Cosa prevede il temuto meccanismo che potrebbe essere avviato oggi, e cosa rischia il governo italiano
Negli
ultimi giorni si è tornati a parlare del presunto “scontro” che
il governo italiano sta portando avanti con la Commissione Europea
sulla legge di bilancio presentata alla fine di settembre. Qualche
settimana fa la Commissione Europea l’aveva
respinta, invitando a cambiarla piuttosto
radicalmente: il governo ha proposto alcune modifiche, ritenute però
ampiamente insoddisfacenti dagli osservatori. Secondo diverse fonti,
la Commissione dovrebbe prendere una decisione definitiva oggi,
mercoledì 21 novembre: fra le cose che potrebbe fare, la più temuta
è la raccomandazione di aprire una cosiddetta “procedura di
infrazione” nei confronti dell’Italia.
La
procedura di infrazione è in realtà uno strumento usato spesso
dalla Commissione: nella loro storia ne sono stati soggetti quasi
tutti i paesi membri tranne Svezia ed Estonia.
Soprattutto negli anni della crisi economica, è stato uno strumento
utilizzato dalle istituzioni europee per assicurarsi che i governi
europei non si indebitassero troppo per cercare di favorire la
ripresa. Al momento l’unico paese ancora sottoposto a una procedura
d’infrazione è la Spagna, che però dovrebbe uscirne quest’anno.
Va
detto che la Commissione non è mai arrivata fino in fondo – non ha
mai imposto sanzioni e ha sempre trovato un compromesso, anche dopo
settimane o mesi di trattative – e che le sue decisioni sulla legge
di bilancio italiana si basano sui parametri decisi in modo comune
dai paesi dell’Unione: che decida o no per raccomandare l’apertura
di una procedura d’infrazione, le conseguenze sull’economia
italiana dell’approvazione della legge di bilancio del governo
Conte – a prescindere dalle proprie opinioni – sarebbero
pressoché identiche. Il problema, e la ragione di quel pressoché,
è che il caso italiano arriva in un momento in cui l’economia
europea sta meglio di qualche anno fa, e il fatto che la Commissione
respinga proprio la manovra italiana, fra tutte quelle presentate dai
vari altri stati, potrebbe causare una serie di effetti collaterali
negativi per l’economia italiana.
Un
po’ di contesto
La disciplina europea sui bilanci dei singoli stati è una conseguenza dell’unione economica e monetaria dell’Unione. In una situazione in cui così tanti paesi sono profondamente legati, come nell’Unione Europea e nella zona euro, è necessario che ci sia una serie di regole comuni per evitare che alcuni paesi si trovino in situazioni economicamente insostenibili e quindi dannose per tutti gli altri.
La disciplina europea sui bilanci dei singoli stati è una conseguenza dell’unione economica e monetaria dell’Unione. In una situazione in cui così tanti paesi sono profondamente legati, come nell’Unione Europea e nella zona euro, è necessario che ci sia una serie di regole comuni per evitare che alcuni paesi si trovino in situazioni economicamente insostenibili e quindi dannose per tutti gli altri.
È
in quest’ottica che nei Trattati di Maastricht, ratificati nel
1992, sono state inserite norme che prevedono come e con quali
parametri l’Unione debba monitorare i bilanci nazionali, in
sostanza per evitare che accumulino troppo debito o spendano più di
quanto riescono a incassare. Le misure di Maastricht sono state
tradotte nel cosiddetto Patto di stabilità e crescita, nato nel
1997, e più volte aggiornato e arricchito nel corso degli anni:
fanno parte del Patto di stabilità, per esempio, le leggi che
chiamiamo Fiscal
compact –
una serie di obiettivi di lungo termine che ciascuno stato si impegna
a rispettare – e i parametri per la cosiddetta flessibilità,
cioè quelli che danno agli stati un certo margine per rientrare nei
parametri europei. Il compito di vigilare sulle regole di
bilancio spetta prevalentemente alla Commissione Europea, l’organo
esecutivo dell’UE.
