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mercoledì 20 maggio 2015

L'opinione di un giornalista

BERLUSCONI FUORI DALLA POLITICA

Facci: "Perché era giusto credere nel Cav"

Facci: "Perché era giusto credere nel Cav"
Non c’è, non esiste un momento giusto per fare un bilancio di vent’anni di berlusconismo, ma sicuramente ci sono momenti sbagliati o annegati in conformismi molto italiani. Ieri tuttavia Berlusconi ha detto sfuggevolmente «ormai sono fuori dalla politica» e allora vogliamo approfittarne per dire qualcosa su di lui, e val la pena di farlo ora, cioè quando non è sugli altari e neppure nella polvere.
L’opinione di chi scrive, da molto tempo, è che Berlusconi abbia esaurito la sua parabola e che dovrebbe decidersi a prenderne atto, anche perché altrimenti farà un sacco di danni e impedirà la nascita di qualsiasi centrodestra, per scalcagnato che possa essere. Un centrodestra senza Berlusconi dovrà esistere per forza: non potrà prenderselo tutto Renzi, né potremo aspettare che sia lo stesso Berlusconi a istruire o prefabbricare il proprio killer. Ma io non volevo parlare di questo, ora. Volevo spiegare e ammettere, ora, cioè in un momento qualsiasi, che ho creduto che Silvio Berlusconi potesse davvero e radicalmente cambiare questo Paese. Ho creduto che ci fossero le straordinarie condizioni per poter scommettere che ce la facesse. In realtà l’abbiamo creduto in milioni, e non eravamo tutti stupidi o reazionari, meglio: il margine di incognita era alto, ma è da escludere che i suoi avversari avessero previsto dal principio che non sarebbe riuscito a compiere nessuna rivoluzione liberale, diciamo così. La vera divisione, al tempo, non era tra chi avesse o meno doti divinatorie sulle possibilità di Berlusconi; non era, cioè, tra chi credeva che potesse cambiare il Paese e chi non lo credeva: era essenzialmente tra chi avrebbe voluto che ci riuscisse e chi invece no, era tra chi agognava un cambiamento sostanziale e chi invece si sarebbe accontentato di ridisegnare il Paese secondo i nuovi poteri, che poi erano quelli vecchi ma riverniciati.
Non era una gara: Berlusconi, nella visione di chi l’ha votato, correva da solo. La sua era l’unica rivoluzione disponibile su piazza, e non ha senso dire - come molti fanno - che semplicemente gli altri erano peggio: gli altri erano sì peggio, ma oltretutto non volevano neppure che Berlusconi corresse. Non deve stupire che ancor oggi la destra esorti a recuperare «lo spirito degli inizi», una fantomatica età dell’oro, un azzurro passato che in realtà non è mai esistito o fu tutto sommato imbarazzante; rivedere le immagini degli esordi berlusconiani di vent’anni fa - coi primi pigli modernisti, l’inno, le coccarde, l’acerbo stile Publitalia nelle polverose tribune elettorali - oggi può far sorridere: ma la verità è che rivedere le immagini degli altri - il cattocomunismo serioso, la postura da Comitato centrale, le giacche da compagni polacchi, lo stile Prima Repubblica riproposto e sopravvissuto - è roba che fa correre i brividi lungo la schiena. Nel centrodestra è facile trovare qualcuno disposto ad ammettere che in vent’anni Berlusconi non ha combinato nulla: ma nessuno negherà che sia comunque comparso al momento giusto. La vittoria di Berlusconi, nell’immaginario dei suoi elettori, fu soprattutto la gioiosa sconfitta dei suoi avversari.
Ovvio che tanti, soprattutto a sinistra, non sarebbero d’accordo e si limiterebbero ad ammettere che Berlusconi ebbe solo delle intuizioni, meglio: che anticipò una certa spettacolarizzazione e americanizzazione della politica. Liquiderebbero Berlusconi come già fecero con Craxi e, in generale, con chiunque in Italia l’abbia detta giusta senza i consueti vent’anni di ritardo. Si riaprirebbe un dibattito infinito.
Nell’attesa, l’unico argomento inescusabile è che Berlusconi è alla fine del suo ciclo. Il Paese negli ultimi anni è peggiorato anche per sua responsabilità, e c’è un’intera area politica teoricamente maggioritaria, il centrodestra, che ne è uscita desertificata, azzerata, conciata peggio di quando Berlusconi cercò di rianimarla nel 1994. È vero, molti a sinistra predissero il fallimento di Berlusconi per mero rosicamento, solo perché lo desideravano: descrissero il suo fallimento ancor prima che si consacrasse. Ma è anche vero che dall’altra, nella famelica armata Brancaleone del centrodestra, si ignorò ogni scricchiolio e si finse di non vedere che la nave non solo non andava, ma imbarcava acqua. Mezza Italia, da un certo punto in poi, ha preso a raccontarsela, sperava ancora nel miracolo un attimo prima che la nave affondasse. Io non sono tra questi, ma ogni distinguo ora suona patetico. Ci abbiamo creduto in milioni, ma questo, va da sé, non attenua le colpe di Berlusconi ma solo le nostre. Ci abbiamo creduto per le più svariate ragioni: io, per dire, avevo a cuore la giustizia, e non avrei votato la sinistra forcaiola neanche sotto tortura. Dunque, senza accorgermene, ho via via alimentato quel meccanismo berlusconiano che negli anni ha trasformato i garantisti e i liberali nella minoranza sputtanata che sono. Ma era l’unica strada possibile.
Sostenere Berlusconi, per moltissimo tempo, è stata l’unica cosa sensata da fare: per molti motivi. Ma costringere tanti italiani a parteggiare ancora a lungo per Renzi, ora, sarebbe il fallimento più imbarazzante.
di Filippo Facci

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