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mercoledì 30 agosto 2017

La grandiosità e il limite di Beccaria: l’illuminismo

29 Aug 2017 12:15 CEST

Il commento ai capitoli 42, 43, 44, 45, 46 e 47

Siamo così giunti, dopo questa veloce cavalcata, alla conclusione della fatica di Beccaria e questi ne profitta per ribadire alcuni concetti già espressi, ma che egli ritiene particolarmente rilevanti e significativi del suo pensiero.  Insiste così sulla necessità della diffusione del sapere e, sulle tracce di Rousseau, della educazione dei cittadini, certo che quando entrambi saranno consolidati, i delitti saranno quasi depennati dai comportamenti sociali. Ora, che il sapere e la educazione civica debbano essere diffusi e a tutti garantiti è cosa di cui nessuno dubita, ma, come già in precedenza accennato, possiamo esser certi che ciò non basterà affatto a debellare la commissione di delitti.
Ribadisco qui che dunque Beccaria, oltre i suoi enormi meriti, incappa nel limite proprio della formazione illuministica del suo tempo, consistente in una sorta di endemico socratismo giuridicosociale, tanto più fragile quanto più autentico. Come è noto, per Socrate, la conoscenza della virtù è la strada maestra per seguirla, tutto risolvendosi appunto nella necessità di vincere l’ignoranza che affligge l’animo umano.  Non è così, come l’esperienza insegna.  In moltissimi casi, non basta conoscere la virtù – morale o sociale – per seguirne le tracce senza esitazioni.
Occorre invece, dopo averla conosciuta, volerla seguire in modo deliberato e consapevole. Il razionalismo socratico – che poi è quello medesimo di Beccaria – incorre infatti proprio in questo limite insuperabile: mettere in primo piano la ragione, ma senza far i conti, come invece sembra necessario, con la volontà degli uomini.
Se fosse come sostiene Beccaria, basterebbe un’opera massiccia di scolarizzazione sociale per debellare i delitti. Ebbene, in Italia, nel dopoguerra, la percentuale di analfabeti, si è pressochè azzerata, ma non sembra che i delitti siano diminuiti in modo considerevole; anzi, negli ultimi decenni, essi sono lievitati di numero e di gravità in modo esponenziale.  In altri termini, non basta conoscere la virtù per fare il bene ed evitare il male: bisogna esercitarsi con la volontà, usando rettamente di questa nei casi specifici e concreti.
Va da se che in un modello sociale come quello auspicato da Beccaria – dove al massimo sapere corrisponde la quasi scomparsa dei delitti – il potere che normalmente viene riconosciuto quale prerogativa della sovranità, quello di concedere la grazia, va debitamente escluso.  Infatti, egli definisce “felice” la nazione ove la clemenza e il perdono del sovrano divenissero non solo meno necessari, ma addirittura funesti.  Ora, in un modello ideale ciò può anche essere, a patto però che si abbia consapevolezza che appunto si tratti di un modello ideale e non reale.  Molto meno convincente è tale conclusione, se ci si pone davanti alla cruda realtà dei rapporti sociali e dei comportamenti umani.
Allora, si vedrà che del potere di concedere la grazia da parte del sovrano nessun ordinamento reale potrà mai fare a meno, per il semplice motivo che mai è possibile rinunciare alla correzione del diritto e della sentenza, mai alla possibilità di rovesciare un verdetto, mai a quella di rimediare ad un errore, mai insomma a quello che Radbruch definiva come “un raggio di luce che penetra nel freddo ed oscuro mondo del diritto”.
Preziosa è infine la sintesi finale con cui, prendendo congedo dai lettori, Beccaria ripropone le caratteristiche che la pena deve possedere per non essere tirannica. La pena deve dunque essere pubblica, perché tutti le possano conoscere e valutare; pronta, perchè l’eccessivo trascorrere del tempo dopo la commissione del delitto non ne vanifichi il significato e la portata; necessaria, perché essa non sembri frutto di arbitrio e di dispotismo; minima, perché tutti vedano che di essa non si abusa, ma si usa con la necessaria moderazione; proporzionata, perché, se non lo fosse, la pena medesima commetterebbe grave ingiustizia; dettata dalle leggi, perché non sembri stabilita dai singoli magistrati o dal potere sovrano, ma prevista per tutti in modo imparziale e indifferente.  Tutte dimensioni della pena che per noi oggi suonano come normali ed ovvie, al punto che se ne mancasse soltanto una, grideremmo al misfatto e alla tirannia del potere.  Non così, al tempo di Beccaria; e di questo, nell’accostarsi a queste pagine, dobbiamo sempre mantenere adeguata consapevolezza.
Per questa ragione, tutti i popoli europei conserviamo verso queste pagine un enorme debito di riconoscenza, nel duplice senso del ringraziamento e della continua meditazione.  Se Beccaria non avesse illuminato la storia con queste sue coraggiose riflessioni, probabilmente oggi non potremmo esercitare la nostra libertà di cittadini come siamo soliti fare.  Tuttavia, molto del suo insegnamento va sempre riproposto, in quanto ancora non sufficientemente assimilato dal nostro sistema giuridico, come abbiamo cercato di mostrare nel corso di questo commento.  Molto, ancora e nonostante tutto, va ancora imparato e messo in pratica.  Dopo quasi tre secoli, non credo che Beccaria ne sarebbe contento.

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