Specialmente
dagli anni della crisi economica, in vista dell’approvazione del
bilancio dell’anno successivo – quindi più o meno nell’autunno
dell’anno precedente – ciascuno stato avvia
dei negoziati con
la Commissione Europea per trattare una deroga di qualche punto
decimale su alcuni parametri. Da statuto, la Commissione non può
giudicare come uno stato sceglie di spendere i propri soldi, ma si
limita a controllare che le spese previste non mettano in pericolo la
stabilità economica nazionale: per questa ragione acconsente spesso
alle richieste degli stati di sforare i parametri, limitandosi a
chiedere di rientrare nel percorso stabilito il prima possibile.
Può
capitare che alcuni stati si trovino in situazioni economiche
particolarmente pericolose, o che scelgano volontariamente di sforare
i parametri consentiti. Per risolvere questi problemi, il Patto di
stabilità e crescita prevede due strade: il cosiddetto “braccio
preventivo”, che di norma prevede solamente un controllo più
severo da parte della Commissione, e l’apertura di una procedura di
infrazione vera e propria, prevista invece dal cosiddetto “braccio
correttivo”.
Il
braccio preventivo
È una specie di monitoraggio più attento che la Commissione si impegna a garantire agli stati più in difficoltà. Ogni stato membro si accorda con la Commissione Europea per determinare qual è il suo bilancio equilibrato, tenendo conto delle sue specifiche caratteristiche. Il documento che stabilisce i livelli da raggiungere si chiama Obiettivo di medio termine (OMT) ed è calcolato in termini strutturali, cioè tenendo conto dei cicli economici. Gli stati che non hanno ancora raggiunto il loro OMT finiscono sotto l’osservazione del braccio preventivo del Patto di stabilità: è il caso dell’Italia, che ha un OMT pari a zero – significa che a lungo termine le sue entrate e uscite strutturali dovranno bilanciarsi perfettamente – che però è ancora lontana dal realizzare.
È una specie di monitoraggio più attento che la Commissione si impegna a garantire agli stati più in difficoltà. Ogni stato membro si accorda con la Commissione Europea per determinare qual è il suo bilancio equilibrato, tenendo conto delle sue specifiche caratteristiche. Il documento che stabilisce i livelli da raggiungere si chiama Obiettivo di medio termine (OMT) ed è calcolato in termini strutturali, cioè tenendo conto dei cicli economici. Gli stati che non hanno ancora raggiunto il loro OMT finiscono sotto l’osservazione del braccio preventivo del Patto di stabilità: è il caso dell’Italia, che ha un OMT pari a zero – significa che a lungo termine le sue entrate e uscite strutturali dovranno bilanciarsi perfettamente – che però è ancora lontana dal realizzare.
Quando
uno Stato si trova all’interno del braccio preventivo, la
Commissione tiene d’occhio soprattutto due parametri: la variazione
annuale del saldo strutturale, cioè la percentuale con cui i conti
si avvicinano all’OMT, e i cosiddetti parametri
di spesa pubblica,
che tengono conto di diversi fattori e regolano la spesa netta che
uno stato può sostenere ogni anno in relazione alla propria
situazione economica. Per il 2019, per esempio, la Commissione
Europea ha raccomandato all’Italia (PDF,
pagina 18)
una variazione annuale del saldo strutturale positiva dello 0,6 per
cento e ha fissato parametri certi per la spesa netta.
Se
uno stato viola anche solo uno di questi due parametri, la
Commissione Europea può avviare una procedura
per deviazione significativa,
una specie di gradino precedente alla procedura di infrazione vera e
propria. Una volta che la Commissione registra la violazione, manda
un avvertimento allo stato membro, che ha un mese di tempo per
rimediare. Se non lo fa, subentra il Consiglio dell’Unione Europea,
l’organo che raduna un membro del governo di ogni stato, che manda
un avvertimento finale. Se il governo dello stato membro si rifiuta
di cooperare, l’Unione “trattiene” una cifra pari allo 0,2 per
cento del PIL come pegno finché lo stato non decide di mettersi in
regola.
