriale, un crimine contro il lavoro che si perpetua quotidianamente e silenziosamente, alla faccia di un altro articolo sempre dimenticato, il 41, quello secondo cui “L’iniziativa economica privata è libera”. Si potrebbe parlare anche dell’art.35: “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni” ed ascoltare qualche imprenditore o lavoratore autonomo costretto a chiudere per l’eccessivo peso delle tasse. O magari invitare e far parlare il maresciallo della Guardia di Finanza che su Libero ha raccontato come la Gdf “incassa tangenti per lo Stato”: “La normativa tributaria italiana è talmente ingarbugliata – racconta il finanziere – che si presta alla nostra logica del risultato a ogni costo. Nel nostro Paese è quasi impossibile essere in regola e per chi lo sembra ci prendiamo più tempo per spulciare ogni carta. Infatti, se una norma può apparire favorevole all’imprenditore, ce n’è sicuramente un’altra interpretabile in maniera opposta”.
Anziché la ripetizione del solito stanco copione fatto di richieste di investimenti pubblici, spesa in deficit, ulteriori tasse e invettive contro “la logica del profitto”, l’austerità e le aperture nei giorni festivi, questo 1 Maggio potrebbe essere l’occasione per riflettere sui problemi e le esigenze di chi lavora e produce ricchezza, per stare dalla parte dei nuovi sfruttati. Perché le cose sono cambiate molto dalla contrapposizione otto-novecentesca tra lavoro e capitale, operai e padroni: “La torta del prodotto nazionale cresce da due secoli come non mai nella storia – scriveva oltre 20 anni fa Sergio Ricossa – ma tra il lavoratore e il capitalista si è incuneato un terzo commensale, il fisco, che è il più vorace di tutti. Un Marx redivivo probabilmente si accorgerebbe subito che la possibilità del capitalista di sfruttare il lavoratore è poco o nulla rispetto alla capacità del fisco di sfruttare l’uno e l’altro”

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