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giovedì 31 dicembre 2015

Olio d’oliva extravergine o contraffatto: il confronto tra costi al pubblico e profitti per il produttore (onesto o truffatore)


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A fare la differenza le spese per manodopera e, soprattutto, materia prima: chi produce 100% made in Italy ha margini di guadagno bassissimi. Chi truffa, invece, incassa sei, sette volte di più. Ecco come riconoscere in casa quale prodotto è stato acquistato

di Francesco De Palo | 31 dicembre 2015

Un litro di olio extravergine? Deve costare al pubblico almeno 9 o 10 euro, se certificato territorialmente e con la tracciabilità. Nonostante ciò i margini di guadagno sono minimi e spesso ci si copre solo le spese. Mentre invece chi “lavora” con costi e profitti della contraffazione, immettendo nel proprio prodotto solo un decimo di extravergine, riesce a incassare almeno sei/sette volte di più, allungando il tutto anche con coloranti e miscugli di vario genere. Viaggio de ilfattoquotidiano.it nel mondo dei produttori di olio, dove le regole non valgono sempre per tutti e dove il malaffare di pochi rischia di mettere a repentaglio il buon nome e la qualità complessiva del made in Italy. Dati alla mano, quanto costa produrre olio italiano e con olive solo italiane (e non marocchine o spagnole)? Lo dice Vito Rosato, Presidente del Frantoio Sociale Cooperativo di Locorotondo, in provincia di Bari. L’olio della Valle d’Itria, rigorosamente con olive raccolte nelle campagne di Alberobello, Martina Franca e appunto Locorotondo “è di tipo collinare, con un’altezza di 400 metri dal mare e soprattutto non è tagliato con altre olive”.

PRODOTTO MADE IN ITALY AL 100%: COSTI ALTI, PROFITTI BASSI
Punto di partenza la raccolta e la molitura, che da sole costano già al produttore 12/13 euro a quintale, con una resa media del 14% a cui va aggiunto il costo medio delle olive che nel 2015 è stato di 40/45 euro a quintale: si arriva a 55 euro, ma con una resa di 4. “A ciò devo sommare i costi del frantoio, come l’attività di imbottigliamento che nel settore alimentare si attesta almeno al 20%. Per cui si arriva a non meno di dieci euro al chilo per un prodotto extravergine, certificato sulla tracciabilità territoriale”. Rosato per scelta aziendale non ha puntato sul biologico “proprio perché non siamo produttori di grandissimi numeri, ma garantiamo la qualità”. E racconta che fu contattato da un intermediario del nord a cui aveva fatto assaggiare il suo prodotto: “Ne fu molto entusiasta e mi disse che se avessi avuto la certificazione del biologico ne avrebbe acquistato buone quantità per rivenderle almeno a 20 euro. Replicai che se il mio extravergine, tracciabile e certificato, già così gli piaceva, a cosa gli serviva anche il bollino relativo al biologico? Credo sia un altro controsenso come tantissimi ve ne sono in questo ambito”. E’la ragione per cui Rosato ha scelto di puntare sulla certificazione geografica, l’unico sistema per evitare di “sporcare” le olive italiane con materia prima proveniente da altri paesi Ue o addirittura da extra Ue, “come in Spagna dove usano manodopera marocchina”. “In questo modo il mio olio, che può piacere o meno, ha la garanzia che è raccolto, prodotto e confezionato in questi tre Comuni della Valle d’Itria: è un olio collinare con una sua specificità, e su questo noi puntiamo”. Un passaggio che è utile secondo Rosato per lanciare un altro messaggio al consumatore. E’vero che “quando vado in un supermercato trovo tutto in un unico punto, ma se voglio la qualità devo spostarmi e cercarla”. Rosato dice che non può portare il suo olio tra gli scaffali della grande distribuzione, “perché lì ci sono bottiglie da 4 euro al chilo e mi diranno che sono fuori mercato”. Fatture alla mano, dice che una semplice bottiglia, con etichetta e tappo antifrode gli costa oltre un euro. “Quindi in quella bottiglia che vendo a 9/10 euro già ho un decimo di spese che riguardano il materiale di confezionamento a cui va sommato il prodotto in sé”.

MATERIA PRIMA E MANODOPERA A BASSO COSTO: L’ALTO PROFITTO DI CHI TRUFFA
Chi invece sceglie la strada della truffa usa solo un decimo di olio extravergine, racconta un altro produttore pugliese che preferisce restare anonimo. “Basta vedere il prezzo di alcune bottiglie nei centri di grande distribuzione, vendute anche a importi bassissimi come 3,50 euro al litro. Che significa? Che a quel decimo di extravergine, che incide per un euro sul prezzo finale, vanno sommati i nove decimi di altro genere: tra cui olio di semi, sansa e anche colorante. Sì colorante, per cui quando lo si versa per condire un’insalata o una pietanza cruda sembra quasi che non abbia consistenza”. E aggiunge che per testare a casa propria che olio si consuma, è sufficiente fare la prova del freezer. “Se si mette dell’olio extravergine nel congelatore, dopo un paio di giorni lo si noterà compatto e quasi a forma di chicchi di riso. Mentre invece se diventa gelatinoso come uno strato di grasso, allora è certo che sarà di bassa qualità”. Per questo, aggiunge, è possibile trovare in alcuni supermercati una tanica da cinque litri a meno di 20 euro. Tenendo conto che l’olio made in Italy si vende ad un prezzo superiore di almeno due euro al litro, ecco che la base da cui partono quelle aziende che spacciano per extravergine un olio di “categoria 2″ si ritrova nel cosiddetto olio lampante: è quello che poi prende la via dell’industria dell’olio per essere raffinato, a cui si aggiunge una percentuale imprecisata di extravergine. E’proprio questo che, alla fine, arriva negli scaffali dei supermercati come olio d’oliva. Per cui chi non usa il 100% di olive italiane rischia di guadagnare anche sette/otto volte quello che mette in tasca l’azienda del signor Rosato di Locorotondo perché non solo abbatte i costi di manodopera italiana (spesso ultra specializzata come accade in Veneto e Liguria), ma lavora anche con una materia prima a basso costo.


In più, come riferito dal Sostituto Procuratore delle Repubblica di Bari, Marcello Quercia, in Commissione anticontraffazione (il 10 settembre scorso) la vendita come olio extra vergine di oliva di un olio frutto di miscelazione configura un comportamento di tipo ingannevole da parte del produttore ai danni del consumatore il quale, nella convinzione di acquistare un extra vergine “puro”, acquista viceversa un prodotto non rientrante in tale categoria commerciale, in quanto originato dalla combinazione di oli di categorie e di qualità diverse, artificiosamente miscelati in modo da ottenere un prodotto rientrante solo nei meri parametri chimici dell’extra vergine. Trattasi, in pratica, di “un olio che dell’extra vergine possiede il solo parametro chimico, peraltro non originario, cioè non ottenuto direttamente, bensì da un processo di miscelazione, quindi, sostanzialmente creato in laboratorio”. Al guadagno maggiore per chi produce, quindi, si somma la condotta fraudolenta.

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