La
sanzione è automatica, ma ci sono diverse scappatoie a cui uno stato
può ricorrere: per esempio il Consiglio può decidere a maggioranza
qualificata – che cioè tiene conto della popolazione di ciascuno
stato – di non far scattare la trattenuta dello 0,2 per cento del
PIL; o ancora, lo stato può appellarsi al codice di condotta del
Patto di stabilità e crescita, che prevede che la procedura per
deviazione significativa debba basarsi sui dati reali, e non sulle
proiezioni (cosa che rinvierebbe di un anno l’iter della
procedura).
E
il braccio correttivo?
Per gli stati che violano i parametri economici più importanti, invece, la Commissione può aprire una procedura per deficit eccessivo, il meccanismo a cui ricorre quando i negoziati non sono andati a buon fine e la situazione non può essere risolta nell’ambito del braccio preventivo.
Per gli stati che violano i parametri economici più importanti, invece, la Commissione può aprire una procedura per deficit eccessivo, il meccanismo a cui ricorre quando i negoziati non sono andati a buon fine e la situazione non può essere risolta nell’ambito del braccio preventivo.
I
parametri che vanno tenuti d’occhio sono due, e fanno entrambi
parte dei Trattati di Maastricht: uno stato membro dell’Unione non
dovrebbe avere un deficit annuale superiore al 3 per cento del PIL e
un debito pubblico superiore al 60 per cento del PIL. Nel caso il
rapporto debito/PIL superi il 60 per cento, la Commissione
chiede che diminuisca a un tasso prestabilito. Il tasso varia per
ogni paese e viene calcolato prendendo la differenza fra il rapporto
debito PIL di ciascun paese e quello ideale del 60 per cento, e
calcolando un ventesimo di quel tasso: in pratica, òa diminuzione
richiesta a ogni paese è quella che consente di arrivare a un
rapporto del 60 per cento in 20 anni.
Quando
la Commissione sospetta che uno stato membro possa violare anche uno
solo di questi due parametri, chiede una modifica sostanziale del
bilancio e dà allo stato tre settimane di tempo per rimediare. Una
volta ricevute le modifiche, pubblica un report con cui raccomanda se
aprire o meno una procedura di infrazione. Sulla base delle
raccomandazioni della Commissione, spetta al Consiglio – che è un
organo legislativo, ma è anche influenzato per forze di cose dalla
politica – valutarle e decidere se aprire ufficialmente la
procedura di infrazione, in tempi più o meno rapidi.
Se
la procedura viene ufficialmente aperta, vengono seguiti alcuni
passaggi previsti dall’articolo
126 dal
Trattato sul funzionamento dell’UE (riassunti in
questo comodo grafico della Commissione). Lo stato membro ha tempo
dai tre ai sei mesi per raggiungere degli obiettivi fissati dal
Consiglio. Scaduto il termine, la Commissione Europea valuta se lo
stato abbia preso o no una serie di «misure efficaci» per
raggiungere l’obiettivo e informa il Consiglio delle sue
valutazioni. Se il giudizio della Commissione è positivo, il
Consiglio ne prende atto. A quel punto la Commissione può chiedere
di chiudere la procedura. La decisione finale viene presa dal
Consiglio, a cui di fatto viene quindi lasciata la discrezione se
intervenire o meno.
Se
al termine del periodo stabilito il giudizio della Commissione è
negativo, il Consiglio può decidere se imporre delle sanzioni (il
giudizio della Commissione non è vincolante, ma politicamente molto
pesante). Le leggi europee prevedono tre tipi di sanzioni: la
trattenuta di una percentuale del PIL, più o meno come avviene per
la procedura per deviazione significativa prevista dal braccio
preventivo; una multa con una base fissa dello 0,2 per cento di PIL,
che può arrivare a un massimo dello 0,5 per cento (per rimanere
all’Italia: parliamo di circa 9 miliardi di euro); e la
sospensione, parziale o totale, dei fondi strutturali europei
destinati al paese sotto esame.
