Carrara, 29 maggio 2014 - Pagavano la tassa marmi in media 50 euro a tonnellata invece di 350 e cosìmancano decine di milioni, negli ultimi 5 anni nelle casse comunali e la procura sostiene che la responsabilità sia del sindaco, della giunta, di due dirigenti e dei quattro rappresentanti delle associazioni degli imprenditori delle cave che firmarono l’accordo sulle tariffe il 29 luglio 2009.
Quindici le persone indagate per abuso d’ufficio e che sono state raggiunte da un avviso di conclusione delle indagini. E che rischiano di pagare un conto salato perchè è stata trasmessa una infornativa alla corte dei conti di Firenze. Gli indagati potrebbero pagare loro quanto non versato dagli industriali. L’accordo sottoscritto con le categorie, secondo il procuratore capo Aldo Giubilaro, che sulla clamorosa indagini ha diffuso un comunicato stampa, avrebbe procurato un ingiusto vantaggio agli imprenditori e il correlativo ingiusto danno subito dal Comune di Carrara.
Nel mirino della procura il sindaco Angelo Zubbani, il vice sindaco Andrea Vannucci, gli attuali assessori Giuseppina Andreazzoli, Dante Benedini, Massimiliano Bernardi, Giovanna Bernardini, tre ex assessori Andrea Zanetti, Giovanni Nannini e Roberto Dell’Amico, due dirigenti comunali, Marco Tonelli con delega al marmo e Stefano Pennacchi del settore finanze e i rappresentanti delle associazioni degli imprenditori Chiara Grassi (Legacoop), Massimo Maggiani (Api, piccole imprese), Gianfranco Oligeri (Confartigianato) e Antonio Chiappini (Cna).
La procura avrebbe messo sotto la lente di ingrandimento l’accordo del 2009 che non era stato firmato dall’associazione degli industriali che non è perciò sfiorata dall’indagine. Si parla di violazione della legge regionale del 1998 che regolamenta il settore di cave, torbiere, miniere e il recupero di aree escavate e riutilizzo di residui. Per l’estrazione dei materiali per uso industriale, per costruzioni e per opere civili (i detriti del marmo in pratica) il titolare dell’autorizzazione deve versare al Comune un contributo rapportato alla quantità e qualità dei materiali estratti in applicazione degli importi unitari stabiliti dalla giunta regionale nel limite massimo del 10% del valore medio di mercato della relativa categoria di materiali.
Stesso discorso per i blocchi che devono versare al Comune un importo nel limite massimo del 5% del valore di vendita del materiale. Secondo la procura il Comune non avrebbe fissato i giusti parametri per applicare la tariffa che sarebbe stata, in media, inferiore di un settimo rispetto al dovuto. L’indagine è coordinata in prima persona dal procuratore capo Aldo Giubilaro, il primo magistrato a prendere di petto una annosa questione, ancora irrisolta da parte del Comune e che ha favorito una colossale evasione a causa di un sistema impositivo che fa acqua da tutte le parti.
La magistratura ha analizzato i fatturati delle varie aziende del marmo e ha ricavato il valore effettivo di mercato dei blocchi estratti e che è ben superiore a quello sancito dall’accordo tra il Comune e le associazioni degli imprenditori. Un comportamento da parte dei politici che avrebbe causato un consistente danno alle casse di palazzo civico a vantaggio degli imprenditori delle cave. Trapela una prima difesa da parte di alcuni indagati: l’accordo sul marmo, si sostiene, comprendeva anche la rinuncia delle aziende ai ricorsi sulla vecchia tassa marmi abolita dalla Corte Europea nel 2004 con in ballo quasi una ventina di milioni e introiti anche da parte dei beni estimati. Senza quell’accordo, così filtra da palazzo civico, il Comune avrebbe rischiato il default andando incontro a sentenze di condanna inevitabili sui rimborsi.
Guido Baccicalupi
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