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venerdì 13 aprile 2018

LA VERSIONE DI MUGHINI - “25 ANNI FA LA SQUALLIDA AGGRESSIONE A CRAXI DAVANTI ALL’HOTEL RAPHAËL. RESTO DI STUCCO QUANDO LEGGO NELL’ARTICOLO DI MASSIMO GIANNINI SUL "VENERDÌ DI 'REPUBBLICA' CHE LUI ERA UNO DEI “TANTI” LANCIATORI DI MONETINE - UNA VENDETTA DI UNO DEI MAGGIORI “POTERI FORTI” ITALIANI, IL GRUPPO DE BENEDETTI, AI DANNI DI UN LEADER CHE NON SI ERA PIEGATO ALL’ONNIPOTENZA DELL’ITALOCOMUNISMO"

Giampiero Mughini per Dagospia

GIAMPIERO MUGHINI
GIAMPIERO MUGHINI



Caro Dago, stamane sono andato di  corsa a leggere il bel servizio d’apertura che il settimanale “il Venerdì di Repubblica” ha dedicato – con articoli di Massimo Giannini e Filippo Ceccarelli - al venticinquesimo anniversario di un episodio che è rimasto cruciale nella memoria di noi “figli” della Prima Repubblica: ossia la squallida aggressione a forza di insulti e di lanci di monetine contro un Bettino Craxi che stava uscendo dall’Hotel Raphaël per andare a registrare una trasmissione televisiva di Giuliano Ferrara.


Per quelli che non erano ancora nati ricordo come andarono effettivamente le cose. 
Nell’adiacente piazza Navona era appena finito un comizio di cui erano stati protagonisti il leader ex-comunista Achille Occhetto e un Francesco Rutelli in quel momento interamente votato alla causa anticraxiana. (Francesco è mio amico. In quell’occasione sbagliò, e capisco la furia nei suoi confronti di Stefania Craxi.)

Nel rifluire da quel comizio, molti dei partecipanti si radunarono di fronte all’albergo dove Bettino Craxi alloggiava cinque giorni alla settimana. Quale mirabile occasione per dire il fatto suo al “cinghialone” socialista, a colui che appariva come il concentrato semidiabolico di tutti i mali della partitocrazia, ossia dell’usanza da cui era alimentato il pluripartitismo della Prima Repubblica - il periodo di gran lunga migliore della nostra storia repubblicana -, il fatto che tutti i partiti pagassero gli affitti delle loro federazioni, le spese dei loro giornali, gli stipendi dei loro funzionari, i costi dei loro congressi e delle riunioni dei loro comitati centrali mediante un “equo” prelievo sulla vita economica del Paese.

Senza quel prelievo avrebbe stentato non poco il miglior partito della nostro storia democratica, la Democrazia cristiana. Senza il prelievo che gli veniva dall’ottenere il ministero della Sanità, il Partito liberale non sarebbe durato un solo giorno. Senza quel prelievo il Psi non avrebbe potuto mettere in piedi una macchina partitica tale da fronteggiare lo strapotere organizzativo di un Pci alimentato dai dollari di Mosca, dalla complicità delle Cooperative e dalla morale bolscevica dei suoi deputati e senatori, i quali - a differenza del leader di Liberi e Eguali Pietro Grasso- la pagavano eccome la quota del loro stipendio da destinare al Partito con la P maiuscola.

Tale era questa usanza che un paio d’anni prima dello scoppio di Tangentopoli, il Parlamento all’unanimità di tutti i partiti e di tutti i parlamentari aveva deciso di amnistiare il reato di “appropriazione illecita” da parte dei partiti. Fino al 1989 quel reato era stato cancellato, come non fosse mai esistito.

Altro che il “cinghialone” contro il quale si avventarono in uno spiazzo romano gente che gli lanciava e gli gridava di tutto, gente che gli voleva far pagare il fatto che lui avesse interamente ragione nella contesa con il Pci berlingueriano: aveva avuto ragione quando aveva appoggiato gli americani che puntavano missili contro i missili dispiegati dai russi, quando aveva affrontato a testa alta il Pci e i sindacati nel togliere quattro miserabili punti di contingenza a un meccanismo di rivalutazione degli stipendi che solo creava inflazione e umiliava il merito, quando aveva detto che il nostro Paese abbisognava di una Grande Riforma istituzionale che rendesse più veloce e immediata la Decisione Politica, quando aveva affidato al mio indimenticabile amico Carlo Ripa di Meana la memorabile Biennale del Dissenso del 1977, quella che i comunisti italiani ancora notevolmente filosovietici vedevano peggio che se si fosse trattato di un’epidemia di lebbra.

Ecco qual era la posta in gioco e simbolica e culturale e psicologica degli immondi schiamazzi innanzi al Raphaël. Una vendetta politico/sentimentale, una resa dei conti ai danni di un leader che non si era piegato all’onnipotenza dell’italocomunismo.

Che tra i lanciatori di monetine ci fosse poi qualche persona per bene e qualche studente fuori corso che chiudeva a fatica i suoi fine mese a Roma, questo è sicuro. Ma non erano loro i direttori d’orchestra di quell’episodio. Il grande direttore d’orchestra era il Risentimento Politico.

Ecco perché resto di stucco quando leggo nell’articolo di Massimo Giannini che lui era uno dei “tanti” che sarebbero andati volentieri a lanciare monetine pur di rompere la “cappa asfissiante” dell’alleanza Craxi-Andreotti-Forlani. Conosco Giannini come un intelligente giornalista molto addentro alle cose e agli uomini della politica e dell’economia italiane, come uno dei valorosi alfieri di uno dei maggiori “Poteri Forti” italiani, il gruppo editoriale Espresso-Repubblica con tutti i suoi formidabili addentellati e diramazioni nelle televisioni e nei salotti che contano. Non ce lo vedo proprio nel ruolo del “descamisado” che lancia monetine e insulti i più rauchi a Bettino Craxi. Non ce lo vedo proprio in una postura così sgraziata e inelegante e talmente vile.











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