Insieme
alle sanzioni, il Consiglio prevede nuovi obiettivi e parametri, che
devono essere raggiunti entro sei mesi. A quel punto subentra di
nuovo la Commissione Europea: se il giudizio diventa positivo, si
avviano le pratiche per chiudere la procedura. Altrimenti, le
sanzioni vengono rinnovate.
A
che punto è l’Italia?
Da diverso tempo l’Italia è sottoposta al braccio preventivo del Patto di stabilità e crescita a causa del suo enorme debito pubblico: al momento ammonta a circa il 131 per cento del PIL, cioè a una cifra intorno ai 2.300 miliardi di euro.
Da diverso tempo l’Italia è sottoposta al braccio preventivo del Patto di stabilità e crescita a causa del suo enorme debito pubblico: al momento ammonta a circa il 131 per cento del PIL, cioè a una cifra intorno ai 2.300 miliardi di euro.
La
nuova legge di bilancio presentata a
settembre dal
governo Conte prevede nonostante questo un discreto aumento della
spesa pubblica, di cui Lega e Movimento 5 Stelle, i due partiti della
maggioranza, intendono servirsi per realizzare le loro promesse
elettorali: su tutte la riforma delle pensioni, il sussidio di
disoccupazione chiamato impropriamente “reddito di cittadinanza”
e il taglio delle tasse chiamato impropriamente “flat tax”. La
legge di bilancio italiana era stata respinta dalla Commissione
Europea pochi giorni dopo la sua presentazione: il governo ne
ha mandato una
seconda versione, che a detta degli osservatori non sposta di molto
le previsioni di spesa. Al momento l’Italia è in attesa del parere
definitivo della Commissione Europea, che secondo diverse
fonti arriverà
mercoledì 21 novembre.
Secondo un’analisi
del centro studi Bruegel,
uno dei più rispettati che si occupano di cose europee, in questo
momento l’Italia rischia sia una procedura
per deviazione significativa –
cioè quella prevista dal braccio preventivo del Patto di stabilità
e crescita – sia una procedura
per deficit eccessivo,
prevista dal braccio correttivo e considerata più grave.
Iniziamo
dalla prima. Come abbiamo scritto sopra, per il 2019 la
Commissione Europea ha raccomandato all’Italia (PDF,
pagina 18)
una variazione annuale del saldo strutturale positiva dello 0,6 per
cento, e fissato parametri certi per la spesa netta. Nel 2017 la
variazione del saldo era stata negativa dello 0,2 per cento e nel
2018 dovrebbe diventare positiva per lo 0,2 per cento. Il problema è
che nella
nota di aggiornamento al DEF pubblicata
a settembre, il governo prevede di peggiorare di parecchio la
variazione, portandola a -0,8 (ai livelli quindi del primo periodo
della ripresa, quando l’Italia aveva effettivamente avuto bisogno
di una maggiore spesa pubblica per uscire dalla crisi). Secondo
Bruegel, inoltre, l’Italia non rispetterà nemmeno i parametri di
spesa pubblica fissati dalla Commissione per il 2019.
Come
si vede nella parte evidenziata, negli anni scorsi la Commissione
aveva stabilito degli obiettivi che il precedente governo non aveva
raggiunto per pochi decimali (o,1 nel 2016, 0,3 nel 2017): per il
2019, la differenza fra la raccomandazione della Commissione e la
previsione di spesa del governo è di 1,4 punti
La
Commissione, però, potrebbe anche decidere di saltare il passaggio
della procedura per deviazione significativa e aprire direttamente la
procedura di infrazione vera e propria, quella per deficit eccessivo:
lo sostengono per esempio tre funzionari europei che si stanno
occupando della manovra italiana, e il cui parere è
riportato da Reuters.
Il
problema della manovra non è lo sforamento del 3 per cento del
rapporto deficit-PIL (anche se la Commissione prevede già
che nel 2020 verrà superato), quanto la prospettiva che così
facendo non diminuisca a sufficienza il debito pubblico.
Come
abbiamo visto prima, per i paesi che hanno un rapporto debito/PIL
superiore al 60 per cento, come l’Italia, la Commissione usa una
formula matematica piuttosto semplice per stabilire a che tasso deve
scendere questo rapporto: si prende la differenza fra il rapporto
debito PIL e quello ideale del 60 per cento – per l’Italia: 131
per cento meno 60 per cento, quindi 71 per cento – e si
calcola un ventesimo di quel tasso. Il risultato è un tasso del 3,55
per cento: significa che nell’arco dei prossimi tre anni il
rapporto del debito pubblico italiano dovrebbe scendere più o meno
dal 131 al 120 venti per cento, cioè di circa undici punti
percentuali (3,55 per tre fa 10,65).
Nella
risposta del governo italiano mandata alla Commissione all’inizio
di novembre, il ministro dell’Economia Giovanni Tria prevede che
nel 2021 il rapporto debito/PIL sarà al 126 per cento: una stima
ancora molto distante dai parametri previsti dalla Commissione.
C’è
da aggiungere un ultimo elemento: in molti sospettano che la
Commissione si sarebbe comportata in maniera più morbida con
l’Italia se il governo avesse presentato la stessa manovra ma con
una serie di misure esplicitamente rivolte alla crescita economica:
cosa che invece non si può dire della riforma delle pensioni e del
“reddito di cittadinanza”, per esempio. Lo si legge fra le righe
anche in un
passaggio delle
motivazioni con cui la Commissione aveva respinto la prima versione
della manovra.
E
quindi?
Mentre l’apertura di una procedura sembra ormai piuttosto scontata – bisognerà capire di che tipo sarà – i passaggi per arrivare alle sanzioni vere e proprie sono moltissimi, alcuni dei quali di natura parzialmente politica: è per questa ragione che finora, di nuovo, nessun paese europeo è mai stato sottoposto a sanzioni al termine di una procedura di infrazione. Anche due fonti anonime vicine al governo italiano, contattate da Politico, ritengono che «le sanzioni possono essere evitate».
Mentre l’apertura di una procedura sembra ormai piuttosto scontata – bisognerà capire di che tipo sarà – i passaggi per arrivare alle sanzioni vere e proprie sono moltissimi, alcuni dei quali di natura parzialmente politica: è per questa ragione che finora, di nuovo, nessun paese europeo è mai stato sottoposto a sanzioni al termine di una procedura di infrazione. Anche due fonti anonime vicine al governo italiano, contattate da Politico, ritengono che «le sanzioni possono essere evitate».
Altri
ancora sostengono che evitare le sanzioni farà comodo anche alla
Commissione Europea, visto che potrebbe togliere qualche argomento ai
partiti populisti ed euroscettici in Italia e altrove, e che il
governo e i funzionari europei riusciranno a incontrarsi a metà
strada: se non nelle prossime settimane, nel primo periodo del 2019.
Nella sua analisi, però, il centro studi Brueagel fa notare che la
Commissione potrebbe arrivare fino in fondo con l’Italia per
mostrarsi intransigente agli occhi dei paesi del Nord Europa, che
tradizionalmente sono i più disciplinati dal punto di vista fiscale.
Il
punto che sfugge a molti è che l’Italia non uscirà danneggiata
soltanto nel caso in cui si arrivi alle sanzioni (comunque
teoricamente possibile, una volta che la procedura viene aperta): il
governo rischia soprattutto una conseguenza ben più grave e
immediata, cioè l’aumento ulteriore della già alta sfiducia da
parte dei soggetti a cui il governo progetta di chiedere molti soldi
in prestito – risparmiatori, investitori, fondi pensione, i
cosiddetti “mercati” – per realizzare le sue promesse, e ai
quali dovrà offrire interessi sempre più alti.
Si
è visto già nelle scorse settimane: a inizio ottobre, pochi giorni
dopo aver presentato la sua manovra economica, il governo ha dovuto
alzare gli interessi che garantisce sui titoli di stato a brevissimo
termine dallo 0,436 per cento di settembre allo 0,949 per cento. In
concreto, sintetizza Repubblica,
per prendere in prestito sei miliardi di euro ha dovuto garantire 57
milioni di interessi, 31 milioni in più di quanti ne avrebbe spesi a
settembre.
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